Guida pratica alla Lucchesia

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Guida pratica alla Lucchesia

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Da terra di mezzo a futuro della viticoltura toscana: un’esplorazione delle colline lucchesi in compagnia di tre grandi protagonisti del luogo: Saverio Petrilli, Massimo Motroni e Mauro Montanaro.

Quando ho chiesto a Mauro Montanaro di raccontarmi la storia, il territorio e l’evoluzione della scena vitivinicola della Lucchesia mi ha subito risposto che avrei dovuto parlare con chi vive sul territorio da più tempo di lui. Così mi ha dato il numero di telefono di Saverio Petrilli, enologo di Valgiano e produttore di Malgiacca e di Massimo Motroni, enologo condotto del territorio ed ex presidente della commissione della DOC Colline Lucchesi. “Li sento e li avverto che li chiamerai. Non farti problemi, sono due toscani nell’anima, ti tratteranno come un amico”.

Lucca

LUCCA: UN’ARISTOCRAZIA DIPLOMATICA E UNA RINASCITA DIVERSIFICATA

Sei si pensa alle zone vitivinicole più dinamiche e in fermento nel panorama italiano, la Lucchesia sarebbe senza dubbio tra le prime ad essere citate, soprattutto se si si fa riferimento al vino naturale. Racchiusa tra il Mar Tirreno ad ovest, l’Appennino a est e le Alpi Apuane a nord, la Lucchesia gode di un paesaggio estremamente “toscano”, ma condivide ben poco con il carattere dei vini della regione, dando vita a una scena vitivinicola unica nel suo genere che fonda le sue radici su condivisione e diversità.

Dal punto di vista storico Lucca e le colline che la circondano vantano una tradizione viticola che affonda le radici nel passato. Prima ancora dei Romani, furono gli etruschi o i liguri a dare il via alla coltivazione di queste terre, rivestendo l’intero paesaggio di vigneti. Le famiglie aristocratiche lucchesi, nell’era dei Comuni, si arricchirono grazie al commercio della seta che fece di Lucca una città mercantile. Fu così che anche i vini della regione cominciarono a viaggiare in Europa. Il sistema mercantile entrò però in crisi nel ‘500 e le famiglie nobili reinvestirono i capitali proprio nell’agricoltura dando vita a un complesso sistema di ville-fattorie che ancora oggi caratterizzano il paesaggio delle colline lucchesi. È in questo periodo che si intensificò il consumo di vino locale, una peculiarità del territorio che ancora perdura. Quando il resto della Toscana si reggeva su un sistema feudale, Lucca era delle città più popolose del tempo, dove le famiglie aristocratiche ebbero la capacità di governare con la diplomazia. Questo portò a una grande parcellizzazione delle terre coltivabili e alla condivisione di un obiettivo comune: il mantenimento della fertilità della terra. Il ritorno di Lucca sulla scena internazionale avviene in seguito all’occupazione francese e all’insediamento di Elisa Bonaparte nell’Ottocento, che spiega anche la tradizionale presenza di vitigni francesi in Lucchesia, oltre ai tipici vitigni toscani e altri provenienti dalle regioni confinanti.

Nel secolo scorso, l’arrivo dell’industria manifatturiera comportò come in molti luoghi d’Italia lo spopolamento delle campagne. Mentre il resto della Toscana vitivinicola si apriva sul mercato internazionale, i vini lucchesi non vissero lo stesso rinascimento rimanendo su un mercato interno che comunque garantiva guadagni non indifferenti. Al posto dello sviluppo di industrie vitivinicole o di cantine sociale, il territorio mantenne quindi una parcellizzazione delle terre e un’agricoltura conservativa che oggi rappresentano il più grande valore della viticoltura lucchese. Nel frattempo avveniva un passaggio generazionale che riportò i giovani ad investire sull’agricoltura dando vita alla Lucchesia moderna, una terra estremamente diversificata, dove alla competizione si preferisce lo scambio costante e il gioco di squadra.

UN RITRATTO DELLE COLLINE LUCCHESI

Per farmi un’idea della suddivisone delle colline lucchesi, chiamo Massimo Motroni, agronomo di formazione, ma soprattutto uomo che si spende da più di trent’anni per la valorizzazione del territorio che ama. “Il Serchio” mi racconta “è il fiume che attraversando la Lucchesia, la taglia in due zone molto differenti dal punto di vista geologico e climatico. Il lato occidentale è la porzione di territorio dove sono concentrate le storiche ville di proprietà delle famiglie aristocratiche lucchesi. Il clima di quest’area è influenzato dalla vicinanza del mare e i terreni sono ricchi di minerali: per questo i vini che nascono in quest’area spiccano per la loro freschezza e agilità. Da questo lato si trova ad esempio la Val Freddana, dove le elevate escursioni termiche danno vita a vini molto fini, specialmente bianchi.”

