Quando Elena Pantaleoni mi ha parlato per la prima volta del Cile, di ettari ed ettari di vigne ultracentenarie che non avevano mai visto la chimica, mi sono entusiasmato. –Si potrebbe fare del vino- subito ho pensato dentro di me, ma Elena mi aveva preceduto e da lì a pochi giorni sarebbe partita per presentare insieme al suo socio Nicola Massa la prima annata del loro progetto, La Mision. Una settimana dopo ero su un volo Milano-Santiago.
Il Cile è un paese che conta 2000 chilometri di distanza tra la vigna più a nord e quella più a sud. Immergendosi in un territorio più circoscritto in 300 chilometri si attraversano tre delle regioni più interessanti di tutto il Paese: il Maule, Itata e Bio Bio, dove a partire dalla metà del XVI secolo vennero piantate le viti. Se fino a qualche anno fa si poteva parlare solo di una riscoperta e di alcuni progetti sperimentali, oggi alcune aziende sono diventate realtà consolidate che iniziano ad incidere sui gusti dei bevitori e sulla rivitalizzazione dei territori. La maggior parte delle vigne a tutt’oggi in produzione superano i cento anni di età arrivando anche a duecento anni e più, piante ad alberello franche di piede, grazie alla totale assenza di filossera, che producono senza necessità di irrigazione e, vista anche la grande estensione, rappresentano un patrimonio vitivinicolo davvero unico al mondo.
Quando atterro è l’alba, faccio un salto in albergo, Elena mi viene a prendere nel tardo pomeriggio, direzione Baco. Baco è uno dei locali storici di Santiago, dove storia e avanguardia si incontrano. Elena e Nicola tengono la presentazione della prima annata del Pisador davanti a giornalisti, opinion leader e operatori del settore. È un successo. Il segreto del Pisador sta nell’interpretazione della país, un’uva che trova nel bicchiere il tratto comune di un carattere fruttato con tipiche note affumicate ed un tono rustico in bocca. Solitamente oggi la país viene impiegata nella produzione di vino pipeño. Si tratta di un vino dalle macerazioni brevi, dal basso tenore alcolico, bei profumi e beva facile. Un vin de soif che qui è prodotto da quasi 500 anni. Giulio Armani, enologo de La Stoppa, ha voluto interpretare diversamente queste uve da piante ultracentenarie, facendone un vino di carattere e di grande stoffa.
L’uva país rappresenta ad oggi il sette per cento del vitato nazionale con i suoi dieci mila ettari in attivo. L’origine di questa uva sembra si possa ricondurre al sud della Spagna e alle Isole Canarie, dove tutt’ora ne esistono alcune piante sotto il nome di listan prieto. Si tratta di una varietà resistente, a grappolo spargolo, che si adatta con facilità a climi differenti e gode del vantaggio di una gestione poco interventista in vigna. Forse proprio per queste caratteristiche venne portata qui in tempi remoti, quando la scelta di cosa e dove piantare era necessariamente fatta in base a necessità semplici e condizioni naturali. Per lungo tempo, fino ad inizio ‘900, l’uva país è stata la varietà principale coltivata in Cile e, come tale, simbolo e protagonista della vita quotidiana nei campi e nelle feste tradizionali. In generale può essere considerata l’uva delle Americhe visto che gli spagnoli la piantarono non solo in Cile, ma su tutta la costa pacifica e ad oggi è presente in California con il nome di mission, in Argentina come criolla chica, in Messico ed anche in Peru. In Cile l’uva per tradizione è vinificata in modo semplice in tini grandi di legno raulí (lagar) o anfore di terracotta (tinajas). Pigiatura e diraspatura a mano su canne di legno coligüe (zaranda) ed un affinamento in botti grandi da 20/30hl, o nelle anfore stesse. Proprio così abbiamo scelto di vinificare il Pisador.
