Situata nel sud-ovest francese e sviluppata attorno ai fiumi della Garonna e della Dordogna, che confluiscono nell’estuario della Gironda prima di sfociare nell’Oceano Atlantico, e alla città che le dà il nome, la regione di Bordeaux è uno dei territori del vino più significativi in termini storici, qualitativi ed economici, ma anche per la capacità di influenzare il resto dell’intero panorama vitivinicolo mondiale.
Se si pensa ai territori che hanno reso i vini francesi così celebri al mondo, sono tre i nomi che subito saltano alla mente: Borgogna, Champagne e Bordeaux. Queste tre zone hanno saputo, come poche altre, investire sulla qualità e sulla valorizzazione dei propri vini raccogliendo nei calici l’intero universo di sfaccettature e categorie che fanno del panorama vinicolo uno dei mondi più interessanti e variegati: dai grandi rossi e bianchi di Borgogna, alle migliori bollicine della Champagne, fino ai rossi e ai più spettacolari vini dolci di Bordeaux.
Ci sono però alcuni aspetti che hanno reso proprio quest’ultima regione vitivinicola il territorio più blasonato al mondo, capace di influenzare come nessun altro il mercato e il modello produttivo e stilistico dell’interno panorama della vitivinicoltura internazionale. Del resto, è sufficiente pensare al fatto che solitamente anche chi non mastica di vino vede in Bordeaux, prima ancora che nella Champagne e nella Borgogna, la massima espressione dell’eccellenza vinicola mondiale e della grandeur del vino francese.
I meriti della popolarità di Bordeaux sono da attribuirsi a diverse caratteristiche storiche, economiche e qualitative che hanno scritto la storia di questo paesaggio: dalla critica enologica, che a partire dagli anni ‘70/’80 hanno ritrovato nei rossi bordolesi la massima adesione ai propri canoni gustativi, alla posizione strategica della regione che ha reso storicamente facili e vantaggiose le esportazioni dei vini di questo territorio, dal modello di commercio en primeur ancora oggi in auge di cui Bordeaux si è fatto massimo esponente al mondo, al modello di classificazione dei vini delle zone del Mèdoc e di Sauternes e Barsac risalente al 1855 basato proprio sulla storia e sull’esperienza di oltre 150 anni di commercio del vino di queste aree, che ha affermato concetti oggi esportati in tutto il mondo del vino come quelli di Cru e di Château.
Bordeaux si trova nella regione dell’Aquitania, luogo di tradizione celtica e di grande consumo di birra. Le origini della viticoltura sono quindi da ricercarsi nel processo di cristianizzazione del territorio. La grande espansione del vigneto bordolese è però da datare nel Basso Medioevo, quando l’Aquitania, per ragioni storiche, finì sotto il dominio inglese, dando vita a un commercio fiorente di esportazione dei vini vista anche la sua posizione strategica di diretto accesso all’Oceano Atlantico. I vini prodotti a quell’epoca però avevano ben poco da condividere con i grandi rossi bordolesi che oggi identificano e rendono celebre questo territorio. La produzione infatti ai quei tempi si concentrava sui cosiddetti Clareit, vini leggeri prodotti dall’assemblaggio di uve rosse e bianche.
Quando la regione dell’Aquitania tornò sotto il controllo francese, se da un lato si interruppe la linea commerciale con gli inglesi, dall’altro furono gli olandesi a prenderne il posto, concentrando i loro interessi specialmente sui vini dolci e sui bianchi destinati alla distillazione. La fortuna del vigneto bordolese però è da collocarsi tra il XVII e il XVIII secolo, quando le classi sociali più abbienti cominciarono ad investire nelle tenute vitivinicole della zona, improntando la produzione su vini importanti derivanti dai vigneti di proprietà da rivendere a caro prezzo alla clientela straniera. Il commercio di questi vini avveniva tramite l’intermediazione di commercianti inglesi, olandesi, belga e tedeschi: andavano nascendo così i négociants, una primordiale forma di distributori che ancora oggi rappresenta la figura emblematica del commercio dei vini di Bordeaux e di poche altre regioni vitivinicole al mondo. A quel tempo i négociants si occupavano dell’acquisto di grandi partite di vino e del loro assemblaggio in vista della successiva esportazione.
