Privacy Policy Cookies Policy
Terre a Mano: storia della Fattoria di Bacchereto

Reportage //

Terre a Mano: storia della Fattoria di Bacchereto

Scritto da

Ci siamo chiesti come il vino sia capace di restituire nel calice il ritratto fedele di un territorio, di un luogo e delle persone che lo abitano. Per trovare una risposta siamo andati a trovare Rossella Bencini Tesi e Marco Vannucci alla scoperta della storia di Carmignano e della Fattoria di Bacchereto. 

A pochi chilometri da Prato, imboccando a Colle, frazione di Quarrata, la via Baccheretana vi troverete ad inerpicarvi verso le colline del Montalbano, attraversando piccoli boschi e immergendovi man mano che si sale in un paesaggio che assume caratteri sempre più rurali. A poche centinaia di metri da Bacchereto, seguendo le indicazioni dei cartelli vi troverete alle porte della Fattoria di Bacchereto, storica azienda agricola di Carmignano in mano a Rossella Bencini Tesi. 

DA RISERVA DI CACCIA MEDICEA A DENOMINAZIONE D’ORIGINE

Vivendo il mondo del vino a stretto contatto con vignaioli e produttori mi capita sempre più spesso di appassionarmi prima alle persone e alle loro storie e poi ai loro vini. Se da un lato questo è uno degli aspetti più belli delle Triple “A”, al tempo stesso mi viene sempre più difficile emozionarmi di fronte a un vino di cui conosco poco il territorio e il produttore. Tra le eccezioni alla regola che più mi hanno colpito in questi ultimi anni ci sono senza dubbio i vini della Fattoria di Bacchereto. Per questo il giorno che partiamo alla volta di Carmignano per andare a trovare Rossella Bencini Tesi il carico di aspettative è altissimo.

Quando arriviamo di fronte alla fattoria, dalla porta della cantina ci viene incontro Marco Vannucci, cantiniere e braccio destro di Rossella. Indossa una camicia a quadri, ha un marsupio legato in vita e una maschera da sub alzata sulla fronte. La cosa mi pare strana, ma dal momento che è solo la seconda volta che lo incontro, quasi mi vergogno a chiedergli a cosa gli serva quella maschera. Mi riprometto di farlo non appena saremo entrati più in confidenza. Dalla siepe che si affaccia sulla vallata Marco ci mostra il paesaggio: Prato all’orizzonte e Carmignano, il comune che dà il nome alla DOCG, poco più in alto alla nostra destra

Fattoria di Bacchereto

“Di formazione sei enologo?” gli chiedo. Marco fa una smorfia a trattenere una mezza risata “Sì” replica “diciamo che c’ho il titolo”. Poi si scoglie e prosegue senza che lo incalzi “Nella mia famiglia nessuno si è mai occupato di vino, a pensarci bene il vino a me neanche piaceva. Poi un viaggio in Chianti e qualche vino giusto mi hanno stravolto le idee e così ho deciso di iscrivermi ad enologia a Pisa. Dopo l’Università ho fatto un tirocinio alla Tenuta di Valgiano e dall’incontro con Saverio Petrilli ho capito che la mia strada all’interno di questo mondo sarebbe passata attraverso un certo tipo di approccio al vino. Qui a Bacchereto invece ci sono arrivato nel 2008”. Marco ci fa strada all’interno della cantina che è un vero e proprio piccolo gioiello: le pareti azzurro chiaro fanno da contorno ai tini di cemento dipinti di rosso bordeaux per poi lasciare spazio a file di tonneaux di rovere sovrapposti su più file. “Benvenuti alla Fattoria di Bacchereto” fa eco una voce alle nostre spalle seguita subito dopo dai guaiti di Ciaki e White che scorrazzano frenetici tra i nostri piedi. Dalla porta fa capolino Rossella che fa gli onori di casa e ci conduce nella sala principale del casale, dove l’arredamento e i muri subito ci trasportano in un’altra dimensione storica.

Mentre Marco va a recuperare la macchina per portarci a visitare i vigneti, Rossella ci mostra una cartina appesa al muro della zona del Carmignano e comincia il suo racconto Sapete che Carmignano è la DOCG più piccola d’Italia? Il territorio coincide con quello della DOC di ricaduta Barco Reale di Carmignano. Il nome fa riferimento a una riserva di caccia della famiglia dei Medici istituita nel 1600. I Medici recintarono l’area con un muro di una sessantina di chilometri che traccia esattamente i confini della denominazione di origine. L’area boschiva salvaguardava la selvaggina e la recinzione serviva a separarla dalle aree agricole dei dintorni. Qui i Medici organizzavano le loro battute di caccia. E la Fattoria di Bacchereto era proprio una casa di caccia, situata all’opposto della loro residenza, la Villa Medicea di Artimino. Nel 1716 il vino di Carmignano era venduto a quattro volte tanto rispetto alla media del prezzo degli altri vini e Cosimo III, stabilendo delle norme riguardo la produzione del vino all’interno della riserva, andò di fatto ad istituire una primordiale denominazione d’origine”. 

