La mattina alle sette e dieci sono in piedi. Per prima cosa sveglio mio figlio Jacopo e comincio a preparare la colazione: latte caldo che addolcisco con un cucchiaio di miele delle nostre api. Lo accompagno a scuola e poi tiro dritto verso la vigna.
Dopo la vendemmia, in Cinque Terre, comincia un periodo di riassestamento: bisogna preparare il terreno ad affrontare la prossima stagione. E si ha tempo fino a marzo, quando le viti si risvegliano. I vigneti qui, per poter sfruttare al massimo i terreni ripidi e le pendenze vertiginose, sono tutti terrazzati, ma nel tempo i muretti a secco che li sostengono, cominciano a cedere, la struttura delle pietre cade e il muro si sbriciola.
Nelle annate normali vengono giù di solito due o tre muri, in quelle fortunate magari neanche uno, ma poi ci sono quelle come la 2019: durante l’autunno, in un mese e mezzo, ha piovuto la quantità d’acqua che di solito precipita in un anno e mezzo. Il risultato? Più di venti muri da risistemare.
La ricostruzione di un muretto a secco, oltre che essere un lavoro economicamente molto dispendioso, non è per niente facile. Per prima cosa è bene ripartire sempre da un 30-40% di pietre nuove che bisogna far portare dalla cava fino a qui. Poi se il vigneto è troppo difficile da raggiungere le pietre sono trasportate con l’elicottero, altrimenti, come ho fatto in questi giorni, si portano tutte a mano. Quelle più grandi arrivano a pesare anche centoventi chili e scendere su queste pendenze con un masso sulle spalle non è certamente una cosa semplice.
Quindi, mentre si sbarazza il muro vecchio, si formano tre mucchi: il primo di pietre che potenzialmente possono fare da facciata del muro, il secondo di pietre più piccole che sono dette “recausi” che servono per gli incastri delle pietre frontali e più indietro per il drenaggio delle acque, e infine il terzo di terra. È importante capire sempre perché sia caduto il muro e quindi controllare le fondamenta: se c’è qualcosa che non va lì, si ritorna indietro fino alla roccia nuda. E si ricomincia: prima la terra, poi i recausi e un doppio muro di pietre messe per lungo per dargli maggiore stabilità e durata nel tempo.
Quest’anno stiamo ancora recuperando i muretti rimasti indietro dall’anno scorso, intervenendo prima su quelli di confine, perché i muretti sani tolgono la voglia ai cinghiali di passare in mezzo ai filari.


Difficilmente lascio la vigna prima delle tre e mezza e prima di tornare a casa, faccio sempre un giro di ricognizione nelle mie due cantine. La prima è quella nella parte alta di Riomaggiore, dove tengono i vini secchi, che hanno già finito la fermentazione e sono in piena malolattica. Controllo che tutta vada per il meglio e poi scendo in paese nella cantina dello Sciacchetrà. Ancora un mese di appassimento e poi si comincia con la sgranatura manuale chicco per chicco. I grappoli in questo periodo hanno bisogno di molta cura e devono essere uniformemente arieggiati dai ventilatori che sposto ogni giorno.
A casa mi attende sempre e comunque un po’ di burocrazia, poi finalmente posso dedicarmi alle mie ricerche. Il mio lavoro è fare vino, ma cerco di portare avanti un discorso di biodiversità a trecentosessanta gradi andando alla ricerca di nuove varietà. Oggi grazie ai social c’è una vera e propria rete di contadini e agricoltori che si scambiano semi e consigli. Per esempio l’anno scorso in cambio dei semi delle mie zucche giganti, mi hanno dato quelli della luffa, una varietà di zucca durissima che viene fatta seccare; all’interno dalla polpa reticolata si possono ricavare delle spugne naturali che durano fino a un anno.
Sono anche riuscito a trovare un vivaio specializzato proprio nelle varietà antiche. Quest’anno ho piantato alberi di mele a polpa rossa, fragole nere, che un tempo in Liguria erano molto diffuse, ciliegie gialle e nere, e ancora, pepe, salvia-ananas e qualche pianta di ulivo dalla Calabria che fa le olive bianche.
Ultimamente pensavo che mi piacerebbe implementare la “profumazione” del mio vigneto, piantando file di aromatiche, assenzio e bacche di goji, e poi sono finalmente riuscito a trovare la zaffiro nera, una varietà di uva da tavola dolcissima che al posto degli acini ha dei veri e propri cilindretti d’uva.
Prima delle sette e mezza non stacco mai, ma tutta la fatica della giornata viene ricompensata quando mi siedo a tavola per cena e nel piatto trovo una pasta con la passata dei nostri pomodori, che quest’anno abbiamo fatto anche in versione gialla, o un risotto con il mio zafferano che stiamo raccogliendo in questi giorno, o ancora le uova delle nostre galline e le zucchine, le melanzane e i peperoni del nostro orto. Non è facile descrivere la soddisfazione che si prova, ma è quella che dà la forza di alzarsi ogni mattina, anche se nella notte fossero caduti altri muretti a secco.