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Guida pratica alle terre del Lambrusco

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Guida pratica alle terre del Lambrusco

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Dalla vitis labrusca cantata da Virgilio fino alle più autentiche espressioni contemporanee del rifermentato in bottiglia più famoso d’Italia; andiamo alla scoperta della bollicina che racchiude dentro di sé un territorio ricco di storia, cultura, arte e gastronomia, casa di un popolo vivace e allegro come i vini che produce.

"aspice, ut antrum silvestris raris sparsit labrusca racemis"
(
guarda come la labrusca selvatica ha cosparso la grotta di grappoli rari)

Pablo Picasso diceva che quando gli capitava di dipingere un cavallo selvaggio la gente spesso non riusciva a vedere il cavallo. Poco importa, rispondeva lui, lo vedete il selvaggio? Lo vedevano sempre. Le espressioni artigianali del lambrusco sono un po’ la stessa cosa: a volte somigliano a quello che ci immaginavamo, altre ci sorprendono con sfumature e contorni che non credevamo nemmeno possibili, ma la loro anima resta sempre intrinsecamente quella che è. Addentriamoci dunque nel mondo dei lambruschi, terra di mezzo che si estende nel cuore pulsante d’Italia, tra le province di Modena, Reggio Emilia e Parma.

UNA COMPONENTE SELVATICA INDELEBILE: LA STORIA DEI LAMBRUSCHI

Immaginatevi un tempo in cui il confine dei luoghi era segnato dall’impossibilità di passarvi attraverso. Piante, cespugli e liane si aggrovigliavano tra loro al punto di non distinguerne più l’origine. In mezzo a tutto quel ciarpame, però, cresceva una foglia ampia e trilobata. Ci piace pensare che un giorno molto lontano, forse per trovare un punto di passaggio, qualcuno abbia allungato una mano e abbia trovato un grappolo selvatico. Tutto il resto è storia.

Le avventure del grande vino frizzante emiliano, il rifermentato in bottiglia per antonomasia, hanno inizio in un tralcio di vite spontanea originato nei boschi della pianura padana. La coltivazione della vitis labrusca comincia con gli etruschi, prosegue con i romani e si salva nel medioevo grazie ai monaci benedettini. Furono loro i primi a uscire dai confini religiosi del vino, celebrandolo anche come alimento e farmaco. Negli anni del rinascimento i vini emiliani cominciano a essere esportati fuori dai confini regionali, merito della peculiare effervescenza della spuma e dell’ampio ventaglio di profumi. Sono questi gli anni in cui gli autori dell’epoca citano i vini dal “gusto gradevolmente frizzante, dal profumo soave, che spumeggiano in dorate bollicine quando si versano nel bicchiere.” (Andrea Bacci, 1597).

Il risorgimento vede lo svilupparsi delle colture specializzate e l’introduzione di nuovi approcci scientifici in vista dello sviluppo dell’enologia moderna. La viticoltura maritata ad alberi permette il recupero di terreno coltivabile e lo sviluppo di un’agricoltura promiscua, ossia con diverse colture presenti nello stesso campo. In questo periodo prende forma più definita la suddivisione delle coltivazioni dei diversi ceppi genetici di lambrusco, la vite d’elezione dell’Emilia. La cosa più interessante che ci ha raccontato Stefano di Podere Magia per dimostrarci lo stretto legame tra la tradizione contadina e il Lambrusco è la storia di come il latte abbia giocato un ruolo fondamentale nella nascita del rifermentato in bottiglia: “gli agricoltori qui vivono di allevamento, da sempre, ossia di gestioni di prati e di stalle. Già nei secoli passati il lavoro nella stalla prendeva mattina e sera, perciò il tempo per fare il vino era poco, ed ecco che entra in gioco la vitis labrusca. Quest’uva da vendemmia tardiva era perfetta per essere vendemmiata a ottobre. Quando arrivava marzo, sempre per questioni di tempo (ad aprile comincia la fienagione), il vino veniva imbottigliato, interrompendo la fermentazione di un vino che – a causa del freddo delle cantine non climatizzate né sottoterra – aveva ancora un residuo zuccherino notevole. Tappandolo, ricominciava la fermentazione e sviluppava questa bollicina avvolgente e vivace che si accompagnava alla perfezione con cappelletti e salumi.”

