Quali sono le differenze tra una moderna azienda vitivinicola e una vera fattoria di una volta? Per scoprirlo siamo andati a trovare Franc e Alenka Vodopivec, contadini e artigiani di Slavcek.
Il corso del Vipacco, che sfocia dal monte San Lorenzo e attraversa la Slovenia in direzione sud est per diventare affluente dell’Isonzo, delinea i confini della Vipavska Dolina, una vallata stretta tra i monti. Da Dornberk procedendo in direzione Sezana, incontrerete i cartelli per Potok, piccolo paese che ha dato i natali a Slavcek.
L’ACCOGLIENZA A CASA VODOPIVEC
Dalla telefonata che ho fatto a Franc Vodopivec per chiedergli se avesse del tempo da dedicarci durante il nostro viaggio in Slovenia ho capito due cose. La prima è che, nonostante le difficoltà linguistiche, comunicare sarebbe stato semplice, la seconda è che ci saremmo sentiti come a casa. “Certo che va bene che venite. Ma quanti giorni vi fermate?” mi aveva risposto a parole sue.
Quando attraversiamo il confine immaginario tra Collio e Vipavska Dolina non sono neanche le sei, ma è già buio pesto e orientarsi tra le stradine di campagna è più difficile di quanto si possa immaginare.
A un tratto dal fondo della via appare la sagoma di un uomo alto e corpulento che ci fa cenno di andargli incontro alzando il braccio. Non ci sono dubbi: è Franc. L’insegna davanti alla porta recita “kmetija Slavcek”. “In sloveno significa fattoria dell’usignolo” ci spiega Franc mentre ci accoglie “un tempo era usanza dare nomi di fantasia alle fattorie”. Per Franc “un tempo” significa fare un salto temporale di quasi duecentocinquanta anni, infatti le prime testimonianze scritte che riguardano il legame tra i Vodopivec e Slavcek risalgono addirittura al 1769.
Entriamo in casa e ci si para di fronte una grande sala dominata al centro da un camino e con diversi quadri appesi alle pareti. “Accogliamo ogni anno diversi artisti che vengono qui a dipingere per una settimana” ci spiega Franc mostrandoci un paesaggio della Vipavska Dolina “ricambiano l’ospitalità lasciandoci un loro dipinto”.
Dalla cucina professionale in fondo alla sala fanno il loro ingresso altri due protagonisti fondamentali della fattoria: Alenka, moglie di Franc e cuoca eccellente, e Andrej, il loro secondo figlio, agronomo di formazione. Manca all’appello solo Tomaz, il fratello di Andrej, due anni più grande che ha studiato viticoltura ed enologia.
Alenka ci fa accomodare al tavolo in legno mentre Franc si infila in una porticina, tornando poco dopo con in mano un salame e una bottiglia ghiacciata di Viktorija, il metodo classico di casa Slavcek. Parliamo poco di vino, ancor meno di lavoro e ci concediamo semplicemente alle chiacchiere. Ci raccontano con dolcezza di come han visto cambiare velocemente i tempi e della loro infanzia, di Franc, cresciuto qui col nonno, che a quindici anni già sapeva fare il vino e di Alenka, nata in Carso, che di ritorno da scuola riportava le vacche nella stalla, e poi ancora della recentissima ricomparsa degli ulivi in Slovenia dopo la gelata del 1929 che aveva fatto morire tutti gli esemplari esistenti.
Franc mi mette in mano tagliere e coltello affidandomi il compito di affettare il salame, autentica perla nascosta tra le produzioni della fattoria, e racconta scherzando “Pensate che quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, ormai vent’anni fa, Luca si è innamorato prima del mio salame che del vino.” Gli insaccati però sono destinati solo alla famiglia, agli ospiti e agli amici. “Noi alleviamo cinque o sei maiali all’anno, li ingrassiamo da aprile a dicembre finché pesano circa centosessanta chili per capo. La macellazione deve essere fatta d’inverno quando fa freddo ed è poco umido” puntualizza Franc ”poi figlio di mio cugino si occupa della trasformazione e dopo ottanta giorni di stagionatura i salami sono pronti”.
