Interno notte. Fine cena. Tavola sparecchiata su cui rimangono solo i bicchieri vuoti e un'ultima bottiglia dal formato insolito. Mentre l'amico che l'ha portata racconta del suo recente viaggio in Jura, vi prendete l'onere di riempire i calici. Una manciata di secondi e dalla tavolata si alza una voce -Mmh, mi sa che è ossidato- -Vero, è marsalato. Quando succede è un vero peccato- le fa eco un'altra. Basta un'occhiata del vostro amico per capire che vi è appena stato delegato il compito di spiegare la differenza tra un vino ossidato e un vino ossidativo. La raccomandazione è sempre la stessa: siate brevi e concisi. Siete pur sempre a cena, mica a un corso di degustazione. Noi proveremmo così.
Quando si parla del contatto tra vino e ossigeno ci si riferisce, il più delle volte, a un incontro pericoloso, dai risvolti indesiderati. Per intenderci l'ossigeno è considerato il nemico numero uno del vino. Ma, come vale per tutte le cose, sono le dosi a far la differenza. Se, per esempio, piccole quantità di ossigeno si rivelano essenziali nelle fasi iniziali della fermentazione o durante l'affinamento, al contrario, un'eccessiva esposizione del vino all'ossigeno conduce inevitabilmente alla comparsa di forti note di vernice o smalto, la famosa "ossidazione".
Eppure, ormai lo sapete, quello del vino è un mondo fatto di eccezioni nelle eccezioni, e tra le più affascinanti ed emblematiche c'è quella dell'affinamento in botte scolma. Detta anche maturazione sottovela, si tratta di una pratica che consiste nell'esposizione controllata del vino all'ossigeno. Difatti, in presenza alcune particolari condizioni ambientali, sulla superficie del vino esposta all'aria, si può formare un film superficiale composto da lieviti naturali post-fermentativi, i cosiddetti lieviti della flor. Questo sottile strato di lieviti agisce da vero e proprio velo protettivo che permette al vino di non deteriorarsi, ma di evolvere verso intensi e complessi sentori di frutta secca tostata, zafferano e mela che prendono il nome di “note ossidative”. Il ruolo della flor non si limita solo alla comparsa di nuove caratteristiche sensoriali, ma induce una parziale evaporazione concentrando ulteriormente il bagaglio aromatico e facendo acquisire al vino un potenziale evolutivo nel tempo pressoché illimitato.
Tra i vini più famosi che si annoverano tra gli ossidativi compaiono alcuni dei più famosi fortificati quali Sherry, Madeira e Marsala (da cui i riferimenti al gusto “maderizzato” o “marsalato”, spesso usati per descrivere le sfumature ossidative di uno vino). Eppure, a essere considerata patria indiscussa dei vini ossidativi è lo Jura, dove il savagnin, uva principe del luogo, viene tradizionalmente fatto affinare in barrique non ouillé, vale a dire in botti scolme. Tanto più è lungo il periodo di permanenza sottovela, tanto maggiore sarà la componente ossidativa espressa. Ad esempio, un savagnin per ottenere il titolo di “Vin Jaune” deve affinare sottovela per un minimo di sei anni e tre mesi, al termine dei quali può essere imbottigliato nell’iconica clavelin da 62 cl, formato che sta a indicare i 38 cl di vino persi per evaporazione (ciò che nel mondo del whisky chiameremmo Angels’share).
Di fianco alle indimenticabili espressioni francesi dell’affinamento sous-voile, i vini ossidativi si sono sviluppati anche in Spagna, dove li conosciamo con il nome di vini rancio, e nella meravigliosa Sardegna, la cui tradizione vinicola ha portato alla produzione della Malvasia di Bosa e della Vernaccia di Oristano. Ma non solo: sono sempre di più i vignaioli fuori zona che si mettono “alla ricerca della flor”, per la voglia di sperimentare e per l’indiscutibile fascino della vinificazione sous-voile, dove tecnica e savoir-faire incontrano estro creativo e una giusta dose di imprevedibilità, dove il vino incontra il più grande nemico e ne fa il suo alleato.
Ma allora come si fa a capire se quello che abbiamo nel bicchiere è un vino ossidato od ossidativo? La differenza sta nei dettagli. Il primo tenderà a tonalità ambrate e aranciate, il secondo farà lo stesso, ma senza perdere luminosità e lucentezza. L’ ossidato appiattirà il suo profilo aromatico fino a renderlo monotono su note ossidative, l’ossidativo farà delle stesse sfumature il suo punto di forza, un di più a una complessità aromatica già strabiliante di per suo. Sembra difficile, ma non lo è, e come sempre ci si arriva con l’esperienza. Nel frattempo, invece che restare con il dubbio, è sempre meglio chiedere all’oste.
© 2023 Triple “A” • Velier S.p.a. - Genova, Italia •
P.IVA: IT00264080102 • Dati aziendali • Privacy Policy • Cookies • Powered by Blulab