Proprio per questo, quando Napoleone III richiese una classificazione dei vini di Bordeaux in vista dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855, la Camera di Commercio di Bordeaux affidò ai négociants il compito di costruire una classificazione. Questa andò basandosi sul prezzo di acquisto dei vini e, pubblicata il 18 aprile 1855, la Classificazione dei vini di Bordeaux fu il risultato dell’affermazione di un mercato fiorente e ricco di storia. I vini rossi furono divise in cinque categorie, dai Premiers ai cinquièmes Crus, ognuna delle quali con i rispettivi nomi degli Château produttori, e si concentrò sulla regione del Médoc (fatta eccezione per lo Château Haut-Brion di Graves), mentre per quanto riguarda i vini bianchi si limitò la classificazione alle produzioni di vini dolci di Sauternes e Barsac, suddivise in due categorie: i Premiers Crus e i seconds Cru, fatta eccezione per un Premier Cru supériuer, il celebre Château d’Yquem.
Se ad oggi la classificazione del 1855 viene ampiamente considerata superata è tuttora accolta ed ha un considerevole impatto sui prezzi dei vini degli Château. Dal 1855 a oggi, nonostante i numerosi cambiamenti che hanno contraddistinto la storia e le dimensioni delle proprietà degli Château, solo due modifiche sono state apportate alla Classificazione, tra cui il passaggio da second Cru a Premier Cru dello Château Mouton-Rothschild.
Quando gli Château cominciarono ad imbottigliare i vini direttamente nella loro tenuta (il primo fu lo Château Lafite, oggi Lafite-Rothschild, nel 1797), il ruolo dei nègociants nel mercato del vino di Bordeaux si ridimensionò, senza che perdessero la loro importanza. Ancora oggi difatti i nègociants giocano un ruolo fondamentale nel commercio dei vini di Bordeaux, grazie alla formula di vendita en primeur. Questo consiste nell’acquisto di grandi partite di vini non ancora imbottigliate pagate in anticipo, che assicurano un’entrata economica agli Château pronta per essere reinvestita. I rapporti tra gli Château e i négociants sono stretti da legami che affondano le loro radici nella storia (quando non sono i négociants stessi ad essere proprietari degli Château). Quello di Bordeaux risulta di fatto un mercato chiuso (il numero di négociants è di circa trecento, nonostante quelli che giocano un ruolo realmente rilevante è decisamente più limitato), ma allo stesso tempo estremamente solido e pressoché unico nel suo genere.
Quando si parla di taglio bordolese si intende il tipico assemblaggio che ha fatto la fortuna dei grandi rossi della regione: merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc, cui contribuiscono in maniera decisamente minore carmenère e petit verdot. La scalata dei prezzi che ha investito i vini bordolesi, anche grazie alla critica enologica degli anni’70/80, come vedremo in seguito, ha fatto sì che il modello bordolese sia stato imitato ed esportato a livello mondiale, sia in termini di vitigni impiegati (non a caso si parla di vitigni internazionali), sia in termini di affinamento per quanto riguarda l’invecchiamento dei vini in barrique, contenitori di rovere di piccole dimensioni che se a Bordeaux hanno quasi sempre rappresentato la normalità, sono spesso stati importati in territori dove i legni piccoli non appartenevano alla tradizione (si pensi ad esempio a Barolo in Italia).
Il territorio bordolese può essere suddiviso in tre macro aree suddivise proprio dal percorso dei fiumi che tagliano in tre la regione. Dal lato sinistro della Gironda e della Garonna troviamo, come aree più celebri, il Médoc, le Graves e il Sauternais, ossia le zone interessate dalla classificazione del 1855, tra la Gironda e la Dordogna si estende la zona meno celebre che prende il nome dall’omonima AOC Entre-deux-Mers, dal lato destro della Gironda e della Dordogna troviamo zone altrettanto blasonate che in alcuni casi sono ricorse a classificazioni successive e in tempi meno remoti come Saint Émilion, o che invece non prevedono alcun sistema di classificazione come Pomerol.
