È possibile unire il recupero dei vigneti e delle persone? Siamo andati verificarlo di persona dalla Cooperativa Calafata, in Lucchesia, una delle aree viticole dove si sta scrivendo il futuro del vino tra etica, sostenibilità e biodinamica.
Lungo la statale che dalle mura di Lucca porta verso nord, a poche centinaia di metri dal mercato comunale, incrocerete sulla destra una strada che sale verso una collina, si chiama via della Maulina e porta nel luogo dove è nata Calafata, la prima cooperativa agricola e sociale della Toscana.


CALAFATA, FATTA DI COINCIDENZE E PERSONE
Non è mai semplice riuscire a capire e a individuare come e quando nasca un’azienda agricola. Nel caso di Calafata, trattandosi di una cooperativa agricola e sociale, la cosa si complica ulteriormente. Per chi crede nel destino Calafata esiste grazie a una serie di fortuite e fortunate coincidenze, grazie come si suol dire alle persone giuste capitate nel posto giusto al momento giusto, grazie a Mauro Montanaro, a Maik Tintori, a Marco Bechini, a Lorenzo Citti. Perché prima dei vigneti, delle uve e dei vini a Calafata contano le persone.
Quando arriviamo in cima alla Maulina, Mauro, sorrisone e capello brizzolato, ci aspetta lungo la strada asfaltata con cinque paia di stivali da lavoro in mano. Ha piovuto fino alla sera prima ed entrare in vigna si rivela più faticoso di quanto possa sembrare. “Cominciamo da qui perché queste sono state le nostre prime vigne, un tempo avevamo qui anche la cantina, ma era troppo piccola e ci siamo dovuti spostare” racconta Mauro.
La prima cosa che stupisce, dopo l’estrema vicinanza a Lucca, è il paesaggio non troppo dissimile da quello che rientra nello stereotipo del panorama toscano per eccellenza, dove si alternano vigneti, uliveti, seminativi e boschi, ma dalle colline ancor più distese e rilassate che permettono allo sguardo di correre fino all’orizzonte. E mentre ci guardiamo attorno Mauro ci presenta Lorenzo: “Ho fatto in modo che ci fosse anche lui, senza il quale Calafata non esisterebbe.”


L’ORIGINE DI CALAFATA E LA SOLIDARIETÀ CONTAGIOSA
Lorenzo non è un contadino, si capisce fin da subito, ma è il proprietario dei primi vigneti di Calafata, quelli che si dispiegano davanti a noi, giù per la Maulina. “Qui passavo tutte le mie estati da bambino, aiutando mio nonno; ed è stato così, che al momento dell’eredità, io ho ricevuto i terreni. All’epoca lavoravo a Pisa e facevo il ricercatore chimico, non potevo tornare qui, ma sapete… la terra s’attacca ai piedi. E quindi mi son dato da fare per trovare una soluzione alternativa.” Dopo un tentativo del figlio di recuperare i vigneti abbandonati senza troppo successo, Lorenzo si rivolge al parroco di Lucca, che lo indirizza alla Caritas. Il ragionamento di Lorenzo è semplice e lineare, ma allo stesso tempo straordinariamente avanguardista: “A mio giudizio, il senso della proprietà è fuorviante, andrebbe sostituito con il senso della custodia. Uno è proprietario di un terreno se e solo se riesce a mantenerlo e, come spesso capita in questo mondo, mi sono ritrovato ad avere il pane senza denti, mentre chi aveva i denti non aveva il pane”. Sarà proprio da Donatella, la direttrice della Caritas che partirà l’idea della cooperativa agricola e sociale, del resto “Perché non unire il recupero dei terreni al recupero delle persone?”
Donatella mette in contatto Lorenzo con dei ragazzi che condividono i suoi stessi ideali e così Lorenzo, per la prima volta, incontra Mauro, Maik e Marco. Nessuno dei tre ha mai avuto a che fare con l’agricoltura, se non Maik, che però fa il giardiniere; ma la sintonia è quella giusta e nel 2011, con i tre ettari di vigna in comodato d’uso per 30 anni, nasce la cooperativa agricola e sociale Calafata.
In poco meno di un anno, oltre ad aver messo a posto i vigneti, e quindi a esser pronti per la prima vendemmia, e ad aver cominciato la conversione in biodinamica, arriva il primo richiedente asilo. "Oltre alle difficoltà pratiche di costituire questo nuovo tipo di cooperativa, i primi tempi non sono stati facili, nonostante il contributo del fondo sociale Europeo. C’è da contare anche il fatto che nessuno di noi sapesse né come si potava una vigna, né come fare il vino” racconta Mauro. Una domanda mi viene subito spontanea: “Non c’è mai stato un momento in cui ti sei pentito o semplicemente ti sei chiesto cosa diavolo stessi facendo?” Mauro replica deciso “Assolutamente no, cioè è stata una cosa totalmente incosciente. Non mi sono pentito perché non ne avevo il tempo, oltre al lavoro manuale, c’era da organizzare Calafata, che di fatto non esisteva.”