“Al contrario” continua Massimo “il lato destro del Serchio è quello più influenzato dall’Appennino. Qui climaticamente si raggiungono temperature molto alte e un maggior tasso di piovosità. Viene a mancare l’effetto mitigante delle Apuane e del Tirreno, non a caso è una zona dove la conduzione della vigna richiede più attenzione. La presenza di calcare e di argille fa sì che la porzione orientale del territorio sia più vocata per i vini rossi conferendone struttura e longevità.”

Confrontandomi con Saverio Petrilli “La suddivisone della Lucchesia seguendo il corso del Serchio” mi spiega “è un buon modo di approcciare il territorio. In realtà però tra una collina e l’altra dal punto c’è una tale eterogeneità dei terreni che in Lucchesia osserviamo una delle più grandi biodiversità di espressione e di carattere dei vini. Da un po’ di tempo stiamo facendo uno studio geologico del territorio che si sta rivelando molto più complesso del previsto. Con i produttori assaggiamo i vini prima dell’affinamento, quando si sente davvero il carattere della terra e alla fine si scopre che abbiamo davvero poco da spartire col resto dei vini toscani. Volendo si può ulteriormente suddividere il territorio tra una parte più bassa composta principalmente da terreni sedimentari, la Val Freddana e i suoi bianchi notevoli dovuti alla freschezza del clima, la lingua di terra da Matraia a San Gennaro che dà grande struttura e longevità e la parte estrema orientale intorno a Gragrano dove ritroviamo terreni sedimentari preglaciali che si esprimono con vini molto dinamici e di grande bevibilità.”

BIODIVERSITÀ E ASSOCIAZIONISMO

Una delle caratteristiche più stupefacenti del territorio lucchese è la presenza di una biodiversità agricola difficilmente rintracciabile in altri territori. Le ragioni sono da ricercarsi anch’esse nella storica parcellizzazione delle terre dovuto all’alto tasso di popolazione, che ha evitato la creazione di latifondi destinati alla monocoltura. In questo paesaggio bucolico dalle colline distese è più che normale l’alternanza di vigneti, uliveti, campi, pascoli e boschi. “Tutto questo” mi racconta Massimo “ha fatto sì che il grande sviluppo e la crescita della Lucchesia siano avvenute più dal punto di vista agricolo che enologico. Qui ci sono tanti piccoli produttori che hanno voglia di mettersi in discussione. Da questo è nata Luccabiodinamica.

Luccabiodinamica è un altro unicum di proprietà del territorio lucchese, un caso di associazionismo pressoché unico al mondo, nato proprio sotto l’impulso di Saverio Petrilli. “Quando sono arrivato a Valgiano nei primi anni ’90 c’erano tante malattie a livello epidemico che stavano facendo morire le piante più vecchie e facevano sì che anche le nuove viti crescessero male. Ho avuto l’intuizione che il problema provenisse dalla terra. Quando ho conosciuto Alex Podolinsky nel 2001, avevo già sentito parlare di biodinamica, ma a convincermi è stato il suo approccio molto concreto e pratico. In due anni avevo risolto la maggior parte dei problemi del vigneto di Valgiano. Quando venne Alex, invitai altri produttori lucchesi: due mi seguirono fin da subito sulla strada della biodinamica. Erano Gabriele da Prato di Podere Còncori e Giuseppe Ferrua di Fabbrica di San Martino.” Saverio, Gabriele e Giuseppe, cominciano così un lavoro di diffusione di questa nuova concezione agricola basata su pratiche che rimettevano al primo posto il rapporto con la terra.

“Qualche anno dopo in una serata poco sobria tra noi tre ci siamo resi conto che la maggior parte delle aziende del territorio lavorava ormai secondo i principi della biodinamica. Gabriele, il più pratico o forse il meno ubriaco, insistette che quella fosse una cosa da comunicare. Così un evento autofinanziato, nato dal basso e dalla necessità di stare insieme, ha dato il via alla prima edizione di Luccabiodinamica, con una partecipazione e un’attenzione che non ci aspettavamo assolutamente.Oggi Luccabiodinamica è una realtà affermata che conta più di 17 aziende non solo vitivinicole, ma anche di frutticoltura, orticoltura e cerealicole.

