Quali sono state le influenze della collaborazione tra Cascina Fontana e le Triple “A”? A cinque anni dalla prima annata del nebbiolo senza solfiti siamo andati a scoprire i nuovi progetti di Mario Fontana e del figlio Vasco.
Dal centro di Monforte d’Alba, procedendo in direzione Castiglione Falletto, due dei comuni simbolo del paesaggio del Barolo, sulla destra troverete le indicazioni per svoltare in direzione della frazione Perno. Pochi chilometri vi separano dal cancello che segna l’ingresso di Cascina Fontana, casa e cantina di affinamento della famiglia Fontana.
UN NEBBIOLO FUORI DAGLI SCHEMI
Sono passati cinque anni da quando il Vino Rosso di Cascina Fontana ha fatto il suo debutto nelle Triple “A”. Lavoravo in Velier da pochi mesi e dopo tre anni vissuti nelle Langhe fu sufficiente avvicinare il calice al naso per sentire aria di casa. Eppure, dopo il primo sorso, mi accorsi che di fronte avevo un vino che aveva qualcosa di differente da tutti i nebbiolo che mi erano passati tra le mani fino ad allora. E mi piaceva da impazzire. A dare un nome a quella “diversità” ci pensò Mario Fontana in persona, quando andai a trovarlo qualche mese dopo. Quel vino nasceva dalla sua voglia di sperimentazione, di provare per la prima volta a fare un vino senza solfiti aggiunti e di dare un nuovo volto al nebbiolo all’interno di un territorio dove la tradizione detta legge.
Il Vino Rosso nasceva da dieci filari di uve nebbiolo, solitamente destinate alla produzione di Barolo, raccolte in Cascina Gallinotto, ai piedi di La Morra. Era la vendemmia 2015 e Mario, coadiuvato dal figlio Vasco, ai tempi poco più che quindicenne, aveva deciso di seguire una strada di vinificazione sui generis, non tanto per l’assenza di anidride solforosa, né tantomeno per l’impiego di un contenitore di vetroresina, quanto piuttosto per una macerazione che, seppur breve, prevedeva l’uso di parte delle uve a grappolo intero, raspo incluso. Così al lato già di suo scorbutico del nebbiolo in gioventù andava ad aggiungersi quel tannino “verde” dato dalla vinificazione con i raspi. Eppure il risultato complessivo era stupefacente: un vino freschissimo, di pronta beva, tutto improntato su un frutto croccante, che non rinunciava al carattere identitario del varietale e del luogo di provenienza. Le ottocento bottiglie, ossia l’intero volume di produzione, andarono a ruba, a cominciare proprio dagli amanti del nebbiolo. Così quando Mario ci ha invitato a tornare da lui per assaggiare la 2020 non ce lo siamo fatti ripetere due volte.
Il timido sole della prima mattina settembrina ci guida tra i tornanti che si fanno strada tra i vigneti fino a Perno, frazione di Monforte d’Alba. Mario, sorridente e affabile, ci aspetta sulla soglia della porta di casa dove si trova anche la cantina di affinamento. Le botti da 25 ettolitri lasciano subito intuire l’appartenenza di Cascina Fontana alla “fazione” dei tradizionalisti del Barolo “Sono botti di Garbellotto” racconta Mario “un produttore di Conegliano che usa un rovere meno poroso e più neutro rispetto a quello francese. È tra i pochi che fa ancora le botti a doghe spaccate, che seguono le vie linfatiche della pianta riducendo ulteriormente lo scambio d’aria con l’esterno”. Mario non è un enologo né un tecnico, ma mentre ci parla dei contenitori e del loro rapporto con vino dimostra subito tutto il suo bagaglio d’esperienza frutto dell’appartenenza alla sesta generazione di vignaioli della famiglia “Di norma in acciaio vinifichiamo il dolcetto e parte della barbera, l’inox conferisce ai vini un’energia più nervosa che aiuta la beva, nel cemento barbera e nebbiolo di La Morra, mentre la vetroresina, che riesce a far esaltare di più il frutto, la usiamo per il nebbiolo di Castiglione Falletto che per sua natura è più austero e verticale. Poi alla fine nella concitazione della vendemmia può capitare che si finisce a fermentare dove c’è spazio… io ho imparato a essere fatalista, seguire le strade costrette ti insegna sempre qualcosa di nuovo”. Così del resto è stato nel 2015 con la prima vinificazione senza solforosa che aveva affrontato non senza timori “All’inizio ero tanto curioso quanto preoccupato” continua Mario “poi ho pensato che oggi beviamo Barolo di cinquant’anni fa che sono perfetti ed erano fatti senza solforosa”.