Con una tradizione così, non ci è difficile immaginare come la viticoltura artigianale sia sopravvissuta a guerre, pestilenze e macchine industriali. Nei piccoli comuni dove la rifermentazione in bottiglia è il risultato di una tradizione lunga secoli, il vino continua a essere lasciato a contatto con le proprie fecce fini, così da esprimere al meglio la meraviglia delle cose che non cambiano.  

UN TERRITORIO, UN VINO, INFINITE INTERPRETAZIONI

Dalla storia della vitis labrusca possiamo dedurre tre cose: la ricchezza di un territorio potente e brulicante di vita, la forza di una vite resistente e la caparbietà di una mano che stringe e non molla. Se dovessimo descrivere questa terra con una parola, la definiremmo: rigogliosa, complice una pianura eterogenea che offre espressioni uniche nel loro genere. Come Matteo Verri di Perseveranza ci ha raccontato: “qui ogni vino ha una sua impronta ben definita, uno stile senza eguali, anche se ci troviamo in presenza delle stesse uve. È come se ogni volta scoprissimo una sfumatura nuova, un tratto personale che racconta una storia inedita.” Il merito va in egual misura a un terroir riscontrabile al calice e a produttori capaci di dare voce alle proprie uve. Spostandoci nel piccolo triangolo formato dalla pianura alluvionale di San Polo d’Enza, incastonata tra due colline, sorge la cantina di Podere Magia. Qui i terreni pianeggianti sono molto ricchi di silice, il che risulta in una più difficile irrigazione, ma anche in un ampio ventaglio di caratteristiche organolettiche percepibili all’assaggio. “Da un punto di vista biodinamico, il silice drenante dona sensazioni delicate e fragranze ai vini molto intense,” ci racconta Stefano Pescarmona.

Tra i diversi vitigni che si coltivano nelle terre emiliane, le varietà di lambrusco ne simboleggiano il carattere indomabile e libero. Questo vitigno è considerato tra i più autoctoni del mondo, merito della sua resistenza, della vigoria delle piante e della storia che ne testimonia il naturale accrescimento della vite. La bellezza delle terre dei lambruschi risiede nelle diverse caratteristiche pedoclimatiche che coesistono nella stessa regione e permettono lo sviluppo di vini fortemente territoriali. Per esempio, la varietà tipicamente pianeggiante del lambrusco di Sorbara – coltivata a partire dall’omonimo comune e nei suoi dintorni, in provincia di Modena – predilige un suolo dalla trama sabbiosa e limosa, ideale per favorire un buon drenaggio e dunque massimizzare le caratteristiche del vino che ne deriva. Nella bassa modenese, una pianta che dona un lambrusco dal colore brillante, sapido ed equilibrato è il Salamino di Santa Croce, varietà pianeggiante che si può trovare anche nel reggiano e cresce soprattutto nelle parti di terreno più argillose.

Un altro apprezzatissimo varietale è il lambrusco Grasparossa, considerato il vitigno di collina della provincia di Modena, a partire dal comune di Castelvetro. Qui il territorio collinare è caratterizzato da suoli più sciolti, poveri di calcare, perfetti per lo sviluppo di sensazioni tanniche e avvolgenti. Nella provincia di Reggio convivono parecchie varietà. Tra queste, citiamo il Montericco – delicato, leggero e profumato; l’Oliva, solitamente utilizzato in uvaggio con altri vitigni; il Marani – dall’ottima vigoria e dalle rese incredibili; l’Ancellotta – dalla forte pigmentazione e bassa acidità. Il lambrusco Maestri, invece, sarebbe la varietà maggiormente coltivata nel parmense. La provincia di Parma tuttavia sta gradualmente allontanando la produzione di lambruschi, tanto che negli ultimi decenni le province di riferimento rimangono Modena e Reggio Emilia.