Se di viticoltura biodinamica se ne comincia a sentir parlare assai, di orticoltura biodinamica, sinceramente, non ne avevo mai sentito parlare. Anche perché immaginavo che l’impatto di un certo tipo di agricoltura sul prezzo di una bottiglia di vino fosse sicuramente più alto di quanto potesse incidere sul valore delle verdure. Per questo mi faccio dare da Mauro il numero di telefono di Federico Martinelli, orticoltore di Nico Bio. “Da quanto è nata Nico Bio, ho da subito puntato sul biologico” mi racconta Federico “avevo ereditato i terreni di mio nonno che seppure puntasse su un tipo di agricoltura diversificata era legato ai metodi convenzionali. Negli anni a venire però non avvertivo questa differenza sostanziale tra i due metodi”. Nel 2010 proprio Saverio Petrilli invita Federico a una conferenza di Alex Podolinsky a Pisa che si teneva nel vivaio di Marco Moroni (uno dei pochissimi vivaisti biodinamici). Le parole di Alex colpiscono Federico sin da subito che dal settembre successivo comincia con i preparati biodinamici sono bastati dieci mesi per avere un cambiamento nel terreno che non avevo visto in diversi anni di biologico. La biodinamica mi ha fatto mettere in discussione tutto quello che avevo imparato e soprattutto mi ha fatto spostare l’attenzione dalla salute della pianta a quella del terreno”. Quando gli chiedo di approfondire il discorso commerciale Federico non fa una piega “al vino va riconosciuto di aver fatto da apripista, se oggi si parla tanto di biodinamica lo si deve al vino, che ha sicuramente più impatto mediatico delle verdure. Nei mercati sicuramente all’inizio ho riscontrato un po’ di diffidenza legata al prezzo, ma la biodinamica porta a un risveglio istintivo dei gusti. Come se bevi un bicchiere di vino biodinamico ne vuoi subito un altro, così succede anche con le carote. Io ho tanto clienti di zone molto benestanti che di quartieri popolari. Si tratta di decidere di fare una scelta consapevole e i prezzi comunque devono restare alla portata di tutti. Se i prodotti diventassero elitari, allora sì che sarebbe una sconfitta per la biodinamica”.

Così, in concomitanza della rinascita di una ristorazione giovane e dinamica a Lucca, Luccabiodinamica non si limita ad essere una forma di associazionismo unica al mondo, ma diventa un vero e proprio punto scambio, dove i ristoratori possono rifornirsi sia di vino che di materie prime alimentari interamente locali e tutte nate da tanti agricoltori e produttori che condividono lo stesso ideale: quello del mantenimento della biodiversità e della fertilità della terra. “Oggi la sfida è proprio nel trovare il massimo punto d’incontro con i ristoratori” conclude Saverio “da un lato i produttori li informano di cosa c’è in produzione nei vari periodi dell’anno, dall’altro i ristoratori gli dicono di cosa hanno bisogno” e in questo modo si rinnova un legame essenziale tra la città e la campagna con la creazione di un mercato accessibile, di qualità e fatto di solidi valori. Qui non c’è competizione, ma gioco di squadra. Il territorio è gestito internamente e c’è un senso di responsabilità comune basato sulla comprensione del valore dei rapporti umani”. Non deve stupire quindi che oggi la Lucchesia sia uno dei territori vitivinicoli e agricoli più diversificati d’Italia, ma in cui i tanti attori e protagonisti procedono verso un'unica direzione, quella che punta dritta al futuro.

4 GIORNI IN LUCCHESIA: L’ITINERARIO DI MAURO

Giorno 1: Lucca. Lucca è bella da visitare in tutte le stagioni, è un vero e proprio museo a cielo aperto. Appena arrivati è d’obbligo iniziare da una passeggiata sulle mura rinascimentali che circondano la città vecchia, percorribile anche in bici, in tandem o in risciò. Lucca vanta un’offerta invidiabile di ristoranti, trattorie e bistrot di assoluta eccellenza. A pranzo potete andare da Gigliola (bistrot del ristorante stellato Giglio) o da Go.Do Goumet Domestico, un’hamburgheria di qualità.

Nel pomeriggio ci si deve perdere nel centro di Lucca, tra la bellissima e ovale piazza Anfiteatro, l’incantevole torre Guinigi, piazza San Michele, la cattedrale di piazza San Martino e piazza Napoleone (che i lucchesi chiamano piazza Grande). All’ora dell’aperitivo è obbligatoria la tappa all’Enoteca Vanni (chiedete di piazza Pupporona). Ad accogliervi troverete Paolo e Simone, chiedegli di scendere nei sotterranei e rimarrete a bocca aperta! Per cena c’è nuovamente l’imbarazzo della scelta, tra l’Antica Tintoria Verciani, la vera trattoria lucchese, il Giglio, lo stellato dove ci si sente a casa e si mangia da Dio, e l’Imbuto, nella limonaia di villa Pfinner, dove sono state girate delle scene de il Marchese del Grillo di Alberto Sordi.