“Però in poco tempo i tre ettari sono diventati sei, ci hanno dato in comodato d’uso degli uliveti e regalato delle arnie” lo interrompe Lorenzo “si è sviluppata una solidarietà contagiosa. Eran gli stessi vicini che quando gli ho detto che avrei aperto una cooperativa agricola mi schernivano con un –cosa vuoi capirne tu di agricoltura, che hai sempre studiato-”.
Mentre Mauro e Lorenzo ci mostrano il vigneto dove convivono, oltre alle classiche varietà toscane, vitigni meno noti come il moscato di Terracina, la colombana e il moscato d’Amburgo, siamo già scesi a metà della Maulina, dove ci raggiunge Daniele, agronomo e socio di Calafata dal 2015 “Stiamo facendo selezione massale sui nostri stessi vigneti e diamo il materiale anche a Marco Moroni, uno dei pochissimi vivaisti biodinamici”.
(RI)COMINCIARE DA ZERO
Scendo un po’ più in giù dove quattro ragazzi montano dei nuovi pali in vigna per tendere i fili, Jakuba del Burkina Faso, a Calafata dal 2015, Kaba del Gambia, Almamù del Senegal e Charden, l’ultimo arrivato, del Camerun. Scambio quattro chiacchere coi ragazzi, mi raccontano brevemente di come sono arrivati in Italia, storie sofferte che li hanno separati dalle loro famiglie, di come si trovano a Calafata e del loro rapporto coi vigneti e col vino, ma il discorso si anima per davvero solo quando finiamo a discutere animatamente se sia Samuel Eto’o o Diedier Drogba il più grande calciatore africano di sempre.
Essere una cooperativa sociale, nei fatti, si concretizza con il recupero e il reintegro di persone svantaggiate all’interno di un contesto lavorativo, che fornisca loro esperienza, uno stipendio e la possibilità di riscattarsi. “Da noi vengono ragazzi di ogni tipo” spiega Mauro “dai migranti, a chi affronta un percorso per uscire dalla tossicodipendenza, fino a carcerati, che vengono a lavorare un paio d’ore il pomeriggio. Per ogni ragazzo riceviamo dei contributi per i primi mesi, ma il nostro è un investimento sul futuro delle persone e cerchiamo di farli specializzare verso una singola professione.”
In questo modo si sfrutta il lato poliedrico di Calafata, che coinvolge, oltre alla gestione dei vigneti e alla produzione di vino, orticoltura sui dodici ettari a rotazione nei dintorni di Viareggio, gestione degli uliveti e produzione di olio e conserve. “Uno delle nostre prerogative è che il lavoro sia continuativo per i ragazzi. A conti fatti olio e orto non danno guadagno a Calafata, ma sicuramente danno lavoro nei mesi durante i quali la vigna riposa. Però il polmone di Calafata alla fine sono i servizi. I ragazzi imparano velocemente e quindi chi ha bisogno di manodopera, chiede a noi. Dalla potatura, alla vendemmia, al giardinaggio, perché alla fine Maik ha portato anche il suo lavoro dentro la cooperativa.”
“Andiamo alla Mulerna?” propone Daniele “Lì abbiamo gli altri vigneti e la nuova cantina. Beviamo due cose e mangiamo un boccone.” Non ce lo facciamo ripetere due volte, risaliamo per la Maulina, prendiamo le macchine e io mi infilo in quella di Mauro. Me l’ha già ripetuto più volte, ma una cosa voglio capirla fino in fondo: “Ma davvero la prima annata vi siete buttati a fare vino senza sapere da dove cominciare?” “Abbiamo cominciato da zero, come i ragazzi quando arrivano. Certo, devi chiedere, informarti, ma alla fine, se ci pensi, una volta il vino lo facevano tutti, abbiamo pensato che non dovesse neanche essere così difficile. Una cosa divertente che ricordo è che a due settimane dalla vendemmia eravamo da Podere Còncori a fare la lista della spesa per la vendemmia, della serie – ragazzi, vi servono: mostimetro, rifrattometro, densimetro…- e così via” Mauro se la ride, mentre posteggia, poi guarda verso la porta aperta della cantina “Dev’essere arrivato anche Maik”.