Il Médoc è un’area di assoluta eccellenza per i vini rossi, situata sulla sponda sinistra della Gironda sopra a Bordeaux, ed è la patria del cabernet sauvignon accompagnato dal merlot e in misura minore dal cabernet franc. Caratterizzato da un clima relativamente caldo umido e di buona luminosità, i vigneti si sviluppano su terreni poveri caratterizzati da ottima permeabilità e presenza di ciottoli. In quest’area si trovano alcune della AOC comunali più note e qualitative dell’intero panorama vitivinicolo bordolese come Saint Estèphe, Saint Julien, Margaux e Pauillac, la più titolata, dove si concentrano ben 18 Château dei 60 classificati nel 1855, tra cui tre Premiers Crus.
Le Graves, situata a sud del Médoc, a partire dalla città di Bordeaux, e sviluppata lunghe le sponde della Garonna, deve il suo nome alla tipica conformazione del suolo formata dalle tipiche “grave”, una combinazione di depositi alluvionali, ciottoli e sassi. In quest’area si producono sia vini rossi, tra cui spicca l’unico Premier Cru non appartenente al Médoc, lo Château Haut-Brion, sia vini bianchi. Ad assumere grande rilevanza però sono soprattutto i vini passiti dolci, nelle due AOC interne di Sauternes e Barsac, quelle interessate nella classificazione del 1855. Le particolarità del microclima di queste aree permette lo sviluppo della Botrytis cinerea capace di far evaporare l’acqua concentrando zuccheri e materia e apportando anche profumi tipici e caratteristici dei vini ottenuti da muffa nobile. Le uve impiegate sono per la maggior parte sémillon, seguite da sauvignon blanc e piccolissime percentuali di muscadelle. Il risultato sono i famosissimi Sauternes (nome di cui si possono fregiare anche gli Château nell’AOC Barsac), vini che combinano estrema dolcezza e beva, capaci di evolvere per decine e decine di anni.
Entre-deux-Mers con le adiacenti AOC che giacciono anch’esse sul territorio tra i due fiumi, rappresentano la macroarea del bordolese meno nota, dove la produzione varia tra vini rossi, bianchi e dolci. Territori vari formati dalla combinazione di argille, calcare, silice e ciottoli danno vita a vini che maturano decisamente più presto rispetto al potenziale di evoluzione offerto dai rossi delle altre due macroaree.
Sul lato destro della Gironda, esattamente di fronte al Médoc si sviluppano le AOC di Blayais e Bourgeais, però le aree che rendono celebre la terza macro area si sviluppano più a sud, concentrate nel Libournais, lungo le sponde della Dordogna. Saint Émilion è l’area più antica dal punto di vista vitivinicolo dell’intera area bordolese. In questo clima temperato oceanico e umido con meno luminosità e meno calore rispetto al Médoc, trova le condizioni perfette il merlot, in combinazione con il cabernet franc e misura minore dal cabernet sauvignon. Non coinvolta nella classificazione del 1855, bisognerà aspettare un secolo per arrivare ad una classificazione di Saint Émilion che vede una divisione in tre classi: i Premiers Crus Classé A, i Classé B e i grands Crus Classé. A differenza di quella del Médoc, questa classificazione è revisionata costantemente, difatti ai Premiers Crus Classé A della prima edizione, ossia Château Ausone e Château Cheval Blanc, si sono aggiunti Château Angelus e Château Pavie.
Pomerol è l’AOC "pecora nera" del territorio bordolese: la grande eccellenza dove il sistema di classificazione non è mai esistito, esteso per solo 800 ettari su terreni molto eterogenei e diviso su tantissimi piccoli produttori. Questa è la patria indiscussa del merlot, che nell’assemblaggio raggiunge l’80% e oltre. Anche in questo caso ci troviamo davanti a vini dal potenziale di maturazione di grande entità e a Château che sono veri e propri mostri sacri della storia del vino, uno su tutti lo Château Petrus, che produce uno tra i vini più cari di tutta Bordeaux.
