A Carnevale si mangiano le chiacchiere, frappe, bugie, galani… Ma non solo. Qualsiasi dolce era salutato in casa come un piccolo regalo prima del periodo di privazioni quaresimali che, ricordo, erano appannaggio delle sole classi meno abbienti, la maggioranza, mentre notabili e aristocratici potevano ricevere “per motivi di salute” apposite dispense dai chierici di palazzo. La regola condivisa evitava le invidie e conteneva i malumori in una società dalle risorse scarse e riservate a pochi fortunati. Tra i beni preziosi si annoverava lo zucchero, diffuso in Europa solo nell’800 e, finalmente senza restrizioni, in ogni famiglia, dal Secondo Dopoguerra. Dagli anni Ottanta questo eccesso iniziò a creare non pochi problemi di forma e di salute nelle zone più agiate del Pianeta. Ma questa è un’altra storia… Con una spolverata del prezioso cristallo, anche una fetta di polenta ripassata sulla stufa diventava un dolce, un ritaglio di pasta fritta nello strutto un divertimento carnascialesco e una mela una piccola leccornia per bambini. Proprio le mele, nella tradizione austroungarica poi scesa nello Stivale, animavano i giorni di Carnevale perché, già zuccherine loro stesse, potevano assurgere alla pasticceria con una minima quantità di saccarosio.
Nelle cascine non mancavano le mele, le uova, il latte fresco e un pugno di farina, spesso integrale. Le mele, sfuggite al gelo dell’inverno e sbucciate con un coltello di ferro, venivano tagliate a spicchi e immerse in acqua e aceto. Oggi invece ci pensa il limone a non farle annerire e a renderne il gusto più raffinato. I bianchi montati a neve venivano incorporati a una miscela di latte, uova e farina, dove non mancava un pizzico di sale, mentre la vaniglia, costoso esotismo da città, latitava e, ancor oggi, in un dolce rustico, non ne sento la mancanza. Le fette venivano leggermente passate nello zucchero, prezioso e raro, e poi bagnate nella pastella che, nella pentola di ferro, gonfiava a contatto con lo strutto rovente.
Le frittelle calde erano premio per i bambini e contorno della carne nei giorni di festa. Ma fredde erano sublimi: l’equilibrio del sapore stava nella misura tra il sale dell’impasto e il poco zucchero contenuto solo tra il frutto e la pasta. La povertà aveva trasformato in gusto ciò che l’opulenza odierna rischia di ridurre in stucchevole vanità.
1. Preparate una pastella formata da 2 rossi d’uova di cascina, 150g di farina Tipo 2, 200g di latte freddo, un pizzico di sale e fatela riposare in frigorifero.
2. Scegliete delle mele mature, tagliatele a spicchi e gettatele in acqua e limone.
3. Incorporate alla pastella fredda i due albumi montati a neve ben ferma, lavorando delicatamente dal basso verso l’alto con una spatola.
4. Passate gli spicchi nello zucchero in cristalli da pasticceria, premendo bene.
5. Passate le mele nella pastella.
6. Friggetele in una pentola di ferro nello strutto rovente o nel burro chiarificato.
7. Lasciate asciugare, senza coprire, sulla carta assorbente.
Servite le frittelle a vostri bambini per merenda o agli adulti, dopo cena, per accompagnare un formaggio o un bicchiere di vino. Se volete rimanere in tema scegliete un bianco del Trentino Alto Adige come il Tonsur di Pranzegg.
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