È possibile fare vini sperimentali in un territorio dove vige una tradizione secolare? Per darci una risposta siamo andati nel Roero a incontrare Giuseppe Amato e Kyriaki Kalimeri, vignaioli di Valdisole.
Salendo da Alba verso Canale, all’altezza di Castelrotto, svoltando a sinistra vi metterete in direzione Corneliano d’Alba. Girando tra i vicoli di questo piccolo comune potrete imboccare via Pesio, una strada che vi porterà ad inerpicarvi sulle colline. Continuando a salire incontrerete sulla destra un piccolo sterrato in salita con una grande insegna di legno. Vi trovate all’ingresso dei vigneti di Valdisole.
UN MOSAICO DI VIGNETI AD ANFITEATRO: LE ORIGINI DI VALDISOLE
Da piccolo volevo fare il cuoco. Quando alla fine delle scuole medie chiesi di poter andare a fare l’alberghiero, i miei prima si fecero una risata e poi mi iscrissero al liceo scientifico. L’Università di Scienze Gastronomiche fu il risultato di una mediazione durata cinque anni, il punto incontro tra la mia volontà e la loro aspirazione di farmi continuare a studiare. A Pollenzo non ci volle molto per capire che per fare il cuoco era già troppo tardi e quasi per caso incontrai il vino. Inutile dire che in poco tempo ambizioni e progetti furono completamente stravolti.


Ho conosciuto Giuseppe Amato e Kyriaki Kalimeri a Fornovo nel 2019. I vini di Valdisole furono la più bella scoperta di quei giorni di fiera. Dopo tre anni vissuti a Bra, dopo aver girato in lungo e in largo Langhe e Roero, stavo incontrando dei vini dell’unico territorio che potevo dire di poter conoscere che erano completamente diversi da tutto quello che mi era passato nel bicchiere fino ad allora. Vini tanto sperimentali quanto precisi, che poco o nulla avevano a che fare con la tradizione di quei luoghi, vini che mi fecero drizzare le orecchie e illuminare le papille gustative.
Da lì in poi ogni volta che ho bevuto i vini di Valdisole ho continuato a stupirmi, calice dopo calice, bottiglia dopo bottiglia. Per questo quando ci mettiamo in viaggio per andare a trovare Giuseppe e Kyriaki ho una sola domanda che mi ronza nella testa: cosa spinge dei vignaioli di un territorio che ha fatto la storia del vino italiano, e dove la tradizione ha sempre ripagato, a mettersi a fare vini fuori dagli schemi?
Capire che si è arrivati alle porte di Valdisole non è poi così difficile: una grande insegna in legno sostenuta da due pali riporta un’incisione con il nome dell’azienda. Nel nostro caso è ancora più facile, c’è anche Kyriaki ad aspettarci “Benvenuti a Valdisole! Giuseppe sta per raggiungerci. Facciamo un giro tra le vigne?”
Dopo aver girato attorno a una piccola casetta di pietra, ci si ritrova immersi in uno spettacolo unico. Il sentiero si trova a metà strada tra una cascata di vigneti che van da cima a valle e che disegnano un semicerchio lungo la vallata, un vero e proprio anfiteatro vitato. “Questo è il risultato di undici pezzi di terra di proprietari diversi” racconta Kyriaki “A Corneliano d’Alba quasi tutti hanno un pezzo di vigna per uso personale, ma l’economia del posto non si è mai appoggiata sul vino. Qui erano commercianti: compravano la frutta in Langa e la rivendevano a Torino. Poi le nuove generazioni si sono trasferite in città, così i vigneti sono rimasti in mano agli anziani e spesso abbandonati a loro stessi”.
Il sentiero che taglia l’anfiteatro di vigneti si chiude dall’altra parte della valle proprio com’era iniziato, con un’insegna in legno sostenuta da due pali con incisa la scritta Valdisole. Sotto c’è Giuseppe che ci aspetta. “Questa sotto i vostri piedi è la nostra prima vigna: tremilacinquecento metri quadrati abbandonati che ho trovato su Subito.it. La proprietaria a momenti non sapeva neanche dove fossero, la prima volta mi ha dovuto accompagnare un signore del posto. Come sempre all’inizio siccome ero uno straniero non ero visto di buon occhio. Poi il mio numero di telefono ha iniziato a circolare nel bar del paese e uno dopo l’altro i vari proprietari mi hanno chiamato per vendermi i loro pezzi di terra. Così oggi abbiamo tutto questo corpo unico di quasi quattro ettari”.