Il 1982 fu un anno decisivo per la nomea e il mercato dei vini di Bordeaux a livello mondiale. La critica enologica del tempo, spesso e volentieri coinvolta in prima persona nella produzione o nella commercializzazione dei vini, non diede grande valore a questo millesimo trovandolo poco acido, molto maturo e dal limitato potenziale evolutivo. Oltreoceano però un ex avvocato, da pochi anni editore di una rivista che negli Stati Uniti già godeva di grande successo, definì superba l’annata 1982. Si trattava di Robert Parker che con il suo The Wine’s Advocate era destinato a cambiare per sempre la storia del vino e della critica enologica. La forza di Robert Parker fu proprio l’indipendenza dal mondo della produzione e del commercio del vino e la sua influenza sul pubblico e di conseguenza sul mercato americano.
Con i suoi giudizi sui vari vini, espresso secondo una scala in centesimi, Robert Parker cominciò ad avere un impatto sulle quotazioni di mercato dei vini dei vari Château bordolesi in maniera pressoché irreversibile. La sua autorevolezza andò creando il fenomeno della cosiddetta “parkerizazzione”: se le valutazioni di Parker erano tanto importanti da influenzare il valore di mercato dei vini, sempre più produttori, complici le sempre più moderne e avanzate tecnologie di cantina, indirizzarono i loro vini verso il “gusto prediletto” da Parker. Questo fenomeno non investì il solo territorio di Bordeaux, ma l’intero mondo vitivinicolo, dove fiorirono in pochi anni sempre più vini ottenuti da vitigni internazionali e maturati in barrique nuove. Si stavano gettando le basi per quell’omogeneizzazione dei gusti che successivamente ha dato il via alla nascita del movimento naturale, che puntava a rimettere al primo posto l’espressione del territorio, dell’annata e del frutto.
A quarant’anni da tutto ciò, se l’influenza di Robert Parker non è più la stessa, la consacrazione di Bordeaux e soprattutto di un certo stile di vini è ben lungi dall’essere superato. Da un lato la ricerca dei vini dal gusto “parkerizzato” è diminuita, dall’altro continua a coincidere con l’aspettativa di molti consumatori. Nello stesso territorio bordolese sempre più realtà stanno cercando di restituire più valore al lavoro in vigna e all’adesione all’espressione del territorio. Parlare di vino naturale in un territorio come questo non è semplice, ma ci sono alcune realtà che si stanno distinguendo in questo senso nel panorama bordolese. Da un lato chi da sempre lavora non solo nel rispetto dell’ambiente, ma con pratiche di cantina basate su fermentazioni spontanee e sulla ricerca della massima espressione del terroir. È il caso di Château Le Puy e della famiglia Amoreau, a Saint Cibàrd dal 1610, sullo stesso altipiano roccioso di Saint Émilion e Pomerol. Dall’altro lato ci sono aziende virtuose che hanno invertito il loro senso di marcia, come lo Château Pontet-Canet, a Pauillac, totalmente condotto in biodinamica dal 2011, dove le anfore hanno preso posto preponderante in cantina e dove le fermentazioni sono ormai totalmente spontanee, o altre realtà lontane dai grandi blasoni e dal glamour di Bordeaux, che hanno da subito investito su una produzione naturale come lo Château de Piote di Virginie Aubrion.
Se il vino naturale a Bordeaux rappresenta ancora un’utopia, soprattutto dal punto di vista di lavoro in cantina, sempre più Château stanno però riconsiderando un metodo di conduzione agronomica differente, il più delle volte d’ispirazione biodinamica. La percezione però è questa scelta non si faccia bandiera d’onore per i produttori, ma che avvenga in maniera silenziosa, che se da un lato fa pensare a una vera rivalutazione del territorio, dall’altro potrebbe far riflettere sul fatto che una buona fetta dei consumatori di Bordeaux sia poco interessata o addirittura poco predisposta a vedere di buon occhio tale tipo di pratiche agronomiche. Se sia scelta di marketing o di vera rivalutazione del territorio sarà solo il tempo a dirlo, nel frattempo non possiamo che non dispiacerci di questa inversione di marcia.