“Con la fine della dinastia Medicea” continua Rossella “la riserva di caccia fu destituita e il territorio si divise. La Fattoria di Bacchereto diventò una casa colonica, abitata dai mezzadri che si occupavano della gestione agricola della tenuta. Mio nonno la acquistò negli anni ’20 e ai quei tempo si praticava una vera policoltura. Pensate che allora l’olio era considerato molto più pregiato del vino tanto che ancora oggi nella Fattoria abbiamo più di ottomila olivi. In seguito, con la fine della mezzadria i miei genitori si sono fatti carico dell’azienda, senza però mai abbandonarne la sua forma originaria”. Marco nel frattempo ci ha raggiunto fuori dal casale, Rossella lascia che sia lui a farci da Cicerone tra i filari e ci dà appuntamento a più tardi. 

TRA I VIGNETI CIRCONDATI DALLE ANTICHE MURA DEL BARCO

Muovendosi lungo le strade del Montalbano ci ritroviamo immersi in un paesaggio toscano completamente diverso da quelli “da cartolina” che si possono incontrare tra le colline del Chianti piuttosto che a Montalcino. I vigneti non costituiscono che una piccola parte della natura che ci circonda, più selvatica e impervia, tra cigli, pendenze, boschi, oliveti, casali e cascine diroccate. “Questo è il vero paesaggio toscano di una volta” ci racconta Marco.

La prima tappa è al Pian de’ Sorbi, un piccolo vigneto di sangiovese da cui nel 2011 è nato l’omonimo vino. A pochi passi dal primo filare si vedono i resti delle mura del Barco Mediceo. “Di norma noi produciamo tre vini: il Carmignano, il Sassocarlo e il Vin Santo. A volte però è necessario adattarsi a ciò che l’annata ci restituisce. La 2011 per esempio è stata un’annata molto calda, le foglie non sono riuscite a proteggere dal calore i grappoli di sangiovese esposti a sud e quindi abbiamo deciso di cimentarci con un passito rosso. Per il momento l’unica altra annata di produzione è stata la 2017”. “La 2021 invece come sta andando?” chiedo “Ho sentito diversi produttori in Toscana quasi disperati per la siccità”. “In realtà grazie a una primavera molto fresca” replica Marco “qui da noi le piante hanno bevuto, inoltre lavorando con viti vecchie con un’elevata profondità radicale, la siccità non l’abbiamo sofferta più di tanto. È vero che gli acini sono piccoli e poco densi di succo, ma negli ultimi giorni ha piovuto e la situazione è migliorata”. Marco si china lungo il filare indicandoci un grappolo e dandoci la conferma visiva di quanto ha appena detto. Alcuni acini presentano delle vere e proprie fenditure di buccia nuda, non coperta dalla pruina. “Solitamente l’intero acino è coperto da questa patina biancastra” continua Marco “la pioggia però ha aiutato la pianta a farlo gonfiare, provocando questa fessura sullo strato di pruina”.

Scollinando dal Pian dei Sorbi ci si riaffaccia sulla valle che ospita la Fattoria. Scavalchiamo la recinzione ed entriamo nel vigneto della Santuaria, dove i filari spettinati di sangiovese muovono le cime a ritmo di vento. “Noi teniamo le vigne rigogliose” ci dice Marco “è il miglior modo perché si difendano dal caldo estivo. Noi non si rintralcia, ossia non riportiamo le cime delle piante tra i fili, altrimenti si lasciano i grappoli scoperti in balia del sole. Del resto, se uno va al mare si porta dietro l’ombrellone, no?”

Mentre torniamo verso la macchina si è fatta quasi ora di pranzo, ma confesso a Marco la mia passione per il Sassocarlo e decidiamo di passare anche da quel vigneto. Il tragitto non è dei più brevi e mi faccio raccontare qualcosa in più sul bianco della Fattoria. “Il Sassocarlo è un assemblaggio di trebbiano e malvasia” mi spiega Marco “noi cerchiamo sempre la massima maturità dell’uva e grazie alla presenza di un torrente a piedi del vigneto, spesso i grappoli di trebbiano vengono attaccati dalla Botrytis cinerea. L’influenza della muffa nobile arricchisce il bagaglio aromatico del vino e gioca bene con il lato amaricante del trebbiano e la parte più aromatica della malvasia”. Il risultato è un vino morbido, potente e di buona grassezza, capace però di conservare una freschezza e una beva invidiabili. Nel vigneto del Sassocarlo convivono piante antiche di varietà miste bianche e rosse, tra cui trebbiano, malvasia, sangiovese, canaiolo e cabernet sauvignon. Dalle prime due nascono appunto il Sassocarlo e il Vin Santo, da quelle a bacca nera il Carmignano.

