L’Alsazia è una lingua di terra nella parte nord orientale della Francia che si estende in pochi chilometri di larghezza tra i monti Vosgi e il corso del Reno, al confine con la Germania, e in lunghezza per oltre cento chilometri, dalle alture di Strasburgo a Nord a quelle di Mulhouse a Sud, passando per la "capitale" Colmar. La conformazione e l’estensione della regione la rendono un patchwork di suoli, sottosuoli e climi molto diversi tra loro che la candidano tra le zone vitivinicole con più diversità di territori al mondo. Vitigni, metodi di vinificazione e personalità dei vignerons locali arricchiscono la varietà dei vigneti alsaziani: magici, diversi e complessi, ma lavorati con infinita passione.
L’arrivo della viticoltura in Alsazia, come in buona parte d’Europa, fu merito dei Romani. Da sempre ambitissima, luogo di ricchezza e abbondanza e per questo anche di grandi conflitti, l’Alsazia nell’arco dei secoli non conobbe mai un vero e proprio periodo di unità e autonomia. Durante il Medioevo, i vini alsaziani varcarono i confini della regione, raggiungendo il nord Europa attraverso il fiume Reno, a testimoniarlo delle bottiglie etichettate datate 1328 del Grand Cru Kaefferkopf. “Nonostante nel passato tutte le aziende fossero dedite alla policoltura e all’allevamento e meno specializzate nel vino, tutti i grandi terroir alsaziani sono stati piantati a vite, tanto si prestavano alla viticoltura. Oggi molti stanno lavorando per un ritorno a questa forma di agricoltura nei prossimi anni” racconta Christian. Le vicissitudini del vigneto alsaziano proseguirono con la guerra dei trent’anni, l’arrivo della fillossera e la doppia occupazione tedesca, fino alla fine della II Guerra Mondiale con la definitiva annessione alla Repubblica Francese e l’istituzione dell’AOC nel 1962. “Per queste ragioni non è facile individuare un’identità alsaziana, ma si dimostra una regione piena di tesori tanto gustativi, quanto umani, perché gli abitanti sanno mettersi in discussione, rialzarsi dopo le crisi e ricostruire. Per questo l’Alsazia è una delle aree vitivinicole del futuro, la cui reputazione e qualità dei vini continuerà a crescere. L’alto livello energetico della zona ha causato diverse faglie geologiche, che spiegano sia la diversità dei terroir, sia l’energia traboccante della popolazione. Così come la Loira è tranquillità e calma, l’Alsazia è dinamicità e movimento.”
In seguito alla seconda guerra mondiale, il vigneto alsaziano venne ricostruito grazie alle famiglie di commercianti (i négociants) che avevano gli strumenti per crescere e svilupparsi: chi possedeva edifici, chi disponeva di patrimoni fondiari e chi intesseva connessioni con il mondo della finanza. Grazie ai Trimbach, Hugel, Adam, Beyer e Sparr l’Alsazia è stata in grado di recuperare le sue zone d’elezione, di dar vita alle cuvée mitiche come il Clos Saint Hune, di crearsi un’aura da esportare. La seconda generazione di vignaioli (i récoltants) del dopoguerra ha cambiato passo, scegliendo di percorrere la strada dei grandi terroir, dell’agricoltura biologica e biodinamica, a questa generazione appartengono Deiss, Weinbach, Zindt-Humbrecht, Ostertag e Kreydenweiss. La generazione odierna (che ha fatto oro degli insegnamenti delle due precedenti), la terza dalla “rinascita del vigneto alsaziano”, è quella dell’onda naturale, capace di adattarsi alle esigenze della società e alle nuove richieste estetiche di mercato, vini nuovi che poco avevano a che fare con la lunga tradizioni dei vini dolci del luogo, ma dagli alti valori etici, sociali e ambientali: vini secchi, spesso macerati sulle bucce o naturalmente frizzanti (pétillant naturel) , disinibiti, originali e di grande beva. Proprio a questa generazione appartengono Christian Binner e il suo Domaine, Pierre Frick, Meyer, Schueller, cui si stanno aggiungendo tanti piccoli giovani vignaioli, come Florian e Mathilde Beck-Hartweg e molti altri che appartengono al progetto Les Vins Pirouettes, portatori di innovazione e cambiamento, che mantengono costantemente in atto la continua trasformazione ed evoluzione del paesaggio alsaziano.