LUCCABIODINAMICA E GLI ORTI
Quando ho cominciato a lavorare in Velier, Calafata era entrata da meno di un anno nella famiglia delle Triple “A”. Girava voce che la Lucchesia sarebbe diventata la Borgogna d’Italia in poco meno di due lustri. Ne è passato uno e a giudicare dai vini, siamo sulla buona strada, tra l’Almare, il bianco macerato che prende sempre più forma, sostanza e beva, e il Majulina, il tipico taglio lucchese che dopo pochi anni è già in grado di tirar fuori la stoffa di un grande sangiovese. Quattro bicchieri a testa per assaggiare le nuove annate dalle vasche, finiscono per far diventare il buco nello stomaco, una voragine.
Maik, Mauro e Daniele ci fanno strada, al piano di sopra, dove ci aspetta un pranzo tutto firmato Calafata, dal pane con l’olio, ai ceci fino a delle cipolle in agrodolce che sono la fine del mondo. Nei bicchieri invece assaggiamo il loro ultimo vino, solo in formato magnum. “Nelle vigne di Lorenzo, c’era del cabernet, ai tempi si usava parecchio impiantare gli internazionali” spiega Maik “Prima, lo mischiavamo al sangiovese nel Redola, poi abbiamo capito che era meglio che prendessero due strade separate, allora abbiamo creato lo Iarsera, che è un cento per cento sangiovese, mentre il cabernet lo teniamo a parte e ne facciamo talmente poche bottiglie che lo mettiamo tutto in magnum. E siccome il cabernet con la Toscana c’entra poco e niente, lo abbiamo chiamato Figlioduncane”.
“Oltre che a Lorenzo, dobbiamo riconoscere che Calafata è nata anche grazie a Luccabiodinamica, una realtà che rende forte tutto il territorio” dice Mauro di fronte a una zuppa di cipolle fumante. Fondata nel 2011, Luccabiodinamica è un’associazione che oggi conta 17 aziende, nata dall’impulso di Saverio Petrilli, agronomo ed enologo di Tenuta di Valgiano, azienda apripista del naturale in zona, e allievo di Alex Podolinsky. “La cosa che ci piace di Luccabiodinamica è un approccio alla biodinamica molto concreto, è uno strumento per arrivare ad avere un prodotto sano. Si comincia dal significato di essere agricoltori, ossia mantenere la terra. È vero, come dice chi prova a screditare la biodinamica ad ogni costo, esiste anche una parte esoterica, ma è solo la fine di un percorso” interviene Daniele “Se sono entrato in Calafata lo devo anche a questo. Io vengo da un contesto convenzionale, lavoravo con persone demonizzate dalla chimica, ma comunque con un grande bagaglio culturale e lunga esperienza. Tutti parlavano di piante e di malattie, ma mancava una visione d’insieme. Una delle cose che mi ha colpito di più è quando ho conosciuto Giuseppe Ferrua di Fabbrica di San Martino, è stato lui a cominciare a parlarmi di vigneto, di terra e di vita del suolo.” Luccabiodinamica è un caso unico al mondo di associazionismo agricolo, grazie a una sinergia tra i soci che, al contrario di quanto succede nella maggior parte dei terroir italiani, fanno squadra invece di combattersi tra vicini. Sono il mercato, le vendite e gli scaffali dei migliori winebar a dimostrare quanto questo abbia influito positivamente per tutte le aziende che ne fanno parte.


Dopo pranzo ci dividiamo: Maik e Daniele tornano al lavoro, mentre Mauro ci accompagna fino a Viareggio per una visita agli orti, gestiti da Luca e Marco, giunti al loro quarto anno. “L’idea è di servire ristoranti e famiglie tramite abbonamenti a cassetta. Abbiamo creato P’Orto un servizio di delivery nella provincia di Lucca. Non è semplice dare un valore aggiunto alle verdure, ma allo stesso tempo è il lavoro perfetto per il tipo di lavoro sociale che facciamo. Ad esempio ogni chiesa aveva storicamente un piccolo orto, oggi abbandonati. Noi recuperiamo questi piccoli appezzamenti e invece di pagare un affitto alla Caritas, possiamo pagare direttamente in verdure.”
Oggi Calafata conta 27 dipendenti e quello che poteva sembrare un progetto impossibile è diventata una solida realtà. Se avete un sogno che credete irrealizzabile, andate a trovare Mauro, Daniele e Maik, sarà la spinta giusta per decidersi e fare il salto nel buio. Salutiamo Mauro che ci regala una cassetta con qualche verdura e qualche conserva. La sera, ritornato a casa trovo la mia coinquilina, mi chiede com’è andata “Chiudi gli occhi” le rispondo, apro il barattolo di cipolle in agrodolce e gliene infilo un cucchiaino in bocca “è andata così”. Riapre gli occhi e mi guarda sorridendo “Pazzesco!”