Qualche giorno dopo, si fa il bis a Concepcion, da Hector Riquelme, un amico ristoratore e sommelier di Elena che gode di grande credito in Cile. Conosco un distinto signore cileno, facciamo quattro chiacchere e mi sorprende con la sua sconfinata conoscenza sul vino. Scopro poco dopo che è Pedro Parra, esperto di suoli di fama mondiale, che fa vino dal Cile alla Napa Valley, dalla Borgogna a Montalcino, talvolta anche per piccole realtà naturali. L’indomani ci invita ad andare nella sua cantina, dove ci fa assaggiare degli stupefacenti cinsault da fermentazioni spontanee.
In Italia Elena mi diceva che il mercato del Cile non era ancora pronto per il salto verso il naturale, che non avrebbero compreso questo vino, che ne avrebbe destinato al mercato locale solo il 10%, quindi per la prima annata all’incirca 300 bottiglie. Quando l’ho assaggiato la prima volta, ho pensato ci si sarebbe potuto lavorare, quando ho visto il volto di chi lo assaggiava durante le varie presentazioni, ne ho avuto la conferma. Un ristoratore la sera stessa ne ordina 360 bottiglie. Qualche giorno dopo, incontriamo Patricio Tapia, il miglior degustatore cileno. L’anno dopo nella sua guida premierà il Pisador come vino rivelazione.
Tappa successiva la valle del Maule, da dove provengono le uve e dove si trova la cantina di Elena. In queste zone lei e Nicola hanno selezionato le vigne da cui acquistano le uve pagandole fino a 4 volte il loro valore di mercato, con l’accordo che l’agricoltura proceda senza alcun impiego di sostanze chimiche di sintesi. Piante di cento, duecento anni che solo a vederle stringono il cuore.
La regione del Maule inizia circa duecento km a sud della capitale Santiago. Il clima è decisamente caldo e secco in estate, caratterizzato da buone escursioni termiche tra il giorno e la notte, e con buone precipitazioni invernali. Nella parte meridionale del Maule, in provincia di Cauquenes, le zone di produzione possono essere suddivise tra quelle più interne e quelle più vicine alla costa. I vini prodotti in prossimità di Sauzal e Caliboro sono in genere di grande struttura, alcolici e potenti. Qui, oltre al país, si sono adattati nel tempo con successo il carignan e la garnacha. L’azienda El Viejo Almacen di Renan Cancino è stata la prima a riscommettere su questi luoghi con vini autentici. Scendendo più a sud, ed avvicinandosi alla costa, dalle colline intorno a Coronel de Maule si ottengono vini caratterizzati sì da consistenza ed esuberanza tipicamente mauline, ma anche da una buona freschezza regalata dalle correnti pacifiche più prossime. Il suolo del Maule Sud è di carattere granitico marino: terre rosse argillose con buona presenza di quarzo. Dalle uve di queste terre è prodotto il Pisador.
È durante il viaggio in auto lungo la ruta panamericana, una strada che percorre in lungo tutto la nazione, che capisco che ricordo mi porterò dietro da questo viaggio: il Cile come paese dei contrasti. Da una parte la natura incontaminata e rigogliosa, dall’altra i continui cartelloni pubblicitari della “mata maleza”, nome locale dei diserbanti, da un lato le vigne antichissime, spesso lavorate ancora a cavallo, e il patrimonio di biodiversità vegetale, dall’altro i continui espianti per far spazio alla produzione di cellulosa con pini ed eucalipti, completamente estranei alla flora locale. Un potenziale pazzesco, un potenziale inespresso.
Se l’industria vinicola si era concentrata nei dintorni di Santiago per ragioni di comodità e aveva puntato su varietà internazionali come cabernet e merlot, piano piano ha raggiunto anche queste zone. Il sistema di acquisto delle uve è solo stesso di Elena e Nicola, ma senza richiedere alcuna garanzia sul metodo agricolo. Ne abbiamo avuto prova quando passeggiando per una delle vigne da cui Elena aveva preso le uve, ci accorgiamo dell’erba gialla a terra, quasi bruciata. “L’anno scorso non era così” dice Elena. Il proprietario poco dopo conferma di aver iniziato a usare i diserbanti. Venderà l’uva ai grandi industriali. Elena e Nicola dovranno trovare un’altra vigna per la seconda annata del Pisador.