Lungo i centosettantacinque chilometri di strada della Route du Vins, si snoda il vigneto alsaziano, per il 90% bianco, diviso nei due dipartimenti del Bas-Rhin e dell’Haut-Rhin, dove sono stati individuati cinquantuno vigneti di eccellenza e qualità suprema, i Grand Cru. Come già detto, a caratterizzare l’unicità e l’estrema mutevolezza del terroir della regione è la variabilità di suoli e sottosuoli che alternano granito e calcare con argille, scisti e gesso e un microclima influenzato dal corso del Reno e dalla catena dei Vosgi le cui correnti rinfrescano le notti di una delle regioni più calde e secche di tutta la Francia, restituendo vini agili, profumati, tesi ed eleganti.
Alcuni vitigni stanno riscuotendo rinnovato interesse, come il sylvaner, poco adatto a un regime iperproduttivo e al clima più fresco di un tempo, negli ultimi anni rivalutato grazie alla capacità di mantenere gradi alcolici ragionevoli e belle acidità. Allo stesso modo si sta riscoprendo la coplantazione, in passato molto diffusa e quasi completamente scomparsa in seguito all’acquisizione dello stile di vinificazione “tedesco” monovarietale. “La coplantazione è sempre più praticata al fine di trovare maggior complessità e diversità nelle annate instabili, sia per i vitigni aromatici e semi-aromatici (gewurztraminer, muscat, riesling e sylvaner), sia per i vitigni acidi (pinot bianco, pinot grigio e auxerrois). I vignaioli delle nuove generazioni piuttosto che espiantare le vigne sperimentano nuovi modi di vinificare, come la macerazione sui vitigni aromatici, che oggi stanno prendendo il posto dei vini dolci e potenti per tempo simbolo dell’Alsazia.”
Anche l’agricoltura biologica e quella biodinamica vivono un periodo particolarmente florido e di diffusione. “L’MABD (Mouvement de l’Agricolture Bio-Dynamique) ha la sua sede sociale francese a Colmar, per far capire quanto crediamo in Steiner e nella sua filosofia. I vignaioli che non sono bio sono sempre meno fieri del loro lavoro, basta pensare che oggi vengono ad avvertirci e a scusarsi prima di trattare le loro vigne, quando un tempo venivano a trattare proprio in prossimità delle nostre piante per paura che potessero passargli le malattie. Le mentalità cambiano rapidamente e sono convinto che l’agricoltura biologica sarà un metodo colturale normale tra dieci anni. Sebbene ad oggi la vitivinicoltura industriale rimanga il modello dominante sul territorio, il nostro vigneto sta vivendo un’importante crisi che renderà le grandi aziende fragili. L’inevitabile conseguenza sarà l’abbassamento dei prezzi dei vigneti oggi esorbitanti e la creazione di un terreno fertile per l’installazione di una nuova generazione di vignaioli per cui i vini naturali rappresentano la norma.”
“Il movimento dei vini naturali” continua Christian “è un motore di diffusione di rispetto per la natura e di solidarietà tra le persone. A prova di ciò nelle scorse settimane un mio collaboratore è caduto da trattore e si è improvvisamente messo in atto un movimento di mutuo soccorso all’interno del villaggio tra vignaioli biologici e convenzionali. Non solo faccio parte di questo movimento, ma affianco la generazione di vignaioli esordienti alsaziani e sono stato presidente dal 2008 al 2018 del Salon des Vins Libres d’Alsace, manifestazione di un’associazione di una cinquantina di vignaioli della regione impegnati nella filosofia naturale. Lavoriamo uniti in linea con l’INAO e le nostre associazioni di categoria per farci riconoscere sul mercato con più o meno successo, tanto a volte è forte il peso delle tradizioni.”
Nonostante l’Alsazia sia una terra agricola storica, nel secondo dopoguerra, come tante altre regioni, non sfuggì alla corsa al produttivismo. Attualmente la superficie coltivata è di oltre 340.000 ettari ed è composta per oltre la metà da cereali (principalmente mais e grano), a scapito di oltre un quarto dei vecchi prati e frutteti che delimitavano la pianura, mentre i vigneti ne occupano solo il 5%. “Negli ultimi quaranta anni l’Alsazia ha perso l’80% delle sue aziende agricole, di conseguenza la superficie media per agricoltore è di oltre 35 ettari, condizioni che costringono spesso a una forte meccanizzazione e una disumanizzazione del lavoro e della vita dei suoli.”
Specificità tutte alsaziane sono la coltivazione del luppolo (oltre il 90% della produzione francese) e l’agricoltura di montagna. “In quest’ultimo caso lo Stato e la collettività si sono uniti per la l’incentivo e la salvaguardia di tante piccole aziende locali che oltre ad attrarre turismo, si prendono cura dell’ambiente e del paesaggio.” Queste locande agricole, dette ferme auberge, lanciate dai contadini alsaziani di montagna rappresentano il miglior esempio di questa agricoltura resistente che sottolinea una continuità storica con le antiche fattorie e la transumanza estiva verso i versanti brulli della montagna. La storia di questi contadini, dei pascoli estivi e delle vacche di razza vosgienne è raccontata magnificamente alla Maison du Fromage de Munster, il tipico formaggio a pasta molle alsaziano che ha avuto origine nelle abbazie di montagna fondate dai monaci nel Medioevo. “Molti piccoli produttori si stanno riunendo in delle società cooperative e partecipative, le SCOP, come Le Cellier des Montagnes nella valle di Kaysersberg. Fare squadra è un modo per raggiungere una fetta maggiore di mercato e condividere filosofie e pratiche agricole e produttive comuni.”
