Guida pratica alla Lunigiana

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Guida pratica alla Lunigiana

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La Lunigiana parla più lingue. Terra incontaminata di confine, la Lunigiana è un crocevia di storia e cultura incastonato tra appennino ligure, appennino tosco-emiliano e alpi apuane. Un luogo da scoprire e amare attraverso la dialettica dei suoi vini.

In un mondo che tende a confondere l’omologazione con l’equilibrio, esistono ancora alcuni luoghi dove la convivenza di realtà differenti si tramuta in incrocio e l’unione di più vitigni ispira la meraviglia. Parliamo di una regione di confine che corre lungo la piana del fiume Magra e ci insegna l’importanza di guardare oltre la nostra sponda.

QUANDO LA FRAMMENTAZIONE FA LA FORZA

L’etimologia dell’area oggi denominata Lunigiana deriva dalla città latina Luni, colonia fondata dai romani nel 177 d.c. alla foce del fiume Magra, in provincia di La Spezia. Territorio vocato alla viticoltura benché tutt’altro che facile da coltivare, fin dall’antichità se ne cita la ricchezza delle sue bacche. Già Plinio il vecchio aveva parlato della bontà dei vini apuani, commentando: “la palma dei vini d’Etruria l’ottiene il lunense”. Ma come si sono spostati i confini della Lunigiana nel corso della storia? Se nell’epoca romana ci si riferiva a un territorio decisamente limitato e interessante soprattutto per la posizione commerciale strategica, è nel medioevo che per la prima volta si inizia a parlare di “Lunigiana storica”. Tale area rappresentava la diocesi di Luni, ricca di fondazioni monastiche ed estesa dalla Toscana alla Liguria, fino alla provincia di Parma. Fu in questo periodo che l’agricoltura assunse connotati più definiti, organizzandosi nella coltivazione di vigneti, oliveti e castagneti. I contadini dell’epoca coltivavano la vite sugl’irti colli dell’appennino Ligure e Tosco-Emiliano, con una rendita piuttosto bassa.

La suddivisione in feudi della regione, ad opera della famiglia Malaspina, riuscì a mantenere un carattere naturalistico nell’intera zona, costruendo piccoli borghi medievali e castelli circondati da campi coltivati a perdita d’occhio. Come si suol dire della Lunigiana: qui ci sono più animali che persone, e il merito è proprio del sistema feudale che ha fin da subito messo al primo posto la coltivazione della terra. La posizione eccezionalmente strategica di questo corridoio naturale ha attraversato le epoche, trasformando la Lunigiana in un crocevia di eserciti, mercanti e pellegrini che percorrevano la Via Francigena, il percorso che dall’Europa portava a Roma e infine alla Puglia.

La frammentazione del territorio comincia con la fine del feudalesimo, conseguenza della Rivoluzione Francese. Da allora e per tutto l’Ottocento la Lunigiana passa sotto il controllo di ducati, granducati e regni. Nel Novecento la zona diventa campo di azione della Prima Guerra mondiale e vittima di un grave terremoto nel 1920, fino ad essere attraversata dalla linea Gotica, sede di sfondamenti da parte degli alleati nel 1945. Nel dopoguerra la regione rurale si trova a dover affrontare una grande ondata di emigrazione e abbandono delle terre e delle pratiche agricole, con conseguente diminuzione della produzione vinicola. La viticoltura trova una nuova spinta negli anni ’70, dove la moltitudine di vitigni autoctoni cede posto a una tendenza alla vinificazione monovarietale. Ma sarà soprattutto negli anni ‘90 che il vino della Lunigiana troverà la sua classificazione nelle denominazioni Candia dei Colli Apuani e Colli di Luni, accompagnate dalle IGT Val di Magra e Liguria di Levante.

Fin dagli albori della sua storia, la peculiarità della Lunigiana è identificabile nella varietà di culture, tradizioni, popoli (e uve!) che ne hanno attraversato il territorio, andando ad aggiungere ogni volta un piccolo tassello a quella che oggi è una forte unità culturale. Attualmente la Lunigiana è divisa in due province, quella di La Spezia e quella di Massa-Carrara, e benché i confini storici siano molto più ampi di quelli geografici, la storia di questa regione dimostra che è nell’apertura agli altri che possiamo scovare la nostra più profonda e viva identità.

