Il primo weekend di Novembre, come da tradizione, si sarebbe dovuto svolgere Vini di Vignaioli, fiera per eccellenza dei vini naturali. Pochi giorni prima, forse c’era da aspettarselo, l’evento è stato annullato. Così migliaia di operatori, appassionati e produttori di tutta Italia hanno dovuto rinunciare al loro canonico “pellegrinaggio” verso la campagna parmense, a Fornovo, un comune di seimila anime lungo il fiume Taro che nel settore è presto diventato sinonimo della fiera stessa. L’astinenza dai saloni del vino dura ormai dal 23 febbraio scorso, qualcuno lo ricorderà bene, quando già dal primo pomeriggio correva la voce tra i corridoi dei Magazzini del Cotone di Genova di una possibile chiusura anticipata di Vin Nature. Arrivai in fiera alle 19, ebbi il tempo di girare tra due o tre banchi, poi la notizia fu confermata e si tornò tutti a casa.
Così l’ultima fiera vera e propria a cui ho partecipato è stata giustappunto Vini di Vignaioli, nell’anno della sua diciottesima edizione. Il salone nacque infatti nel 2002, un periodo cruciale per il vino naturale in Italia, quando ci si giocava una delle sue battaglie più importanti, quella di farsi notare dal grande pubblico. I primi duemila del resto furono gli anni di Terra e Libertà/Critical Wine di Luigi Veronelli, del manifesto Triple “A” di Luca Gargano, dei primi “controsaloni” durante il Vinitaly di Verona. E se oggi possiamo dire che quella battaglia è stata vinta alla grande, se gli scaffali di enoteche e winebar offrono centinaia di etichette di vini naturali, se (negli anni normali) il calendario delle fiere dedicate straripa di appuntamenti, allora il merito è anche un po’ di Vini di Vignaioli.
Era la mia prima volta a Fornovo e oltre agli assaggi, mi frullava in testa l’idea di volerne sapere di più, di capire come una fiera appena maggiorenne avesse potuto influenzare tanto il mercato del vino in Italia e il palato di migliaia di consumatori. Tutti gli amici produttori avevano le idee chiare su chi dovessi incontrare. Mi presentarono Christine Cogez, mente di Vini di Vignaioli, davanti alla mensa per i produttori, mentre era intenta a ritirare i ticket del pasto, scambiando due battute o un abbraccio con gli avventori. Le chiesi se avesse dieci minuti da dedicarmi e restammo d’accordo per una telefonata nei giorni successivi. Perché tutto funzionasse al meglio, la mente durante la fiera doveva farsi braccio.
“Ero a Parigi con Alessandra Bera e Nadia Verrua (Cascina Tavijn) -faremo una fiera in Italia- si diceva. Parlarne faceva bene, ma mi sembrava un’utopia” mi racconta quando ci risentiamo. Poi quasi per caso, il cognato la porta a Fornovo, trova il sostegno della Pro Loco e la vicinanza a Parma fa il resto, una città che è “una vera e propria locomotiva d’Italia per il mondo del vino.”
“I primi anni non sono stati semplici, l’affluenza non era molta, ma i vignaioli francesi mi hanno seguita, il loro aiuto è stato fondamentale. Lo stesso Veronelli mi ha sostenuto molto e pian piano è cresciuta la presenza dei produttori italiani. Oggi a parte un francese e qualche sloveno, abbiamo solo vignaioli italiani ed è così anche a Parigi.” Vini di Vignaioli infatti cinque anni fa ha debuttato nella capitale francese con grande partecipazione di pubblico e operatori, che dimostrano sempre crescente interesse sul versante naturale dei nostri vini.
Ma Fornovo non è stata solo una fiera per il pubblico. “Quando andavo in cantina al Domaine Lapierre, vedevo altre etichette -sono i vini dei miei amici- mi spiegava Marcel”. Da qui l’idea delle Tavole Rotonde, la volontà che Vini di Vignaioli prima di tutto fosse un luogo di incontro e di scambio tra i vignaioli, perché il vino naturale cresce e si costruisce nella relazione tra i produttori. “È bello oggi vedere le nuove generazioni di vignaioli. Ogni nuovo protagonista ha un padrino, un produttore che fa da garante per lui.”
Così il vino naturale è cresciuto, a partire dalle grandi città, ma come mi disse Christine, c’è ancora tanto lavoro da fare. “Il vino naturale deve ancora fare il grande passo, bisogna attirare ancora più pubblico, il consumatore medio è ancora inconsapevole.” E se il vino naturale è comunità, allora la responsabilità di ciò risiede anche in ogni appassionato, perché una cosa è certa “una volta che hai iniziato a bere vino naturale non riesci a tornare indietro. I vini convenzionali non hanno bevibilità.”
Da quella telefonata Christine mi parve un’avanguardista, una sognatrice e che facesse benissimo ad esserlo, del resto l’utopia di Vini di Vignaioli si è fatta realtà. Mi raccontò anche di essere sostenitrice della diffusione dei vini naturali nella GDO, magari in forma locale, sul modello francese di LeClerq, dove i sommelier sono liberi di comprare i vini che vogliono. “Una volta dissero, quasi come provocazione, a Marcel Lapierre che negli USA vendevano un suo vino in un supermercato. -Ne sono contento- fu la risposta di Marcel.” E perché non sarebbe dovuto esserlo se si aumenta la possibilità di avvicinare nuovi consumatori al vino naturale?
Oggi, a distanza di un anno da quella telefonata, ho ritrovato nelle parole e nei racconti dei produttori, tutti i concetti che uscirono dalla chiacchierata con Christine. La forza del confronto e della comunità, la necessità di diffusione e di progettazione di un nuovo futuro per il vino naturale o forse addirittura per il vino in generale. E forse questo periodo così strano potrebbe essere un punto di partenza, a cominciare dai consumatori che sono gli unici, per quanto operatori ed enostrippati possano ricamarci sopra, a decretare gusto e mercato del vino. Se la pandemia abbia davvero giocato un ruolo nella ridefinizione del concetto di qualità e nella ricerca in ogni bottiglia non solo della bontà del contenuto, ma anche delle storie, delle persone e degli ideali che ci stanno dietro, forse lo scopriremo solo alla fine di tutto questo. E speriamo che se ne possa parlare di nuovo tutti insieme, seduti alla tavola rotonda della prossima edizione di Vini di Vignaioli.
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