Qual è la ricetta perfetta per creare una squadra giovane, polifunzionale e intimamente coinvolta con l’azienda agricola? Per scoprirlo non c’era luogo migliore di Podere Le Ripi, la cantina di Francesco Illy e dei giovani soci Sebastian Nasello e Alessandro Riccò.
Tra le strade che si diramano dalla rotonda di fronte alla Fortezza di Montalcino, seguendo le direzioni per la Badia di Sant’Antimo, si incontrano nell’ordine il Belvedere e alcune delle cantine che ormai fanno parte dei grandi nomi del Brunello. Se alle porte della frazione di Castelnuovo dell’Abate i cartelli vi indicheranno uno sterrato stretto e scosceso che si protrae per oltre due chilometri, allora potete stare certi di aver imboccato l’unica strada che porta a Podere Le Ripi.
DALLA TAZZINA AL CALICE: IL SOGNO DI FRANCESCO ILLY
Nel mondo del vino, specialmente quello che ormai abbiamo smesso di frequentare, è insolito che siano i proprietari delle aziende vitivinicole ad occuparsi in prima persona dei vigneti e delle vinificazioni. Per questo motivo, ci troviamo spesso a ripetere che ad essere Triple “A” non sono le cantine, né le aziende agricole e tantomeno le bottiglie di vino. Le Triple “A” sono prima di tutto le persone. E oltre a essere proprietari sono contadini, vignaioli, cantinieri e produttori. Sono Agricoltori, Artigiani, Artisti.
Era la fine del 2017 quando Stefano Bellotti ci fece per la prima volta il nome di un’azienda a Montalcino per la quale faceva da consulente in materia di agricoltura biodinamica. Non neghiamo che venire a sapere che l’azienda in questione fosse di proprietà di Francesco Illy, il maggiore dei quattro fratelli dell’iconica azienda triestina del caffè, ci lasciò in un primo momento perplessi. “Lavorano bene” ci aveva detto “hanno intrapreso un percorso già da qualche anno, ci lavorano tanti ragazzi curiosi e recettivi. Anche i vini pian piano si stanno sbrigliando”. Sapevamo che della parola di Stefano ci si poteva fidare ciecamente, così neanche due settimane dopo ci trovavamo a cena a Podere Le Ripi, seduti in una grande tavolata con Francesco e tutto il resto della squadra.


Ricordo un uomo sui sessanta con gli occhi chiari e i capelli grigi lunghi legati dietro alla testa, ma di quella sera porto con me soprattutto i suoi racconti. Il passato da fotografo e la vita in Svizzera, il lavoro nel marketing e nel caffè, il colpo di fulmine per la Toscana e la decisione di trasferirsi. Di quando, insieme alla casa, trova cinquanta ettari di terra annessi da anni destinati al pascolo, dell’imprevista nobiltà e vocazione del suolo, del ritrovarsi all’età di cinquant’anni a cominciare a fare il vino. E ancora della cantina aurea, realizzata con l’aiuto del figlio architetto Ernesto, attraverso il disegno, lo sviluppo e la realizzazione di un progetto visionario, dei 750.000 mattoni posati a mano e del vigneto Bonsai, che con 62.500 ceppi per ettaro è il più denso al mondo.

Ad ogni modo, non ci si improvvisa produttori da un giorno all’altro, e questo Francesco lo sa bene. Così nei primi anni sceglie di affidarsi a diversi consulenti, alcuni dei quali ricorda ancora oggi come protagonisti fondamentali del suo percorso nel mondo del vino Ma a cambiare per sempre il destino di Podere Le Ripi ci pensano due incontri. Il primo è quello con Stella di Campalto, vignaiola dell’omonima azienda e prima persona in assoluto a portare la biodinamica a Montalcino, di cui presto Francesco si innamora. Sarà lei a portarlo da Stefano Bellotti, e Francesco, di fronte alla prova della vanga, comprenderà la strada da seguire. Il secondo incontro avviene invece nel 2012, quando per la prima volta mettono piede in azienda l’enologo Sebastian Nasello e, una settimana dopo, l’agronomo Alessandro Riccò, per un totale di cinquant’anni in due. Oggi Sebastian e Alessandro non solo sono ancora lì e hanno creato una squadra giovane e dinamica che sta alle fondamenta della realtà di Podere Le Ripi, ma sono diventati anche soci di Francesco in questa avventura.