UN ASTERISCO DA LONTANTO, UN MONDO DA VICINO

Se dovessimo collocare la Lunigiana all’interno di un racconto geografico d’Italia, ci verrebbe naturale definirla una di quelle regioni a piè pagina. Spesso identificata come “la regione nella regione”, rappresenta infatti una delle cosiddette individualità nascoste, ossia quei luoghi a margine di altri i cui confini sfumati tendono a farcene dimenticare l’esistenza. Eppure, laggiù dove i grandi centri abitati scompaiono a favore di piccoli borghi medievali circondati da campi e terre floride, cresce una cultura le cui radici hanno solcato non solo il terreno, ma l’identità di chi ancora lo abita. Se la Lunigiana è una terra poliglotta il merito va dunque ai suoi produttori, capaci di cogliere la moltitudine e trasformarla in unicità. Immaginatevi la regione storica della Lunigiana come un asterisco: un piccolo segno su una grande cartina che ci permette di spostare lo sguardo dal generico al particolare, ricordandoci l’importanza di non trascurare i dettagli, spesso nascosti ai bordi delle pagine più piene.

Con Lunigiana vinicola – ci teniamo a specificarlo data la confusione che i confini di questa regione spesso causano – identifichiamo i territori della media e alta valle del fiume Magra, in provincia di Massa Carrara, e la bassa valle del Magra di cui fa parte Luni, in provincia di La Spezia. Questa zona è più piccola della “lunigiana storica”, che arrivava fino alle province di Lucca e Parma, ma più ampia della “Lunigiana amministrativa”, che include solo la parte montana della Toscana. In poche parole: se volete davvero sapere cosa sia Lunigiana e cosa non lo sia, chiedetelo alle persone che ci vivono. Coloro che si sentono lunigianesi non hanno bisogno di una definizione netta dei confini, sono accomunati da un’identità ben radicata nelle proprie tradizioni familiari.

Il territorio ligure sorge in prevalenza ad altitudini identificabili come bassa collina, mentre in Toscana si raggiungono altitudini maggiori, riscontrabili nelle caratteristiche “montane” di alcuni vini della Val di Magra. Dal punto di vista territoriale, le uve dei Colli di Luni crescono su terreni prevalentemente collinari, costellati dalle catene dell’appennino Ligure, dell’appennino Tosco-Emiliano e protetti dalle Alpi Apuane. Il mare si trova a pochi chilometri, perciò non stupitevi se nei vini di questa regione si percepiscono note salmastre e sentori mediterranei. Il vento e le correnti marine la rendono inoltre una zona a clima mite, ideale per la produzione di vini bianchi profumati e sapidi.

I suoli sono a prevalenza argillosa sia in Liguria che in Toscana, fino a diventare ricchi di sedimenti marini nelle zone più vicine alla costa, dove prevalgono limo e sabbie. “È proprio la sabbia a dare sapidità al vino,” ci spiega Andrea Marcesini di La Felce, uno dei produttori che meglio racchiude l’identità della Lunigiana.

UN MELTING POT DI VITIGNI

Di fianco alle note salmastre, nei vini bianchi lunigianesi spiccano i profumi floreali e fruttati, le acidità contenute e un finale lievemente amarognolo, tipico soprattutto dei Colli di Luni. Le meravigliose espressioni dei vini bianchi non tolgono tuttavia spazio alla presenza di interessanti interpretazioni di vini rossi, a partire da uve sangiovese, canaiolo, pollera, barsaglina, massaretta, alicante, aleatico, uve autoctone delle regioni confinati. Solitamente non si producono vini dal grande potenziale di invecchiamento, preferendo concentrarsi su ciò che la terra naturalmente offre: vini freschi, secchi, sapidi, di buona struttura e dai forti richiami marini. Le produzioni liguri si forgiano di una spiccata tendenza di vini dai colori vivaci e acidità basse. I vigneti spesso crescono su versanti terrazzati o terrazze fluviali a cavallo tra la Val di Vara e la Val di Magra, con esposizioni prevalentemente verso est e sud-est. La particolarità dei vigneti toscani della Lunigiana invece sono due: la prima, quella di possedere uve da maturazione prolungata sulla pianta, dovuta agli sbalzi di temperatura notevoli tra giorno e notte. La seconda, quella di togliere l’accento dalla presenza tipicamente toscana di trebbiano e sangiovese, che lasciano lo scettro al vitigno principe dell’intera Lunigiana: il vermentino.