Giorno 1: L’arrivo a Bordeaux. Per visitare il territorio bordolese non si può che avere come campo base la capitale della regione. La città di Bordeaux, oltre ad offrire una scena gastronomica di altissimo livello, merita una passeggiata nei vicoli del centro storico quasi esclusivamente pedonale, un giro in bicicletta lungo il fiume e una visita dei mercati locali e dell’incantevole museo la Cité du Vin, dove potrete concedervi una degustazione e la vista panoramica su tutta la città dall’alto del suo belvedere al decimo piano. Per pranzo concedetevi il lusso di un plateau di ostriche e frutti di mare nel Marché des Capucines, seduti tra la folla e i variopinti banchi gastronomici d’eccellenza. Per cena invece potete fare tappa da Soif, uno dei primi bistrot con carta naturale della città.
Giorno 2: Médoc tra grandi miti e nuove leve. Una macchina a noleggio è il requisito essenziale per potersi muovere comodamente all’esplorazione del territorio bordolese. La prima tappa non può che essere il Médoc, sulle tracce dei grandi miti della classificazione del 1855. Oltre ai vari Premiers Crus, che comunque meritano una sosta quantomeno per ammirarne l’opulenza estetica, partendo dal nord e riscendendo verso Bordeaux non perdetevi una visita allo Château Cos d’Esournel, a Saint Estèphe, cantina unica dal punto di vista architettonico: un tuffo tra pagode ed elefanti, data la passione per l’India del fondatore. Poco distante, a Pauillac, lo Château Pontet-Canet è una delle aziende più avanguardiste di Bordeaux, che offre uno spettacolare tour dei vigneti a bordo di un caddy e una cantina dove le anfore fanno da protagonista. Infine, a Margaux, lo Château Palmer è uno dei produttori iconici dello stile bordolese, dove le pratiche biodinamiche applicate nei vigneti offrono un’interessante versione di questa nuova rivalutazione del terroir del panorama bordolese. Tornati a Bordeaux per cena potete andare da Mets Mots, un bistrot giovane e dinamico con uno staff di cucina e di sala di scuola Pierre Gagnaire.
Giorno 3: Sull’altro versante del fiume. Dopo aver visitato la sponda sinistra della Gironda è tempo di spostarsi verso il versante opposto, dove il merlot trova la sua culla più fertile. Se Saint Émilion e Pomerol sono tappe obbligatorie, non potete esimervi da fare tappa dallo Château Le Puy (un piccolo video di presentazione) della famiglia Amoreau, vignaioli simbolo del vino naturale a Bordeaux. Jean Pierre sarà felice di accogliervi in una cantina che è un vero e proprio monumento storico e di farvi fare un giro tra i vigneti interamente lavorati con i cavalli. Qui, a Saint Cibard, che giace sullo stesso altipiano roccioso di Saint Émilion e Pomerol, la biodinamica è di casa e potrete assaggiare le più pure espressioni di Bordeaux naturale di tutto il territorio. Lungo la strada incontrerete anche lo Château de Piote di Virginie Aubrion, originaria di Nizza, che ha portato uno stile innovativo e controcorrente nel panorama bordolese. Nell’ultima sera a Bordeaux è bene fare un tour dei locali della vita notturna, tra bar à vin di gran classe come Vins Urbains e Le Flacon Saint Michel o in stile più parigino come Au Bon Jaja.
Giorno 4: Una dolce ultima tappa. Per concludere in dolcezza la vostra visita a Bordeaux e avere un assaggio del panorama completo del territorio bordolese, è bene, prima di tornare a casa, andare verso Graves, alla ricerca delle migliori espressione di Sauternes. Un pellegrinaggio allo Château d’Yquem, luogo di culto del vino, è obbligatorio, ma si possono scoprire anche piccole realtà naturali che offrono a prezzi concorrenziali ottime versioni del passito più famoso al mondo. Un ottimo esempio, nel villaggio di Barsac è lo Château Pascaud Villefranche, che all’agricoltura biologica unisce una gestione di cantina votata al naturale con fermentazioni spontanee e bassissime dosi di solforosa aggiunta.
Buon viaggio!