La Piana Rotaliana consiste in un triangolo di terra a nord del Trentino, sulla linea di confine con l’Alto Adige, che si estende tra i comuni di Mezzolombardo, San Michele all’Adige e Mezzocorona e conta circa cinquecento ettari. Patria indiscussa del teroldego, su questi terreni alluvionali ai piedi delle Dolomiti, dove la viticoltura si pratica già dai tempi del Medioevo, sorge l’azienda agricola Foradori.
Storia e nome di Foradori sono strettamente legati alla figura di Elisabetta che, diplomata alla scuola di enologia di San Michele all’Adige, prende in mano le redini dell’azienda nel 1984, continuando il lavoro cominciato dal padre. Al suo fianco c’è Rainer Zierock, con cui comincerà l’instancabile lavoro di selezione massale del teroldego per conservarne la grande biodiveristà genetica. Oggi a guidare l’azienda sono i figli di Elisabetta e Rainer: Emilio, il maggiore, si occupa della cantina, Theo segue il commerciale e l’intero sviluppo aziendale, e Myrtha, la minore, dopo alcune esperienze all’estero ha dato vita a un progetto di orticoltura tra i filari del teroldego. Elisabetta invece si è tolta i panni della vignaiola per indossare quella da casara, realizzando formaggi a latte crudo di vacche di razza Grigio Alpina.
Il teroldego è la varietà per eccellenza della Piana Rotaliana e proprio sul teroldego si è concentrato per anni il lavoro di Foradori. Il vitigno infatti è declinato in sette diverse versioni. Si comincia dall’ultimo arrivato, il Lezer, ottenuto da macerazioni molto brevi per un vin de soif di personalità. Si passa poi al Foradori, vino simbolo aziendale, dove il teroldego restituisce tutto il suo carattere alpino. Il Granato, più intenso e complesso, proviene invece dalle uve delle vecchie pergole di Foradori vinificate e affinate in legno. Morei e Sgarzon sono invece le espressioni di due vigne singole, che restituiscono un teroldego rispettivamente più voluminoso e più fine. Entrambe sono proposti in versione “classica” e in versione “cilindrica”, dove l’affinamento si protrae più a lungo in tinajas a forma di cilindro.
Le anfore sono state introdotte in azienda da Elisabetta nel 2009, inizialmente per vinificare la Nosiola. La scelta di questo contenitore è volta a preservare al massimo l’integrità del frutto e la cottura dell’argilla a temperature non troppo elevate permette uno scambio con l’esterno paragonabile a quello che avviene nelle botti di legno, senza però alcuna cessione aromatica. Le anfore impiegate da Foradori, prodotte dal mitico Juan Padilla, sono di provenienza spagnola e prendono il nome di tinajas. Visti i risultati, presto questo tipo di vinificazione e affinamento ha presto coinvolto anche il teroldego, nell’espressione delle vinge, singole e il pinot grigio. Da alcuni anni è Emilio ad occuparsi in prima persona di tutte le vinificazioni e Foradori, con circa duecentocinquanta tinajas, è la cantina con più anfore di tutta Italia.
Da sempre all’avanguardia, l’azienda agricola Foradori è il perfetto esempio di come un’azienda agricola che basa la sua economia principalmente sul vino, possa al tempo stesso incarnare tutte le caratteristiche di una vera e propria fattoria policolturale di una volta. Dopo alcune esperienze in Quebec, infatti, il ritorno di Myrtha in azienda ha sancito l’inizio di un progetto di orticoltura che prende ispirazione dal Market Garden teorizzato da Jean-Martin Fortier. A ciò si aggiunge il progetto caseario di Elisabetta, con un piccolo allevamento di vacche di razza Grigio Alpina, nonché il visionario progetto di ripopolazione dell’altopiano di Brentonico, ai piedi del Monte Baldo, per la creazione di un polo agricolo misto.
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