Se quella sera forse in Francesco non vedemmo la più fedele incarnazione dell’agricoltore, artigiano e artista, riconoscemmo una mente brillante con delle idee precise in testa, una visione da tramettere e la consapevolezza di non poter fare tutto da solo, di dover delegare, di dare spazio e fiducia. Un uomo d’intuito e di fiuto, che ha riconosciuto in Sebastian e Alessandro le persone giuste su cui scommettere. Podere Le Ripi quel giorno prima che un’azienda agricola ci apparve come il frutto della collaborazione di tanti ragazzi promettenti: un gruppo, una squadra, un organismo complesso composto da tante diverse anime. E allora, vista da questa prospettiva, anche una cantina può essere Triple “A”!


DALLA MONTALCINO DEGLI ANNI’60 ALLE QUOTE BRUNELLO
A più di quattro anni da quel giorno, con la scusa di partecipare a Tutto in Un Sorso, siamo di nuovo a Montalcino. A sua volta la scusa perfetta per tornare a Podere Le Ripi. Lungo lo sterrato il camper Triple “A” alza dietro di sé una nuvola di polvere bianca che oscura la visuale dagli specchietti. Una volta parcheggiati, dobbiamo quasi aspettare che la nube si dissolva per riuscire a vedere la sagoma di Gabriele venirci incontro. Gabriele è il responsabile commerciale di Le Ripi e ha preso parte alla squadra nel 2018 “Ben arrivati, tra poco ci raggiunge anche Sebastian, ma se volete cominciamo a fare un giro” ci propone.
Prima di metterci in cammino ci prendiamo il tempo di un bicchiere d’acqua e di un’occhiata alla mappa della collina di Montalcino e delle vigne del Podere. “I nostri vigneti si dividono su versanti opposti della collina di Montalcino. Qui a Castelnuovo ci si affaccia sull’Amiata, abbiamo venti ettari su suoli argillosi dove il sangiovese si fa più caldo e materico e concorre alla produzione del Brunello Amore e Magia, della Riserva Lupi e Sirene e del Bonsai. Alla tenuta del Galampio invece, dove i terreni volgono al tramonto, abbiamo quattordici ettari circondati da un bosco su suoli alluvionali che restituiscono uve più generose e vini più classici e femminei. Da qui nascono il Rosso Sogni e Follia, il Brunello Cielo d’Ulisse e il nostro primo bianco, il Cannatorta”.
Scendiamo verso valle lasciandoci alle spalle cantina e sala degustazione e Gabriele ci racconta di più sul Brunello di Castelnuovo “Quest’area inizialmente non era considerata vocata per la viticoltura, tant’è che storicamente su questo versante si coltivavano solo le olive. Poi con il boom di Poggio di Sotto, tutti hanno cominciato a impiantare vigneti anche qui”. “Mi avevano raccontato che quella del Brunello in generale è una delle storie più recenti del vino” dico guardando Gabriele che subito ribatte “Proprio così! Negli anni ‘60 Montalcino era un territorio poverissimo, fate conto che un ettaro di vigna stava sui diecimila euro. Il momento di svolta coincise con l’arrivò di Banfi, ossia della famiglia Mariani, importatori americani di vino e bevande che, intravedendo la potenzialità del progetto di Biondi Santi, investirono su Montalcino comprando novecento ettari vitati e puntando tutto sul Brunello. L'arrivo sul mercato americano diede al Brunello una nuova popolarità e fama decretando la comparsa di numerosi player internazionali al fianco dei contadini locali e degli ex mezzadri per cavalcare l’onda del successo. Così oggi Montalcino è un piccolo borgo immerso in una dimensione internazionale. Cinquemila abitanti per quaranta diverse nazionalità. Duecentocinquanta aziende vitivinicole per un giro di turismo che conta diversi milioni di presenze all’anno.”
“Molto lo si deve anche a Ilio Raffaelli che in quegli anni era sindaco e fece una vera e propria battaglia per non industrializzare il territorio” ci sorprende la voce Sebastian da dietro.
“Scusate il ritardo ragazzi. Senza di lui Montalcino non sarebbe quella che è oggi, ossia il frutto dell’eredità culturale degli antichi poderi dei mezzadri, dove la policoltura era la chiave per la sussistenza. A oggi solo il quindici per cento della superfice della collina è vitato e le denominazioni e le quote Brunello sono chiuse. Quindi boschi, olivi, incolti e altre colture contribuiscono a conservare l’identità e il patrimonio di biodiversità di Montalcino”.
“Come funzionano le quote Brunello? Sono tipo le quote latte?” chiedo a Sebastian. “Beh in un certo senso sì. Oggi la denominazione ammette 2100 ettari a Brunello e 500 ettari a Rosso di Montalcino e ogni produttore ha una certa estensione che può dedicare alla produzione dei due vini, le quote. Ad esempio noi abbiamo la concessione per otto ettari a Brunello e cinque a Rosso. In vendemmia ognuno fa le sue considerazioni e a novembre dichiara le parcelle di origine dei suoi vini”.