Girando mi accorgo anche dell’incredibile varietà dei microclimi del luogo. E capisco a pieno quello che qualche sera prima mi aveva detto un ristoratore a Santiago: “il Cile è un paese freddo riscaldato dal sole”. Il clima è decisamente influenzato dalla vicinanza o meno dalla costa: le correnti fredde pacifiche sono, insieme alla composizione del suolo, i fattori determinanti per i vini.
Procedendo ancora più a sud ci si imbatte nel Bío Bío, un’altra zona antica di elezione per la coltivazione di vigne antiche. Lungo il corso del fiume Bio Bio, tra i paesini di Santa Juana e Nacimiento, si incontrano molteplici piccole vigne scoscese e nascoste tra i boschi nativi che danno origine a vini poco alcolici e di estrema eleganza. Roberto Henriquez, giovane produttore, ha eletto queste zone per i suoi vini. Poco più a nord, a 50 km dal mare e 70 dalle Ande, si arriva presso il paese di Yumbel che è diventato negli ultimi anni il punto di riferimento per il vino pipeño, letteralmente un vino da uva país che viene affinato in pipa (botte grande). Il clima qui è meno di costa, con maggiori precipitazioni invernali e temperature fresche, mai oltre i 30 gradi e notti molto fresche anche in estate. Il suolo è di natura totalmente differente rispetto al Maule o Itata: terre vulcaniche di basalto che provengono dalla cordillera delle Ande trasportate dal fiume Bío Bío. Terre nere che vengono chiamate Trumao e che conferiscono un carattere rustico ed una consistenza più tenace ai vini. L’azienda Estación Yumbel e Cacique Maravilla fanno un lavoro egregio da queste parti.
Queste sono le zone dove stanno nascendo e affermandosi tante piccole nuove realtà con lo scopo di tutela e di salvaguardia del patrimonio di biodiversità viticola cilena. Il lavoro in vigna integra un’agricoltura a ciclo continuo fatto di allevamento di bestiame, di cavalli da rodeo, di coltivazione di frutta, verdura e legumi. La nuova attenzione per questi territori, la cura verso la campagna, alcuni vini che di anno in anno rispecchiano sempre più fedelmente il proprio terroir senza scendere a compromessi, e l’orgoglio di piccoli agricoltori che vedono finalmente valorizzati i loro sforzi, sono la linfa di questo rinascere. Qui è in atto il rinascimento identitario del vino cileno.
Ritorniamo a Santiago e ci concediamo una cena da Boragò, tre stelle michelin e 26° posto nella classifica The Wolrd’s 50 Best Restaurants. Quella di Rodolfo Guzman è una cucina endemica, certamente d’avanguardia nella presentazione e nei gusti, ma basata esclusivamente su materie prime cilene, una delle migliori dimostrazioni pratiche della riscoperta e rivalutazione del patrimonio di biodiversità del paese. Dalle carni, ai pesci selvaggi, dalle erbe spontanee fino ai licheni. All’ingresso un’imponente croce per l’asado, cottura lunga e lenta di stupendi agnelli patagonici a distanza dalla brace.
Solo sul volo di ritorno Santiago-Milano trovo il tempo di riflettere a freddo su queste settimane vissute sull’onda della scoperta e dell’entusiasmo. Stregato e affascinato da questo paese, commosso per l’estensione di vigneti antichissimi lungo tutto il paese, amareggiato perché oggi non è questa l’immagine del vino cileno all’estero. Ma con la sicurezza che un domani il lavoro di persone come Nicola e Elena, dei campesinos cileni che stanno rivalutando la campagna e investendo su un metodo agricolo alternativo, delle giovani realtà vitivinicole che si stanno affermando, sarà alla base della comprensione del potenziale di questo territorio.
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