Mentre saliamo lungo i filari provando a riconoscere le varietà tra foglie, conformazione dei grappoli e sapore degli acini chiedo a Marco come mai in Fattoria si usi il cabernet sauvignon nell’assemblaggio del Carmignano. Diversi produttori toscani che conosco, dopo il boom dei vitigni internazionali, sono tornati alle origini, scommettendo nuovamente ed eslcusivamente sulle varietà autoctone. “In realtà” mi spiega Marco qui il cabernet sauvignon è una varietà storica, si coltiva da più di tre secoli. Alcuni sostengono che a importarla sia stata Caterina de’ Medici, altri che sia merito di Cosimo III che aveva spostato Margherita d’Orleans. In ogni caso si trovano varie testimonianze della presenza storica del cabernet a Carmignano. Veniva chiamato uva francesca, proprio per le sue origini francesi”.

LA RIVOLUZIONE DI ROSSELLA

Quanto torniamo al casale, Rossella ci aspetta davanti a una tavola imbandita e ci invita a sederci mentre, senza parsimonia, versa l’olio della Fattoria sul pane caldo abbrustolito. Marco nel frattempo, venuto a conoscenza della mia passione, apre due diverse annate di Sassocarlo. “Purtroppo non abbiamo bottiglie in fresco, sono un po’ calde” mi avverte.Poco male, ogni volta che mi è capitato di bere bianchi caldi i vini rivelavano la loro vera natura. Un sorso e ne ho la conferma anche stavolta, il Sassocarlo è strepitoso e non perde minimamente punti sulla beva. Il pranzo prosegue tra le chiacchere condite da una vellutata di cetrioli, arista di maiale al forno con patate e innaffiate da calici su calici di Carmignano.

In attesa di chiudere con Vin Santo e caffè, Rossella e Marco ci mostrano una delle perle più rare della Fattoria, la vinsantaia. “Dopo aver appassito i grappoli sui graticci fino a dicembre” ci racconta Rossella “il mosto denso e zuccherino viene trasferito nei caratelli di castagno dove fermenta a più riprese a affina per anni. Nel tempo il vino evapora, ma le botti non vengono mai ricolmate: è proprio nel contatto con l’ossigeno che il Vin Santo trova la sua forma, la sua identità e il suo incredibile potenziale di invecchiamento”. Rossella ne prende una bottiglia e ci spostiamo nel giardino sul retro del casale all’ombra delle fronde degli alberi. 

Davanti al caffè che al palato si mischia all’interminabile lunghezza del Vin Santo, Rossella mi racconta la sua storia e quella della Fattoria. “Discendo da una famiglia di avvocati. Mio nonno, che è stato anche sindaco di Pistoia, quando ha comprato l’azienda aveva uno studio legale. Con lui ha lavorato mio padre e anche io ho studiato legge. A soli due esami dalla laurea però, siccome mio padre mi coinvolgeva sempre di più nella vita dell’azienda, ho lasciato l’Università. Quando ho preso in mano la Fattoria ho sentito la necessità di dare un cambio di marcia. All’epoca di mio padre già non si usavano concimi, ma, anche se con cautela, venivano impiegati antiparassitari e diserbanti. Io ero convinta che la strada giusta fosse quella del biologico, finché non mi sono imbattuta nella biodinamica. La cosa mi ha talmente affascinata che ho cominciato a studiare di giorno e di notte e grazie a un amico che mi ha presentato Leonello Anello, nel 2002 ho fatto il grande passo. La mia però non è stata una scelta di coraggio, ero certa che avrebbe funzionato”.

Mentre il sole va tramontando salutiamo Rossella e Marco e imbocchiamo la strada del ritorno lasciandoci la Fattoria alle spalle. In quel momento capisco che poco importa conoscere prima i vini o le persone che ci stanno dietro. La capacità di emozionare di un calice si riflette sempre nella storia, nei gesti e nelle convinzioni di chi lo produce. Le aspettative altissime sono state più che soddisfatte. Poi d’un tratto mi dispero: mi sono dimenticato di chiedere a Marco a cosa gli servisse la maschera da sub.

Scopri i produttori Triple “A”

Scopri i Vini Triple “A”

Spedizione gratuita a partire da 39€