LA STORIA DI CASCINA FONTANA E DUE BAROLO A CONFRONTO
Mario ci invita a salire al piano superiore, dove ci aspetta anche sua moglie Luisa. Ci sediamo al tavolo della cucina di fronte alla parete a vetri che lascia spazio al tipico paesaggio mozzafiato di Langa con il susseguirsi di filari fino all’orizzonte e chiedo a Mario di raccontarci la storia di Cascina Fontana. Mario sorridente la prende alla larga “Dobbiamo tornare indietro fino al 1800 quando, per questioni di eredità la Cascina si era divisa in Cascina Fontana e Cascina Fontanin. Mio nonno è riuscito a riunirle negli anni ’90, ma erano anni di profondo cambiamento qui a Barolo io e mio padre abbiamo cominciato ad avere una diversità di visione troppo grande per poterla colmare. Così io a 27 anni ho preso in mano le vigne di Fontana a Castiglione Falletto e ho deciso di seguire la mia strada”. Mario però si trova senza cantina ed è così che arriva a Perno dove per portare avanti le vinificazioni affitta una cascina abbandonata di proprietà della famiglia Cappa di Dogliani. “Poco tempo dopo ho scoperto che la casa dove siamo ora, di proprietà della Curia, era stata messa in vendita e ho deciso di acquistarla, spostando qua sotto la cantina di affinamento e lasciando dai Cappa lo spazio per le fermentazioni, almeno finché il proprietario non mi ha chiesto di sgombrarla: avevano in progetto di fare una cantina anche loro”. Mario così è costretto a un nuovo spostamento, anche se la cantina dei Cappa non nascerà mai. “Alla fine poco tempo fa il figlio del proprietario me l’ha venduta e così alla fine mi sono ritrovato con tre spazi diversi. Mio figlio Vasco nel frattempo ha finito la scuola enologica e ha deciso di voler seguire la mia strada. Mi piacerebbe creare insieme a lui a uno spazio di sperimentazione dove dare vita a vini che seguano lo spirito e le intenzioni del Rosso senza solfiti!”. “E le uve da dove verranno?” chiedo. “È proprio qui che volevo arrivare” ribatte Mario “andiamo, vi faccio vedere una cosa”.
Prima di partire però non ci lasciamo sfuggire l’occasione di assaggiare dalle botti le due espressioni di Barolo Fontana. “Potenzialmente dalle nostre vigne” racconta Mario “potremmo produrre Barolo da tre cru. La nostra volontà però è stata quella di non concentrarci sulle menzioni geografiche aggiuntive, ma di fare un Barolo d’assemblaggio come si faceva un tempo. L’idea che portiamo avanti è che in questo modo non bevi Villero, Giachini o Mariondino, ma bevi Fontana. Questo conferisce unicità di stile al nostro Barolo. Dal 2013, quando l’annata ce lo concede, produciamo anche un Barolo dai soli cru di Castiglione Falletto”. Nei bicchieri abbiamo a confronto le 2019 del Barolo "Fontana" e del Barolo del comune di Castiglione Falletto.Il primo già più pronto e concentrato sul frutto, tratto tipico del nebbiolo cresciuto sui terreni “più recenti” di La Morra, e il secondo più austero e serioso, dalla trama fittissima, che promette un potenziale di affinamento nel tempo senza paragoni.
VASCO E IL FUTURO DI CASCINA FONTANA
La tabella di marcia è serrata. La prima tappa è la cantina di fermentazione, l’ultim, dal punto di vista cronologico, dei tre luoghi su cui si sviluppa la produzione di Cascina Fontana. Qui incontriamo Gabriele, ventisettenne braccio destro di Mario, alle prese con i rimontaggi sulle masse del dolcetto raccolto il giorno prima e pigiato la mattina presto. “L’aria in questa fase è importantissima” ci spiega Mario “specialmente se si si ha a che fare con le fermentazioni spontanee: diamo modo ai lieviti di moltiplicarsi e di cominciare il loro lavoro”. Mario poi ci mostra le assi di legno che impiega per la macerazione a cappello sommerso nei tini di cemento, ma il tempo stringe ed è già il momento di muoversi verso la seconda tappa.
Alla Cascina dei Cappa, oggi impiegata principalmente come deposito per i trattori, gli attrezzi e per il riposo dei vini in bottiglia prima della messa in commercio, finalmente conosciamo Vasco: vent’anni, ragazzo spigliato e dal sorriso identico a quello del padre. “Per assurdo, dal trovarmi con problemi di spazio, oggi ne ho in abbondanza. Per esempio qui abbiamo ospitato Marco Tinessa per la vinificazione del suo Ognostro” ci dice Mario “e qui mi piacerebbe dare vita insieme a Vasco al progetto di cui vi parlavo. Lui, avendo studiato alla scuola enologica, è più tecnico di me, io del resto sono l’antitesi della tecnica, ma insieme creiamo una commistione di idee e convinzioni accrescendo l’esperienza l’uno dell’altro”.
Finalmente è tempo di scoprire le origini dell’uva che serviranno a dare vita a questo nuovo progetto, facciamo posto anche a Vasco in auto e proseguiamo in direzione Montelupo Albese, poche centinaia di metri in linea d’aria fuori dalla DOCG del Barolo. Qui conosciamo Ugo, ex impresario edile che dopo trentotto anni passati nei cantieri, ha deciso di cambiare vita diventando viticoltore. Mentre scendiamo lungo i filari è evidente che la filosofia di lavoro in vigna che Ugo ha scelto di adottare è la stessa di Cascina Fontana. Del resto conoscendo Mario non potevamo che aspettarcelo. Ecco, da questi vigneti verranno le uve che Mario e Vasco useranno per dare vita al loro nuovo progetto ancora senza nome, ancora senza etichetta, ma che avrà come fondamenta lo stesso spirito del Vino Rosso senza solfiti.
Prima di salutarci, ci sediamo al tavolo di un ristorante di Sinio, tra carne cruda, vitello tonnato, tajarin al sugo d’arrosto, ravioli del plin e ovviamente un calice del Vino Rosso 2020. Sono passati cinque anni, ma sento ancora aria di casa. La “diversità” però ha un nuovo volto, è quello del futuro, è quello di Vasco seduto di fronte a me.