Cosa sono i vini in anfora?

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Cosa sono i vini in anfora?

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Una piccola guida per esplorare il mondo dei vini in anfora. Tutto quello che serve sapere per fare i primi passi tra una tradizione vinicola millenaria e le nuove frontiere della vinificazione in argilla.

Alla rimpatriata dell’anno mancate solo voi. Quando suonate il citofono siete così eccitati che al consueto “chi è” rispondete con la chicca che stringete tra le mani. -Apri che ho portato un vino in anfora!- La risposta dall’altro capo vi sorprende: -scendo a darti una mano.- Non appena entrate in casa, raccontate a tutti della figuraccia del vostro amico. -Si guardava intorno e diceva: dove hai messo l’anfora?- Se siete gli unici con le lacrime agli occhi tra le facce confuse dei commensali, vi aspetta una doppia missione: spiegare cos’è un vino in anfora e far ridere anche gli altri. Tutto nel tempo di aprire la bottiglia.

Il vino, in un’anfora, ci deve essere nato. Con ogni probabilità furono proprio i vasi vinari caucasici, le kvevri, ad ospitare la prima vinificazione di sempre, datata circa 6000 a.C., in quella terra che oggi chiamiamo Georgia. Si tratta di una tradizione millenaria riscoperta negli ultimi trent’anni, merito di vignaioli audaci e produttori caparbi. Avete presente quelle cose che a un certo punto – non si sa bene perché – finiscono in soffitta e sembrano dimenticate per sempre? Immaginate che un giorno qualcuno si faccia largo tra le cianfrusaglie e scopra un curioso oggetto ricoperto di polvere. Forse piegherebbe la testa di lato e direbbe: perché no?

Ecco, se a Josko Gravner bisogna riconoscere di aver reso popolare l’antichissimo metodo di vinificazione fuori dal Caucaso, ai produttori georgiani va il merito di averne conservato memoria durante il periodo di dominio sovietico e di averne fatto un simbolo di identità nazionale. Un vero e proprio rinascimento dei vini in anfora con cui la terracotta ha potuto dimostrare all’enologia moderna di saper fare le parti ora del legno, ora dell’acciaio, ora del cemento.

Con in legno l’anfora condivide la porosità, che dipende dall’impasto dell’argilla e dalla sua temperatura di lavorazione: minore è il grado di cottura, maggiore sarà la capacità di scambiare l’ossigeno con l’esterno, arricchendo il vino di gusto e colore. Così se la terracotta permette una micro-ossigenazione uguale o persino maggiore rispetto a una botte, ceramica e gres riducono lo scambio con l’esterno a livelli prossimi allo zero.

Come l’acciaio, l’argilla è un materiale neutro, che non cede sostanze aromatiche al vino durante l’affinamento, così da mantenere intatta l’identità della materia prima. Se nel calice cercate la più pura trascrizione del frutto, la vinificazione in anfora fa al caso vostro. A fare eccezioni sono solo i vini che fanno affinamenti molto lunghi in anfore di terracotta giovani, dove la cessione aromatica si traduce in sottili sfumature terrose.

Ad andare di pari passo col cemento invece è l’inerzia termica, ossia la capacità del materiale, e quindi del vino contenuto al suo interno, di non andare incontro a sbalzi di temperatura. Il discorso è valido per tutte le anfore a prescindere dal grado di cottura, a maggior ragione se le anfore sono usate “alla georgiana”, ossia interrate.

Oltre al grado di cottura, sono forma e dimensione a distinguere tra loro le anfore, fino a definire una sorta di “stile” a seconda della provenienza. Così al posto delle grandi kvevri interrate georgiane, in Turchia compaiono le kups, impiegate esclusivamente fuori terra, in Spagna si producono le tinajas, cotte ad alte temperature e di dimensioni ridotte, e in Italia, nonostante la storia recente, riscuotono successo le anfore di terracotta della zona di Impruneta e i più recenti clayver, in gres porcellanato.

Benché ampiamente utilizzate per le loro capacità fisiche, l’utilizzo delle anfore non si limita a una scelta di mera tecnica, ma simboleggia l’archetipo della tradizione millenaria del fare il vino. La storia qui si intreccia alla filosofia e infiocchetta un dono che arriva dal passato e profuma di futuro. Tutto parte dall’inizio e all’inizio tutto torna: e così la memoria non costruisce un mausoleo di ricordi e riti abbandonati, bensì un’occasione di ricominciare daccapo. Come il migliore dei racconti, la storia del vino in anfora ne narra una più grande: mai lasciare che una soffitta piena di polvere impedisca di vederci chiaro.

Dopo aver versato il vino ai vostri amici, invitateli a portare il bicchiere alle labbra, senza pensarci più di tanto, socchiudendo gli occhi. Poi riapriteli guardateli con fare interrogativo: -allora? Mi aiutate a portare su quest’anfora, o no!?- Scoppiate a ridere, ma questa volta tutti insieme.