Il vermentino infatti trova dimora perfetta sui dolci pendii soleggiati che si affacciano sia sul Mar Ligure che sul Mar Tirreno. Non che questa sia l’unica uva presente nella vallata, anzi! Al suo fianco troviamo numerose varietà, classificate nel 1994 da uno studio dell’Università di Pisa che ne ha identificate ben 188, di cui 25 prettamente lunigianesi. L’obiettivo era quello di arginare il problema dell’erosione genetica dei vitigni autoctoni, spesso abbandonati e persi. Questa vastità di scelta nelle uve locali, unita a una tradizione contadina di tipo familiare, hanno portato i produttori della Lunigiana a preferire i vini da blend e uvaggi almeno fino agli anni ’70. Nella nostra chiacchierata con Andrea Marcesini ci viene sottolineato più volte: “i monovarietali hanno un effettivo valore commerciale dagli anni ’90, fino a quel momento i vigneti erano tutti coplantati”. E così l’identità “varietale” della Lunigiana si riscontra in vero e proprio melting pot di vitigni a bacca bianca che vedono sì il vermentino protagonista, ma affiancato da trebbiano, malvasie, moscati, albarola, bosco, albana, livornese bianca, verdella, granaccia bianca e molti altri.

Quando chiediamo ad Andrea Marcesini che legame ci sia tra i vignaioli della Lunigiana e la propria terra, ci risponde scuotendo la testa: “preferisco essere chiamato contadino”. La cosa in effetti ha un suo senso: le terre che nutrono un forte legame con il passato e con le tradizioni rurali tendono a prediligere un approccio alla coltivazione multidimensionale. In altre parole? “Vignaiolo è riduttivo”. Qui si coltiva l’orto, si allevano le api, si producono il miele e lo zafferano. L’abbiamo detto e ridetto: la Lunigiana parla più lingue. E i suoi produttori ne custodiscono il vocabolario: quello di Andrea è stato forgiato da un altro grande produttore lunigianese, Andrea Kihlgren di Santa Caterina. Oltre al nome e alla collocazione periferica, i due contadini condividono la filosofia produttiva: benché la marginalità del territorio abbia portato nel corso della storia a un notevole esodo umano con conseguente abbandono dell’attività agricola e calo demografico, in realtà, talvolta, trovarsi ai bordi ha i suoi vantaggi. La modernizzazione industriale del settore vinicolo è qui ridotta al minimo, e ciò ha permesso il mantenimento di una condizione agricola artigianale, basata su un modello rurale sostenibile. I vini Triple “A” di La Felce, così come le chicche artigianali di Santa Caterina, dei fratelli del Torchio e del piccolo produttore di Bradia, Stefano Legnani, sono la dimostrazione che eredità e riscatto si possono fondere per creare interpretazioni uniche e fortemente territoriali. E non mancano realtà virtuose anche sul versante toscano, tra cui spiccano i nomi di Marco Verona e di Giulia Marangon, con la sua azienda dal nome che, dopo aver esplorato la regione, diventa esplicativo: Terre di Confine.

4 GIORNI IN LUNIGIANA: L’ITINERARIO CONSIGLIATO

Avvicinate il naso alla cartina d’Italia e stringete gli occhi: li leggete quei nomi scritti a carattere minuscolo? Nel piccolo asterisco che rappresenta la Lunigiana ci sono una serie di tappe imperdibili che abbiamo deciso di racchiudere in un itinerario all’insegna della cultura di una terra polifunzionale.

Giorno 1: Alla porta settantrionale della Toscana. Piccolo borgo medievale di appena 8000 abitanti, Pontremoli è una cittadina pittoresca che si dispiega attorno alla piazza centrale del Duomo. Le botteghe storiche che costellano le sue stradine caratteristiche sono l’incipit perfetto per immergersi nella cultura lunigianese. Se voleste pranzare qui, ordinate i tipici testaroli al pesto, la vera chicca di Pontremoli. Da qui, prendete la macchina e dirigetevi a Virgoletta, un minuscolo borgo del 1200. Al suo fianco sorge Villafranca in Lunigiana, dove potrete avere un assaggio dei castelli Medievali che costellano l’intera regione storica. Consigliamo una visita al Castello di Malgrate. Se dopo tutta questa cultura e bellezza paesaggistica iniziate a sentire un po’ di acquolina in bocca, saltate nuovamente in macchina: vi consigliamo una rapida tappa ad Aulla, magari per un aperitivo dopo una visita alle sue principali fortezze e abbazie. Subito dopo vi aspetta una scorpacciata di panigacci da Gambin, una trattoria sulla linea di confine tra Toscana e Liguria, a soli 10 minuti da Aulla con ottime referenze di vini naturali.