Giorno 2: Verso le colline lucchesi dell’Appennino. Nel giro di 20 minuti da Lucca si raggiunge la collina di Valgiano, un luogo magico che ospita l’omonima tenuta di Moreno e Laura. Qui è nata Luccabiodinamica. Saverio Petrilli vi accoglierà spiegandovi cos’è la biodinamica e la percezione attiva: la sua energia vi catturerà tanto quanto i vini di questo terroir unico. Se siete fortunati vi porterà anche da Malgiacca, la sua neonata azienda. A pochissimi metri dalla Tenuta di Valgiano c’è Monica Ferrucci, la pastora delle colline lucchesi, che produce vere e proprie delizie. Riempite il paniere e partite: faticherete a scegliere sotto quale olivo fermarmi per pranzare con il tesoro che avete tra le mani.

Riscendendo verso valle sono molte le ville storiche che desteranno il vostro interesse. Non lontana è Villa Torrigiani con la sua facciata barocca policroma e il parco visitabile, ma valgono la pena anche Villa Reale e Villa Mansi. La sera, dopo aver cenato nuovamente in centro, prima di andare a letto fate una tappa al Franklin ’33: uno dei migliori cocktail bar d’Italia.

Giorno 3: Verso le colline lucchesi delle Alpi Apuane. La collina della Maolina si trova a poco più di 5 minuti dal centro città. Questo è uno dei cru della lucchesia vitivinicola, dove Calafata ha preso vita dieci anni fa. La vigna vecchia è un vero e proprio monumento storico alla biodiversità e vanta più di cento anni di età. Tra boschi, oliveti e paesaggi bucolici i ragazzi di Calafata vi porteranno in cantina ad assaggiare i loro prodotti. Calafata infatti non è solo vino, ma anche olio, miele (incredibile quello di spiaggia), ortaggi e incredibili conserve, zuppe e passate che nascono nel loro laboratorio aziendale. Se vi accontentate di un pranzo spartano, saranno felici di accogliervi, altrimenti potete scegliere tra l’Antica Locanda di Sesto e i loro spaziali spaghetti senatore cappelli mantecati nella forma di pecorino, Al Tambellini, un antico bar/trattoria lucchese, e il Pesce Briaco, la miglior offerta marina del luogo.

Al pomeriggio potrete scegliere tra due opzioni. La prima è la più impavida, andando verso la Garfagnana incontrerete Macea, un’azienda unica su una collina circolare terrazzata a vigneti in mezzo ai boschi. Qui nulla è scontato, a partire dai vini e Cipriano Barsanti è un personaggio unico, simpatico e preparatissimo. A questo punto vi tocca proseguire per Gallicano verso Podere Còncori di Gabriele Da Prato. Vini elegantissimi e, a detta di Alex Podolinsky, la vigna più bella d’Europa.

La seconda opzione è quella più rassicurante e vicina. In 5 minuti da Giuseppe Ferrua e Giovanna Tronci di Fabbrica di San Martino: i loro venti ettari e la villa barocca affacciata sulla città che spicca davanti ai vigneti sono uno splendore. Giuseppe è biodinamico dentro, prima di andare in vigna o in cantina, fatevi portare a vedere le sue bestie: asini e mucche rassicurate anche loro da quel luogo magico. Non andate via senza aver cercato Giovanni, Mr Liquor. Il suo “Alpemare” è un liquore ai sentori di elicriso e resina: un po’ mare, un po’ montagna. Oppure il “Frulloncello” ricavato dai limoni dell’azienda.

Giorno 4: Un ultimo giro nel centro storico. Prima di lasciare Lucca dovete salire sulla torre Guinigi, da lì potrete riconoscere le colline che avete visitato, la campagna lucchese e lo splendore della città di Puccini vista dall’alto. Obbligatoria una tappa Da Felice in via Buia, un piccolissimo locale rimasto per più di 50 anni identico a sé stesso. Chiedete una fetta di cecina, una vera specialità. Lì si mangia veloce, in piedi, magari passeggiando verso il vicino Taddeucci in piazza San Michele, storica pasticceria famosa per il suo buccellato, il pane dolce tipico a base di uvetta e anice.

Non sappiamo dove sia la vostra casa, forse dovrete fare molta strada per arrivarci. Sarete un po’stanchi: avete camminato molto in questi giorni. Però sarete paghi per aver assaggiato l'unicità del territorio lucchese e felici perché avrete conosciuto delle persone meravigliose. Ritornerete, questo lo sappiamo!

Buon viaggio!

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