IL SENSO DEL RECUPERO: DARE UNA NUOVA VITA A VECCHI VIGNETI
Giuseppe e Kyriaki non sono vignaioli a tempo pieno: lei, di origine greca, è ingegnere elettronico e ricercatrice, lui, biologo di formazione, importa pesci tropicali da acquario. Inquadrarli non è semplice, ma una cosa la si capisce fin da subito: sono due personalità opposte, forse proprio per questo si attraggono. “Io e Kyriaki ci siamo incontrati a un corso AIS nel 2017. Lei è il mio secondo palato, quello senza peli sulla lingua. Quando le ho fatto assaggiare per la prima volta il mio arneis me l’ha distrutto. A distanza di anni ci stiamo ancora lavorando, fino ad oggi l’ho vinificato in una ventina di modi diversi” racconta Giuseppe ridendo.
Mentre ci inerpichiamo verso la cima della collina, una serie di vigne con una legatura sui nuovi tralci attirano la nostra attenzione “Abbiamo appena fatto un sovrainnesto in campo” spiega Giuseppe “C’erano delle piante vecchie di croatina, invece che espiantarle ci abbiamo innestato sopra la malvasia moscata. Cambi varietà mantenendo il potenziale che l’età della pianta di restituisce nei grappoli”.
Poco più sopra Kyriaki ci tiene a mostrarci un vigneto acquistato due anni prima “Vedete che non cresce l’erba? Questo è il tipico esempio di un vigneto in conversione che ha vissuto quindici anni di diserbo” “Ogni tanto” racconta Giuseppe “l’ex proprietario è ripassato di qui stupendosi del fatto che non lo diserbassi. All’inizio mi guardavano tutti come un pazzo, ero il cittadino che veniva a vivere in campagna, ma che non era capace a tener le vigne in ordine”. In questa zona del Roero, ci spiegano, i vigneti venivano usati esclusivamente per produrre vino per autoconsumo, non a caso per Giuseppe e Kyriaki non è stato facile trovare una cantina in zona dove vinificare le loro uve e attualmente ancora si appoggiano ad un loro amico in Monferrato. “Qui il vino che facevano lo consumavano tutto entro l’anno” racconta Giuseppe “Quando nel 2018 ho portato a un signore a cui avevo acquistato il vigneto, una bottiglia di nebbiolo del 2017 mi ha chiesto perché gli avessi portato il vino vecchio”.
Se da un lato Giuseppe e Kyriaki ridono di questi aspetti, dall’altro proprio in questo sta la grande forza di Valdisole, nel recupero di vigneti abbandonati o mal condotti che restituisce vero valore a una pianta, a una materia prima, a un intero territorio. “Pensa che molti vigneti della zona non sono neanche iscritti nel registro” continua Giuseppe “ma essendo vigne vecchie possono essere messe in regola senza problemi. Mi ha detto che in Roero sono uno dei pochissimi a farlo”.





“Vedete quel pezzo di terra nuda sulla collina di fronte?” ci chiede Kyriaki “Quello è il nostro ultimo acquisto, a breve impianteremo un nuovo vigneto. L’abbiamo comprato perché mi piaceva il panorama visto da lì, poi abbiamo scoperto che dal punto di vista geologico è una vigna pazzesca”. Lo verifichiamo personalmente non appena ci arriviamo. È sufficiente prendere una manciata di terra per ritrovarsi tra le mani resti di conchiglie antichissime. “Una volta c’era il mare” racconta Giuseppe “oggi questo si traduce in una variabilità del suolo impressionante, c’è una combinazione di sabbie, argille rosse e marne. Qui per esempio abbiamo il 76% di sabbia calcarea, dieci metri più in là è già argilla al 50%”.
Mentre concludiamo il giro dei vigneti, tornando verso il sentiero Giuseppe ci racconta di aver mandato per la prima volta il suo nebbiolo in commissione per la DOCG Roero. Il risultato? Rivedibile, perché dalle analisi risultava avere solo 4 mg/L di solforosa. “Gustativamente andava bene, ma il livello di solforosa basso l’ha fatto definire svanito. Potevo scegliere se fargli passare la DOCG aggiungendo solforosa e ingessando il vino o farlo uscire come vino rosso”. Inutile dire quale sia stata la scelta di Giuseppe. “Il problema è che il Piemonte è l’unica regione d’Italia senza IGT. C’è chi lo vede come un motivo di vanto, ma di fatto se non entro in DOC o in DOCG io non posso scrivere sull’etichetta né l’annata né i vitigni dei miei vini e dal punto di vista della comunicazione, soprattutto all’estero, è un problema”.
È a questo punto che mentre riscendiamo lungo i filari, inclinati anche del 45%, che mi rendo conto che anche in Roero esiste la viticoltura eroica. Prendo da parte Giuseppe e mi faccio raccontare come sia arrivato a far parte del mondo del vino. “Finite le medie volevo fare l’alberghiero, ma i miei genitori mi hanno iscritto al liceo scientifico”. Rimango a bocca aperta, è come se stesse raccontando la mia storia. Poi le cose prendono una piega leggermente diversa “Ho studiato biologia, e quando ho cominciato a lavorare andavo a fare la scuola di cucina serale. A 28 anni però mi son reso conto che per fare il cuoco ero in ritardo e nel frattempo mi sono appassionato al vino. Nel 2013 ho scoperto il vino naturale perché non riuscivo più a bere bianchi convenzionali senza stare male. Da lì in poi è andato tutti di conseguenza, ho frequentato il corso di potatura di Simonit & Sirch, ho trovato il primo pezzo di vigna ed è nato Valdisole. Contavo di diventare vignaiolo a tempo pieno già nel 2020, poi ci si è messa di mezzo la pandemia. Datemi ancora tre o quattro anni di tempo”.



