Quando eravamo sostenibili nei fatti e non negli hashtag, la frutta non restava sull’albero o, marcia, ai suoi piedi. Le molte varietà di mele e di pere selvatiche o non adatte al consumo a crudo subivano tre destini. O venivano poste nella paglia ad ammezzire, per essere poi consumate dopo qualche settimana; o si utilizzavano, da sole oppure insieme alla torchiatura dei raspi della trascorsa vendemmia, per produrre fermentati di frutta: sidri e “vin ed pom”; o, più comunemente, venivano cotte. Alcune pere particolarmente tenaci, le Martin Sec d'Hiver, conosciute fin dal tardo Rinascimento, venivano preferite alle altre per il passaggio nel forno rimasto caldo dopo la cottura del pane. Si tratta di pere piccoline, dalla buccia color ruggine, compatte, tenaci, fortemente allappanti a crudo, ma che con la cottura diventano morbide, restando integre.
Le pere venivano messe a cuocere in forno nel coccio insieme al mosto, ormai diventato vino e tirato dai tini durante i primi travasi, e a qualche esotica spezia capace di trasformare gli umili frutti in un boccone da re.
Per evitare il dispendio energetico di scaldare il forno per cucinare un piccolo piatto povero, provo a indicarvi una ricetta più semplice, ma non di minor effetto, cucinata in tegame, dove sarà anche più agevole controllare la cottura dei frutti.
1. Scegliete delle pere da agricoltura ancestrale, che siano ancora cresciute su un albero, piccole, dure, tutte uguali. Con un po’ di fortuna troverete le Martin Sech o altre perette dalla buccia color ruggine, ma vanno bene anche le altre, a patto che non siano di varietà destinate al consumo a crudo.
2. Lavatele ma non sbucciatele né privatele dei piccioli.
3. Sistematele, in piedi, in un piccolo tegame (se ce l’avete di rame stagnato ma un grosso pentolino dal fondo spesso andrà benissimo) in maniera che siano molto fitte e si mantengano in piedi.
4. Unite alla pere una generosa cucchiaiata di burro di montagna e irroratele con metà acqua e metà vino rosso fino a coprirle per trequarti.
5.Aggiungete un cucchiaio abbondante di miele, due chiodi di garofano, qualche bacca di pepe, due pezzi di anice stellato e una grattugiata di buccia di limone verde.
6. Portate a bollore e, quando metà del liquido sarà evaporato, abbassate la fiamma, tappate la pentola e proseguite la cottura.
7. Di tanto in tanto bagnate le pere raccogliendo lo sciroppo sul fondo del tegame.
8. Se lo sciroppo diventa troppo denso e tende a caramellare aggiungete un po’ d’acqua.
9. Dopo circa 30 minuti dal bollore le pere saranno pronte. Spegnete il fuoco quando la forchetta le attraversa facilmente ma incontrando ancora una lieve resistenza.
10. Trasferite le pere su un piatto, private lo sciroppo degli odori e versatelo sulle pere per glassarle.
Mai la frutta è presente nei menu dei ristoranti. Non ne ho mai compreso il motivo. Questa preparazione è ottima servita tiepida a fine pasto, ma anche a metà mattina. Provatela fredda a merenda o dopo cena per accompagnare un formaggio o un bicchiere di vino.
È un piatto di cui si mangia tutto, picciolo escluso, tagliandolo elegantemente con coltello e forchetta, senza imbrattarsi le mani. Rimanda a fasti di corte e alla parsimonia contadina insieme, ricorda un’epoca in cui esistevano ancora l’educazione e il gusto per il bello e per il buono.
Vi scalderà il cuore nei prossimi lunghi freddi giorni d’autunno. Per la cottura potete utilizzare un buon rosso rimasto aperto dalla sera precedente o, direttamente, la miscela di Aqvarello. E abbinare l’assaggio non con un vino dolce ma con un rosso vinificato in anfora, come il Mataborricos di Comando G, che riporta nel piatto i sentori originali d’argilla che abbiamo sottratto in cottura.
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