Giorno 2: Lungo il Magra verso il mare. Mentre guidate in direzione Sarzana, ricordatevi che qui il mattino ha l’oro in bocca, in tutti i sensi però: è arrivato il momento di assaggiare un Vermentino dal colore dorato e dai sapori floreali. L’azienda agricola di Stefano Legnani si trova a 5 minuti da Sarzana. Fatevi portare in giro per la cantina e chiedete di assaggiare il Ponte di Toi, un Vermentino che macera una settimana a contatto con le proprie bucce, essenza della produzione artigianale di Stefano. Ma attenzione: non bevete troppo che col vino siete appena all’inizio. Prima di visitare la città – o anche dopo – vi aspettano i dolci pendii su cui sorge Santa Caterina. Fatevi spiegare da Andrea Kihlgren le differenze tra i tre poderi su cui ha suddiviso la sua piccola produzione. Vi innamorerete sia della terra che della famiglia che ne custodisce i segreti. Da qui a Sarzana il passo è breve: la città in provincia di SLa Spezia vi stupirà per la pace che si respira tra le sue vie strette e colorate. Nel pomeriggio vi consigliamo una visita alla fortezza di arzanello, una fortificazione militare che si affaccia sulla città e ne completa la cornice da una prospettiva unica e a perdita d’occhio. La cena si colora di un’altra tappa obbligatoria: le Officine del Cibo, un ristorante dove la pizza verace napoletana si intreccia a una cantina tra cui troviamo alcuni vini Triple “A”, come quelli di La Felce.

Giorno 3: La Lunigiana secondo Andrea. Partite di buon mattino da Sarzana e scendete verso il Parco Archeologico di Luni. Le rovine dell’affascinante città marittima si trovano ai piedi delle alpi apuane. Dopo una visita all’anfiteatro romano, date un’occhiata all’orologio. Quale che sia la posizione delle lancette, sappiate che gli amori migliori sono quelli senza tempo. È l’ora di La Felce, nella frazione di Ortonovo. Quale scusa migliore della prossimità per passare a salutare il nostro Andrea Marcesini? Quando vi racconterà del suo amore per l’uvaggio tradizionale di più varietà locali, chiedetegli di farvi assaggiare il suo In Origine, un vino bianco macerato che mischia le migliori doti del vermentino, della malvasia e del trebbiano. Segue tappa obbligata per pranzo da Fiorella, a Nicola di Ortonovo: estendete l’invito ad Andrea che è una buona forchetta e un ottimo compagno di tavola. Già che siete in zona, c’è un altro produttore che merita una visita: il Torchio. Nei loro dodici ettari situati a Castelnuovo Magra, i fratelli Gilda ed Edoardo vi racconteranno il loro personale percorso di riscoperta della tradizione del luogo. Li trovate “in una lingua di terra schiacciati tra mare e montagna”: imperdibile.

Giorno 4: Una chiusura con gusto. Per l’ultimo giorno vi diamo due alternative: se siete amanti del mare, allungatevi lungo la costa e scendete verso Marinella. La lingua di sabbia a perdita d’occhio è l’ideale per regalarsi un momento di puro relax. Se invece il vostro cuore batte per la montagna, spostatevi verso il Parco Regionale delle Alpi Apuane, che tocca la Lunigiana, la Versilia e la Garfagnana. Non perdetevi poi un pit stop sulla Via Francigena, la strada che percorrevano i pellegrini da Canterbury fino a Roma, attraversando l’Europa. Per chiudere il viaggio in bellezza dovrete inerpicarvi fino al piccolo comune di Montignoso, dove la famiglia Bacci, nel trio intergenerazionale di Vinicio, Massimo e Margherita, porta avanti la storica macelleria del paese e ha da poco inaugurato La Sosta, un piccolo locale ricavato da un antico forno. Dietro il bancone, Margherita saprà guidarvi nella scelta del vino che fa per voi, che sia l’ultimo assaggio di Lunigiana o il primo del prossimo territorio da scoprire. E non dimenticate di assaggiare le loro salsicce (da mangiare rigorosamente crude): avrete un motivo in più per tornare al più presto.

Buon viaggio!

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