IL PUNTO D’INCONTRO TRA PRECISIONE E SPERIMENTAZIONE
Kyriaki e Giuseppe ci portano verso valle dove hanno progettato una piccola struttura in legno, una sala degustazione all’aria aperta con sedie ricavate da vecchie botti. Alle spalle una piccola porticina conduce dentro una grotta. “Pare sia stata abitata da un disertore che scappava dalla guerra” racconta Kyriaki “Noi la usiamo per tenere i vini a temperatura quando vengono degli ospiti a trovarci o per prendere un po’ di fresco quando c’è da lavorare in vigna d’estate”.
Ci sediamo al tavolo, Kyriaki apre le bottiglie, mentre Giuseppe affetta il pane, tira fuori dalla borsa dei formaggi che affina personalmente e dei salumi di sua produzione. “Fai anche salumi e formaggi?” chiedo. Prima che Giuseppe possa rispondere interviene Kyriaki “Durante una fiera in Francia, Giuseppe è andato da Beppe Rinaldi a fargli assaggiare il vino. Volevo sotterrarmi. Gli ha portato anche un pezzo del suo pecorino e gli ha chiesto cosa ne pensasse. Beppe prima gli ha dato del talebano anarchico, poi ha detto che il formaggio era buono, ma che comunque il vino poteva continuare a farlo”.
Sul “talebano anarchico” capisco che è giunto il momento adatto per la mia domanda. “Cosa vi spinge a fare dei vini come i vostri in un territorio come il Roero?” “Quando ho cominciato a fare vino” mi risponde Giuseppe “non mi interessava essere il millesimo produttore di nebbiolo o di arneis. Trovo che il mondo del vino troppo spesso sia ancorato a idee del passato. Se trovo vigne vecchie di nebbiolo è giusto recuperarle, ma non ne impianterei di nuovo. La tradizione troppo spesso è vista come un concetto statico, ma in realtà quello che magari oggi è normale cent’anni fa non lo era. Da un lato è giusto recuperare ciò che sta scomparendo, penso ad alcune varietà come la favorita, che negli anni è stata estirpata per far spazio all’arneis, la malvasia moscata, un incrocio che non ha ancora origini certe che veniva piantato proprio insieme alla favorita, o il bracchetto del Roero, che per trovare tremila gemme per gli innesti con il vivaista siamo quasi impazziti. Dall’altro il nostro modo di fare vino è il risultato di tanti savoir-faire: abbiamo viaggiato tanto, incontrato persone, bevuto vini e ciò che ci ha convinto ce lo siamo portati dietro. Impiantare riesling e gewurztraminer, fare lunghe macerazioni piuttosto che ricercare la flor in Piemonte non è rompere la tradizione, ma semplicemente uscire dalla propria comfort zone importando cose che in altri contesti rappresentano la normalità. In cucina è più che normale prendere cinque ingredienti da cinque zone diverse del mondo e farne un piatto. Ecco noi interpretiamo il vino come se fossimo chef.” “Io e Giuseppe abbiamo gusti opposti e ci compensiamo. Solo su una cosa però siamo sempre d’accordo: i vini, per quanto sperimentali, devono essere precisi” conclude Kyriaki.



È in quel momento che capisco che i vini di Valdisole, nonostante possano essere definiti sperimentali, perché difficili da riconoscere e inquadrare tra i ricordi di qualcosa di già bevuto, hanno in realtà la capacità di raccontare uno spezzato di Roero molto più identitario di quanto facciano tanti arneis e nebbioli in circolazione. La volontà di Giuseppe e Kyriaki di voler tornare a investire su vigneti semi abbandonati li rende unici testimoni di una tradizione in via d’estinzione, la volontà di contaminazione nel loro modo di fare vino li rende tra i pochi disposti a scrivere nuove pagine della storia di questo territorio. I vini di Valdisole non sono vini fuori dagli schemi, sono vini che gli schemi già esistenti li rifiutano a prescindere per disegnarne di nuovi, ma sempre con la consapevolezza che solo attraverso una vinificazione genuina potranno concentrare in bottiglia tutta l’essenza di una materia prima, di un’annata, del loro Roero.
Mentre saliamo in macchina e ripartiamo verso Genova, immagino che se io e Giuseppe fossimo andati all’alberghiero forse le nostre strade si sarebbero comunque incrociate dietro ai fornelli. Poi invece penso che forse dovremmo ringraziare entrambi i nostri genitori per averci iscritto al liceo scientifico. Altrimenti oggi Giuseppe non farebbe vino e io non sarei qui a parlarne.