Raccontare Pacina non è come scrivere di una semplice azienda agricola o una cantina, perché Pacina è prima di tutto la storia di un luogo, di una fattoria e di una famiglia, del lavoro delle persone che la abitano e se ne prendono cura. Giovanna, Stefano, Maria e Carlo hanno scelto di impegnarsi quotidianamente per conservare la storia di questo luogo e farsi portavoce dell’identità di Pacina. Pacina ricambia con i frutti della sua terra e tessendo legami inscindibili con le donne e gli uomini che se ne fanno custodi.
Due file parallele di cipressi fanno da contorno a un lungo vialetto sterrato che conduce a un monastero risalente al X secolo, attorno al quale si spiegano vigneti, uliveti, campi a seminativo e boschi fino all’orizzonte. La policoltura a Pacina non è una scelta, ma il mezzo attraverso il quale natura e uomo hanno interagito nei secoli in questo luogo. Giovanna e Stefano, così come i genitori di Giovanna, hanno voluto fin da subito mantenere questa biodiversità, la vera ricchezza di questo luogo. Così a Pacina, oltre al vino, si produce olio d’oliva, farro, lenticchie e ceci a cui si aggiungono un grande orto, un pollaio mobile, un nascente laboratorio per la produzione di conserve, alberi da frutta, anatre e oche.
Giovanna e Stefano sono custodi e protagonisti di Pacina. Prima di loro lo sono stati Enzo Tiezzi e Lucia Carli, i genitori di Giovanna, che nel 1987 mossi da una visione ecologista hanno dato vita alla prima bottiglia della fattoria, ottenuta dalla selezione delle uve migliori, imbottigliata in vetro leggero e con etichetta in carta verde riciclata. Oggi al fianco di Giovanna e Stefano ci sono anche i figli Maria e Carlo che, con i loro compagni di vita Roberto ed Elizabeth, danno nuova linfa vitale a Pacina, la terra che li ha visti crescere e che ora li richiama a sé. E poi ovviamente c’è l’immancabile Kartoffen.
Nelle profondità di Pacina si nascondono antichi sotterranei che oggi ospitano la cantina di vinificazione e affinamento. Piccole stanze, corridoi e cunicoli scavati nel tufo si spiegano su tre livelli, su cui si distribuiscono vasche di cemento e legni vecchi di varie dimensioni. I vini di Pacina, figli di lunghe macerazioni e lunghissimi affinamenti, sono la pura espressione del luogo in cui nascono: nel bicchiere si ritrovano materia e densità del frutto accompagnate dalla sapidità dovute alle origini marini del suolo. Qui il sangiovese si declina in quattro diverse espressioni: dal Donesco delle piante più giovani al Pacina, vino simbolo e uvaggio della tradizione, dal Villa Pacina, affinato esclusivamente in cemento, al Pachna, vino testimonianza di annate particolari che identificano la storia del luogo.
Come si usava fare in Toscana, quando il padre di Edoardo Pulselli, il trisnonno di Giovanna comprò la fattoria, acquistò anche la madre del Vin Santo che, orami ultracentenaria, è ancora impiegata come “starter” per la fermentazione. La Vinsantaia è il locale adibito all’appassimento delle uve sui graticci e alla vinificazione e all’affinamento in piccoli caratelli di castagno. Il Vin Santo di Pacina, La Sorpresa, è ottenuto da un uvaggio di trebbiano e malvasia, a cui presto si aggiungerà un passito rosso, nato da un'idea di Carlo.
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