Alenka intanto fa avanti e indietro dalla cucina trasformando, senza preavviso, l’aperitivo in una cena. Nell’ordine arrivano in tavola fritti a base di erbe di campo, pasticcio di patate, tagliatelle fatte in casa al ragù, cinghiale in umido al pomodoro e un’insalata di Rosa di Gorizia. “Il cinghiale ce l’ha portata un nostro amico cacciatore, la Slovenia ne è sovrappopolata” raccontano “ci costringono a recintare i vigneti perché la madre per far mangiare i piccoli sradica letteralmente le piante da terra. Poi ovviamente i cinghiali sono furbi e preferiscono sempre l’uva dei nostri vigneti che non sono trattati”.
Il connubio tra il savoirfaire di Alenka e le materie prime quasi esclusivamente prodotte all’interno della fattoria ci fanno immergere in una vera e propria esperienza gastronomica. Ad accompagnarla nel calice ci pensa Franc, versandoci nell’ordine una Malvazija Istriana, nuova sperimentazione dai risultati sorprendenti ed etichetta del futuro, una Ribolla Riserva, vino con quale ha vinto il premio per la miglior ribolla già nel 1997, e una Barbera, varietà che è stata importata dai piemontesi in seguito alla seconda guerra mondiale.
Dopo una fetta di strudel di mele, ennesima prelibatezza di Alenka, Franc ci accompagna nelle stanze per gli ospiti della fattoria e ci dà appuntamento alla mattina successiva.
TRA I VIGNETI DELLA VIPAVSKA DOLINA
Al risveglio, il tempo di una doccia e siamo nuovamente con le gambe sotto al tavolo. Alenka ha appena sfornato il pane caldo, che porta in tavola insieme al burro di montagna, alle marmellate fatte in casa e, ovviamente, a una bottiglia di BreskovSok, il succo di pesca di Slavcek.
È lei ad occuparsi della preparazione di questo nettare e ci svela qualche segreto acquisito negli anni di esperienza: “Le pesche vanno raccolte in più giornate, solo quando sono al perfetto grado di maturazione, e tra le sei e le otto e mezza del mattino, quando i frutti non sono riscaldati dal sole. Una volta portate a casa, togliamo a mano i noccioli e usiamo un macchinario che le pressa separando la buccia. Dopodiché il succo viene imbottigliato e pastorizzato”. Il risultato è un succo cremoso e dissetante che ha esattamente lo stesso sapore di un morso di pesca matura.
Franc intanto ci sta già aspettando a bordo del suo 4x4 per portarci in vigna. Saliamo a bordo e subito entriamo in una successione di tornanti vertiginosi che mettono a dura prova la presa delle ruote sul terreno “non preoccupatevi” ci tranquillizza Franc “questa non è una macchina, è un trattore”! Chiediamo a Franc di raccontarci di più di questa valle. “La Vipavska è una valle di una quarantina di chilometri che segue il corso del fiume. Si tratta di una zona ideale per la viticoltura perché questa terra è baciata dal sole e battuta dai venti”.
Mentre saliamo i tornanti sempre più ripidi e stretti, passando tra le terrazze Franc ci indica un punto della montagna ed esclama in una risata “ecco il miglior erbicida che ho mai conosciuto”. Ci mettiamo una trentina di secondi buoni a capire che ci sta indicando due capre. Quando usciamo del bosco siamo giunti sulla cima della collina e proseguiamo a piedi seguendo Franc che s’incespica con le parole per la quantità di cose che ha voglia di raccontarci.
Prima di tutto mette a confronto i suoi vigneti, dove sono state piantate leguminose tra i filari, con quelli del vicino, invasi dall’edera, “l’unica infestante in grado di resistere all’azione del round up. Per fortuna siamo riusciti a trovare un accordo con il proprietario e quanto c’è vento forte non spruzza per evitare che l’effetto deriva porti parte dei prodotti fitosanitari all’interno dei miei appezzamenti”. Dopodiché ci mostra una fascia di terra nuda per illustrarci la composizione dei suoli della regione “i terreni di questa valle sono frutto di una stratificazione di marne che prende il nome di Opoka, o di Flysch nel caso in cui ci sia presenza di arenaria. Le marne della Vipavska si chiamano Lapor e si presentano asciutte, friabili e molto ricche di oligoelementi, responsabili della sapidità di tutti i nostri vini”.
