Esterno notte. Cena estiva in terrazza con amici. Atmosfera rilassata, venticello, tutt’intorno le luci dei tetti. A un certo punto il padrone di casa chiede: -che ne dite, beviamo un rosato?- Vi alzate e con nonchalance vi dirigete verso il frigo quando, attraverso le vetrate della cucina, vedete uno dei commensali mischiare in una brocca ciò che avanza delle bottiglie di rosso e di bianco sul tavolo. -Et voilà!- Mentre i commensali, uno a uno, porgono il loro bicchiere, afferrate la bottiglia di rosato che stavate cercando, tornate in terrazza e fermate tutti. L’intera tavolata si volta a guardarvi: avete un minuto di tempo per convincerli a fermarsi e un altro per trasformarli nei più accaniti difensori del rosé.
Relegato al ripiano più basso dei supermercati e al fanalino di coda delle carte dei vini, non c’è vino più bistrattato del rosato. Così è finito per guadagnarsi immeritatamente la fama del vino di bassa qualità, di “salvadanaio delle cantine”, dove finiscono scarti e torchiati di bianchi e rossi. Ma non è così, anzi, i rosati fatti “a modino” possono essere sorprendenti perché mettono insieme profumi e temperamento di un rosso con freschezza e struttura di un bianco, diventando campioni di versatilità a tavola. E il panorama è davvero vasto perché di modi per produrre un rosato ce ne sono tantissimi. Solo uno è proibito: quello che avete appena fatto.
Andiamo per gradi. Il modo più semplice è quello della macerazione breve. L’avevamo detto parlando degli orange wine: il colore sta nelle bucce. E allora, riducendo a poche ore il tempo di macerazione sulle bucce di un’uva a bacca nera, il gioco è fatto! Solo a una cosa bisogna prestare attenzione, se dovesse cominciare la fermentazione, l’alcol sviluppato faciliterebbe l’estrazione del colore, ma anche di tannini indesiderati (in un rosato). Per questo non è raro che si lavori a temperature basse per inibire l’attività dei lieviti.
Secondo metodo, volendo una sorta di estensione del primo, è quello dell’uvaggio: in questo caso entrano in gioco uve a bacca nera e a bacca bianca che vengono co-fermentate. In questo caso la macerazione può essere tirata un po’ più per le lunghe, a seconda della proporzione sul totale e del potere colorante della varietà rossa.
La tecnica per eccellenza, e quella che nella maggior parte dei casi ha contribuito alla reputazione equivoca del rosé come sottoprodotto della vinificazione in rosso, è quella del salasso (saignée in francese). Questo approccio prevede il prelievo di una piccola parte del mosto fiore di un’uva a bacca nera, a cui segue una vinificazione in bianco, senza contatto con le bucce. La qualità del risultato è elevata con un’uva di partenza perfetta, mediocre se l’obiettivo del salasso è una maggior concentrazione del rosso.
Rientrano tra i rosati anche i vini ottenuti dalle cosiddette uve a bacca grigia, chiamate in questo modo a causa della scarsa pigmentazione delle bucce. Solitamente utilizzate per vinificazioni in bianco in seguito a raccolta anticipata, una breve macerazione delle uve restituisce rosati che, al contrario dei bianchi, godono della piena maturazione del frutto.
Qualunque sia la tecnica adottata e sottointesa la qualità della materia prima, l’importante è comprendere che nel mondo dei rosati il livello di pigmentazione dell'uva passa in secondo piano, rispetto alla volontà del produttore. Se l’obiettivo è quello di creare un vino snello, fresco e beverino, si tenderà a limitare i tempi di contatto tra bucce e mosto. Al contrario, se il risultato finale vuole essere un vino rosato di maggiore complessità, colore e intensità, si allungherà la macerazione. In altre parole, i rosé diventano una chiave d’accesso privilegiata al carattere più autentico di un vignaiolo. Perché se il vino rosato assolve la funzione di vino da bosco e da riviera, allo stesso modo, rivela la duplice anima di ogni vignaiolo, quella da ingegnere e quella da bricoleur.
Terminato lo spiegone, date un pizzico di soddisfazione al commensale che ha mischiato vino bianco e rosso raccontando l’eccezione alla regola. -Prima vi ho detto una piccola bugia. Nel caso delle bollicine, per creare la cuvée prima della rifermentazione, si possono mischiare vino rosso e vino bianco- Poi rivolgete lo sguardo all’artefice del “quasirosato” -Ammettilo, volevi fare una base spumante!- Al suo assenso con tanto di occhiolino, ridete insieme lui e guardatevi intorno. Adesso di rosa ci sono due cose, anzi tre: il “mischione” nella brocca, le guance di un commensale che si sta chiedendo cosa significhi la parola cuvée, e una nuova bottiglia che aspetta solo di essere stappata.
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