“In quest’ottica” aggiunge Gabriele “bisogna anche considerare le rese massime che nel disciplinare del Brunello sono fissate a settanta quintali all’ettaro. Tenete conto che lavorando in bio si arriva a fatica a quaranta, cinquanta quintali. Oggi in molti si chiedono se abbracciare un sistema di sottozone, come han fatto a Barolo, ma si tratta ancora di un argomento molto divisiorio all'interno della comunità di Montalcino”.
UN INCUBATORE DI GIOVANI VIGNAIOLI
Mentre si chiacchiera Gabriele e Sebastian ci tengono a mostrarci le novità introdotte durante questi anni in azienda. “Uno dei punti fondamentali della biodinamica è la concezione dell’azienda agricola come un organismo vivente diversificato e multifunzionale” ci spiega Sebastian “oltre ai frutteti, alle arnie, ai boschi e ai laghi che avevamo già, abbiamo aggiunto uno spazio per gli animali e un orto sinergico”.
Passiamo così da un recinto dove convivono pacificamente una chianina, due asini amiatini, due capre e dodici pecore “Con il letame produciamo il preparato 500 per la vigna e da autunno a marzo invece li lasciamo pascolare liberi in vigna” continua Gabriele “l’introduzione di un allevamento, anche se piccolo, è un’attività quotidiana onerosa e impegnativa. Qui a Montalcino hanno tutti solo la vigna, tenere gli animali è assolutamente antieconomico, ma la nostra idea è di voler curare anche la cornice nel quale si sviluppa Podere Le Ripi. Vogliamo sempre fare un passo in più per avere nuovi impulsi e nuova energia. L’orto sinergico invece è il luogo dove facciamo sperimentazioni su nuovi preparati biodinamici e coltiviamo ortaggi per i nostri ospiti e i nostri dipendenti”.
“A quanti siete arrivati?” chiedo sapendo che la squadra di Podere Le Ripi è tra quelle più folte del nostro catalogo. “Oggi siamo in ventiquattro persone per un’età media che si aggira attorno ai 29 anni” replica Sebastian “Quello che io insieme ad Alessandro abbiamo provato a creare in questi anni è una squadra di ragazzi svegli, entusiasti e dinamici. Essendo arrivati che eravamo così giovani la scelta degli altri componenti è ricaduta subito sui nostri coetanei: con loro parliamo la stessa lingua”.
“I primi anni non sono stati semplici” continua Sebastian “abbiamo lavorato tantissimo sulle visite ai privati perché dovevamo vincere il pregiudizio che Podere Le Ripi fosse il passatempo di Francesco Illy. Venendo qui di persona crediamo che si riesca a comprendere a pieno tutto l’impegno, la passione, la serietà e la filosofia che ci stanno dietro. Pensate che contiamo circa dodicimila presenze l’anno, una media di più di trenta visitatori al giorno. E solo le vendite in cantina contribuiscono al 50% del fatturato. Anche per questo siamo un team così grande! La cosa più bella però è esser riusciti a creare una squadra senza turnover, qui non abbiamo lavoratori stagionali! Ogni ragazzo si specializza in un’attività, ma allo stesso tempo è in grado di occuparsi di tutto: dalla vigna alla cantina, dall’accoglienza al magazzino. Insomma Podere Le Ripi è in qualche modo diventato un incubatore di vignaioli del futuro, che saranno forti di aver fatto esperienza di un’agricoltura pulita, l'unica capace di restituire valore al territorio”.
Gabriele propone di fare qualche assaggio da vasca e ci incamminiamo verso la cantina, mentre chiedo ai ragazzi di raccontarmi il futuro del vino in questo territorio. “Il potenziale qualitativo di Montalcino è ancora tutto da esprimere” incalza Sebastian “Per me a fare vini con un’anima sono solo 20 e 30 produttori. Oggi molti vini sono un po’ dopati, fatti su misura per il mercato americano cresciuto a Brunello che hanno determinato il successo commerciale di Montalcino”. “Bisogna sapersi adattare al cambio dei tempi” interviene Gabriele “i giovani difficilmente bevono Brunello, è un prodotto troppo caro. Hanno prima bisogno di avvicinarsi al vino in un altro modo e per questo motivo eventi come Tutto in un Sorso, che portano altri produttori da tutto il mondo qui a Montalcino, sono fondamentali. A proposito, che ora si è fatta?”
L’orologio segna le dodici: la fiera è già cominciata da due ore. “E se i vini li assaggiassimo direttamente lì?” chiede Sebastian “Ah, stasera siete a cena a casa mia che vi racconto anche di Bakkanali. Mi sono messo con un amico a fare il vino sull’Amiata!” Ma questa, per quanto non vediamo l’ora di raccontarla, è un’altra storia.