E poi ancora racconta delle signore “che avranno centocinquanta anni in due”, che lo aiutano durante la legatura che segue la potatura invernale, e della “meina”, varietà autoctona di Dornberk tradizionalmente usata in assemblaggio, con cui sta ripopolando i suoi vigneti per fare una prima sperimentazione in purezza.
Infine, mentre torniamo verso valle in direzione del pescheto che sorge al fianco del fiume, Franc ci offre un ritratto dell’attuale scena vitivinicola della Vipavska Dolina “in tutta la regione ci sono poco più di una decina di fattorie biologiche, la viticoltura è meno praticata rispetto al Collio e per questo motivo la cantina sociale paga le uve ancora meno. Così oggi secondo noi il biologico è l’unica strada percorribile, l’unica prospettiva per il futuro”.
LA POLICOLTURA COME MODELLO PER IL FUTURO
Di ritorno alla fattoria siamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia: Franc ha prenotato un tavolo nell’osteria di un suo amico ristoratore, ma non possiamo certo partire senza aver visto la cantina. Alenka si unisce nuovamente a noi e scendiamo lungo le scale che portano al piano sotterraneo. Non ci ritroviamo in una cantina da cartolina con le file di botti ordinate, ma in un vero luogo di lavoro dove ogni centimetro assume importanza e l'organizzazione logistica diventa fondamentale.
Franc ci illustra la stanza dove si trovano le vasche di acciaio e di vetroresina, impiegate per le fermentazioni, gli assemblaggi e lo stoccaggio delle basi dei metodo classico, per poi proseguire verso quella dei legni “abbiamo botti di ogni dimensione e materiale: dall’acacia al castagno, fino al rovere sia di Slavonia che locale, di Slovenia” chiude in una risata.
“Oggi è Tomaz ad occuparsi a tempo pieno della cantina” continua “anche se ovviamente ha sempre a disposizione il mio supporto. Io ho imparato che ero ancora piccolino grazie a mio nonno, che dopo la guerra ha voluto costruire una cantina che per i tempi era moderna per vendere meglio i vini”.
Dopo la morte del nonno, alla fine degli anni ‘70 Franc si mette alla ricerca di sé stesso, i campi di Slavcek restano incolti e la cantina semivuota. È l’incontro e il matrimonio con Alenka a farlo tornare indietro: insieme decidono di restaurare la fattoria di famiglia, dando continuità a una tradizione di oltre duecento anni. “Quando abbiamo cominciato avevamo solo pochi vigneti, le mucche e le pesche” ricorda Alenka “poi, con l’arrivo di Tomaz e Andrej, acquistato nuovi appezzamenti fino ad arrivare ai dieci ettari odierni”.
“La scelta del biologico è arrivata nel 1995” continua Franc “Seguiamo la natura, la osserviamo e le lasciamo fare il suo. A giocare la parte più importante in campagna non siamo noi, ma la terra, l’acqua, l’aria e il sole. Vediamo il biologico non come una scelta agricola, ma come una filosofia di vita. Questo significa che non siamo biologici solo quando coltiviamo la vite e gli alberi da frutto o quando alleviamo il bestiame, ma in ogni momento della giornata: in ogni scelta, idea e decisione”.
Slavcek trova uno dei suoi punti di forza proprio in questo aspetto di diversificazione delle colture e delle attività, e maggior ragione perché accompagnate da un approccio agricolo rispettoso del territorio e dell’ambiente. Se da un lato passare una giornata in fattoria in compagnia di Franc e Alenka porta a immergersi in una realtà che pare rimasta ancorata ai ritmi naturali di una volta, dall’altro mette in risalto quanto oggi la policoltura rappresenti sempre più un modello da seguire per l’agricoltura del futuro. Così, la scelta di investire sul ripristino della fattoria nella sua dimensione originaria ha portato Slavcek ad essere un’azienda agricola d’avanguardia.