Dal punto di vista gastronomico, l’influenza tedesca è evidente già solo dal nome dei piatti tipici d’Alsazia: dalla choucroute garnie, crauti serviti con diversi tipi di carne di maiale, lardo e pancetta, al baekaoffe, una spezzatino di carne di maiale, vitello e pecora macerata nel vino con patate e cipolle; dalla tarte flambée, una simil-pizza sottilissima e croccante, agli spätzle, gnocchetti di patate, formaggio o spinaci, fino al kugelhopf, una tipica ciambella soffice e alta cotta in degli stampi speciali. “Il mio preferito è il piatto tipico che si trova d’inverno nei fermes auberges, il Roïgebrageldi, un pasticcio di patate servito con capocollo affumicato, un’insalata e ovviamente un pezzo di Munster. Il migliore è quello che fanno da La Ferme des Pensés Sauvages, che non a caso lavora in biodinamica.”
Giorno 1: Visita a Colmar. Il viaggio non può che cominciare dalla capitale d’Alsazia con una passeggiata tra i canali e i vicoli del suggestivo centro storico con le tipiche case a graticcio color pastello. Sosta obbligata dall’èpicerie Sezanne, l’alimentari con la miglior offerta gastronomica della città. A pranzo fermatevi sotto la veranda de l’Arpège, piccolo e accogliente ristorante biologico, per cena prenotate al Petit Bidon, una cucina curata e originale. La vita notturna può essere scoppiettante, dopo una bottiglia a l’Un des Sens, fate un salto a Le Grillen, che offre concerti e serate musicali. Pochi minuti di macchina vi dividono dal Domaine Christian Binner, dove potrete passare la notte nelle antiche camere dei vendemmiatori, completamente ristrutturate.
Giorno 2: Sulla cresta dei Vosgi. Con un breve tratto in bicicletta, potrete raggiungere il centro di Kaysersberg per una colazione alla francese alla Boulangerie l’Enfariné, approfittatene per una visita del villaggio e della torre che si affaccia sui vigneti. Dopo aver ripreso l’auto salite a oltre mille metri di altitudine ad Hohneck, il terzo rilievo della catena dei Vosgi, dove potrete godere di una vista unica (se siete mattinieri e fortunati potreste incontrare i camosci al pascolo). In mezz’ora e con delle buone scarpe da trekking potrete raggiungere l’agriturismo Schiessroth, il pranzo ripagherà la fatica. Tornati ad Hohneck proseguite lungo la Route des Crêtes, un percorso sulla cresta dei Vosgi circondati da vallate di prati, boschi e vigneti. Prima di tornare al Domaine per la notte, potrete cenare in una delle tante locande agricole sulla strada.
Giorno 3: Direzione Strasburgo. Seguendo la Route des Vins, si arriva fino a Strasburgo. Lungo la strada da non perdere una visita al Domaine Goepp dove potrete visitare i vigneti di due Grand Cru unici Kirschberg de Barr e Klenever de Heiligenstein. Giunti a Strasburgo perdetevi tra i labirinti colorati della città vecchia e visitate la storica cattedrale gotica. Mangiare bene qui non è difficile, potrete scegliere tra In Vino Veritas, Le Purgatoire e WinStub Au Pont Corbeau, mentre per un aperitivo itinerante spostatevi tra Au Fil du Vin Libre, Entre Deux Verres e Le Cafè des Sports. Pernottamento consigliato al Cour Corbeau, un hotel nel cuore del centro storico che vanta più di 150 anni di storia, che offre una colazione davvero memorabile.
Giorno 4: Giornata a Riquewhir. Tornando verso Colmar, l’ultimo giorno non potete che fermarvi in uno dei borghi più belli dell’Alsazia e della Francia intera. Concedetevi un pranzo di classe a La Table du Gourmet di Jean Claude Brendel, ambasciatore dei vini Binner, dei succhi Mira e dell’olio di vinaccioli. Dopo una visita allo Château de Jaut Koenigsbourg, procedete verso la cittadina di Ribeauvillé per una degustazione dai vignaioli Jean Luc e Michel Scherlinger.
Buon viaggio!
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