Se dovessimo tracciare a grandi linee le differenze tra la tradizione modenese e quella reggiana, potremmo affermare che la prima ha portato in auge le vinificazioni in purezza, mentre la seconda è rimasta più legata a una tradizione di uvaggio, per la quale, qualche decennio fa, è stata introdotta la dicitura “Lambrusco Reggiano”. Questa suddivisione è tuttavia generalista e non comprende gli approcci innovativi che gli agricoltori artigianali portano avanti di anno in anno, studiando e massimizzando il potenziale delle proprie uve, senza badare a cosa fa il vicino. Ed ecco che nei due ettari reggiani di Podere Magia si predilige la vinificazione monovarietale del lambrusco Maestri: “La prima volta che l’ho bevuto in purezza ho sentito un gusto molto particolare, me ne sono innamorato all’istante per quella sua nota amara che sa essere molto gastronomica e si tramuta in dolcezza quando al sorso accompagni una fetta di salame emiliano. Questo vitigno ha due facce: è rustico e raffinato, selvaggio ed elegante, unisce una bollicina croccante ed esuberante a un profilo corposo e intenso. Come potevo non vinificarlo in purezza?” commenta Stefano Pescarmona a proposito del suo lambrusco Maestri. Tutt’altra storia per Matteo Verri di Perseveranza. Lui, nonostante venga da Modena, voleva imprimere nei propri vini un’impronta all’antica: “la prima volta che mi sono trovato a vinificare, mi sono chiesto come si sarebbe comportato un nonno viticoltore, che io non ho mai avuto. Nel pieno stile contadino, avrebbe unito due o tre varietà di uve per trovare la più autentica espressione della propria terra. Così ho fatto io.”  

Matteo sottolinea anche l’importanza di non dimenticarsi di un altro vitigno coltivato nelle terre emiliane e capace di dare risultati sorprendenti: il trebbiano. “Tutti qui in zona adorano il trebbiano, sia il modenese che il trebbiano di Spagna. Un’acidità incredibile che permane anche ad alta maturazione e crea interpretazioni sorprendenti. Insomma, il trebbiano è un asso piglia tutto, ma la regola è sempre la stessa: le cose buone bisogna saperle fare.”

UNA NEW WAVE NATURALE È POSSIBILE?

Eccoci dunque arrivati al nocciolo della questione: quanto è diffusa l’agricoltura naturale?, chiediamo timidamente. Le risposte che otteniamo si potrebbero definire complementari. Stefano sottolinea gli aspetti positivi della viticoltura emiliana: “in Emilia c’è un bel fermento: noi abbiamo l’associazione Emilia Sur Li, siamo 28 vignaioli che seguono protocolli rigidi con l’obiettivo di portare avanti la tradizione dei rifermentati in bottiglia secondo metodo ancestrale.” Per citarne alcuni: Cinque Campi, il FarnetoCamillo Donati e Crocizia. A proposito della reputazione del Lambrusco, Stefano sottolinea l’importanza di produrre un vino fuori dagli schemi, artigianale e dunque sorprendente: “secondo me la chiave comunicativa più efficace è la seguente: un lambrusco fatto bene è la dimostrazione lampante di quanto possa essere grande la mistificazione del vino convenzionale a discapito del vino naturale. Tutte le varietà di lambrusco vinificate da qualcuno che lo sa fare possono dare dei vini con livelli gastronomici unici al mondo, abbinabili a tantissime cucine diverse – dalla cultura orientale alle tradizioni regionali dell’Italia del nord.” Un vino senza rivali, dunque, che è stato industrializzato e dolcificato al punto da farci dimenticare l’importanza di una tradizione secolare.

Matteo Verri si inserisce nella categoria delle nuove leve, “Anche se non sono così giovane”, scherza. “Comunque, mi sento di affermare che in Emilia c’è una sorta di ‘new wave’, una filosofia artigianale che sta pian piano crescendo e sta tentando in ogni modo di invertire la direzione delle produzioni industriali. Certo, è difficile, ognuno di noi produce poca uva, ma ci confrontiamo molto e la mia sensazione è che i produttori naturali siano sempre di più.” Tra quelli modenesi citiamo Bergianti, Podere Sottoilnoce, Koi, Franchina e Giarone, Angol d’Amig, Paltrinieri e il grande Vittorio Graziano.