Gli ultimi strali dei divulgatori autoproclamatisi difensori della “scienza” si sono scagliati contro il vino. Un solo bicchiere di vino a settimana aumenterebbe il rischio di cancro e, addirittura, rimpicciolirebbe il cervello.
Intanto, l’ultima affermazione è totalmente antiscientifica: a diminuire sarebbe il peso totale dell’encefalo, il peso relativo della materia grigia o il volume della massa encefalica? Queste dichiarazioni sono prive di fondamento, affidate a studi molto poco robusti sia nell’impianto che nelle deduzioni e non confermati da studi ulteriori.
Soprattutto è molto complesso riuscire a indagare scientificamente qualsiasi variabile che sia collegata al cibo. Per farlo bisognerebbe creare due gruppi omogenei di cittadini, diciamo un migliaio, che vivano nella stessa maniera, rispettando gli stessi orari, che facciano lo stesso numero di ore di attività fisica, di sport e di lavoro, che abbiamo le stesse emozioni e respirino la stessa aria e che, per almeno vent’anni, seguano una dieta identica, una per il gruppo di studio e un’altra, omogenea, per il gruppo di controllo. Insomma, non è affatto agevole né progettare uno studio sul cibo né seguirlo nel tempo.
Uno dei pochi studi che hanno arruolato migliaia di soggetti, in un tempo in cui, nell’epoca precedente a quella post-moderna, la società era soprattutto contadina, con abitudini di vita e di alimentazione piuttosto omogenee, è stato il Seven Countries Study del professor Ancel Keys, che ha dimostrato i vantaggi della Dieta Mediterranea (abbondanza di verdure, energia ottenuta da carboidrati integrali, proteine fornite dai latticini, poco pesce e pochissima carne) in termini di malattie e di morti legate a eventi cardiovascolari. E il vino era la seconda fonte di energia per queste popolazioni. Molti dei centenari descritti in questo studio di certo non si ubriacavano abitualmente, ma un bicchiere di vino a pasto lo consumavano.
Per millenni infatti l’alcool è stato utilizzato soprattutto come alimento: dai contadini impegnati nel lavoro nei campi, dai soldati, per cui il medico militare prescriveva la dose giornaliera di vino in base alle marce, dai lavoratori delle piramidi, che se non ricevevano la desiderata dose di birra, scioperavano, come riportato nel “Papiro dello Sciopero” conservato al Museo Egizio di Torino.
Anche mio nonno portava nel campo la bottiglia di vino, certo leggero, ma che veniva comunemente utilizzato come carburante dell’attività fisica. Alla faccia di chi oggi vorrebbe considerare le calorie del vino “calorie vuote”. Mio nonno, morto a centocinque anni, trascorse gli ultimi anni di vita nella casa di riposo del paese, dove gli ultranovantenni erano parecchi. E a pranzo un bicchiere di vino non mancava mai sul tavolo. Certo la scienza non si fa con gli aneddoti personali ma con il metodo scientifico, che dovrebbe utilizzare come guida proprio il dubbio stimolato dall’osservazione empirica. E il dubbio che le centinaia di migliaia di centenari italiani degli ultimi due secoli fossero consumatori abituali di un bicchiere di vino al giorno credo dovrebbe imporre a certe affermazioni il freno della prudenza.
Molti studi invece, di cui parecchi sovvenzionati da aziende produttrici o da regioni la cui economia è basata sull’enologia, sono stati compiuti per dimostrare un “potere protettivo” del vino, legato a una supposta attività antiossidante, che riguarderebbe però solamente i vini rossi, grazie alla presenza del resveratrolo. In realtà, benché abbondanti come numero, questi studi non provano con sufficiente robustezza questa affermazione e non credo che sia utile o corretto difendere il vino citando studi che vorrebbero dimostrare che abbia addirittura un potere taumaturgico nei confronti, ad esempio, dell’inquinamento che affligge il fisico con numerose sostanze ossidanti.
Non ho mai dato neppure dato eccessivo credito agli analoghi studi sull’olio extravergine. Senz’altro contiene parecchie sostanze antiossidanti, ma queste perdono il loro potere oltre i 70°C di temperatura e il supposto effetto benefico è totalmente annullato dall’infiammazione data dell’eccesso di grasso corporeo, che un eccessivo consumo di olio, che contiene il 100% di grasso, favorisce. Questo per dire che starei molto attento a imputare a un singolo cibo caratteristiche salutistiche o cancerogene. Quello che conta è il mix dietetico, l’abitudine alimentare, quella esattamente studiata dal Seven Countries Study, in cui il vino era presente quotidianamente, come l’olio d’oliva, e la cui caratteristica principale della dieta era la frugalità: poco e poco condito. Da questo dovremmo prendere esempio.
L’alcool e il vino, che ne contiene meno del 15%, sono comunque considerati fattori di rischio. Cioè sono potenzialmente cancerogeni. Questa medesima categoria è affollata di parecchi altri cibi: lo zucchero, gli insaccati ricchi di conservanti, i grassi animali, alcuni additivi alimentari, i cibi industriali altamente processati. E di situazioni patologiche: il diabete, il sovrappeso, la sedentarietà. Ma anche fattori ambientali, ad esempio l’inquinamento atmosferico, che causa ogni anno il doppio di morti dell’alcool.
Come per tutti i fattori di rischio, l’effetto dipende dall’esposizione: quanto vino, per quanto tempo, con quale frequenza. Il vino contenuto in un bicchiere viene metabolizzato in un’ora, e l’assorbimento dipende anche dal cibo ingerito. Il consumo di un bicchiere a pasto, una volta a settimana, è infinitamente meno rischioso di bere quotidianamente grandi quantità o di ubriacarsi abitualmente, ed è molto meno rischioso di nutrirsi in un fast food ogni giorno, una volta al dì. Ma, proprio perché di rischio si parla, il rischio è più alto per i vini a maggior grado, perché contengono più alcool, per quelli con residui di pesticidi, perché questi vengono detossificati anch’essi nel fegato, e, probabilmente, per il medesimo motivo, per i vini con alti livelli di conservanti, che non possono essere allontanati dall’organismo se gli enzimi epatici sono già impegnati a rendere innocui i metaboliti dell’alcool.
Esattamente per dimostrare questa ipotesi, ho pubblicato qualche anno fa su Nutrients (6,7 di impact factor) uno studio scientifico preliminare che ha dimostrato come i vini naturali, rispetto a quelli convenzionali, a parità di dose, inducano un’alcolemia inferiore. In parole semplici ubriacano meno ma immettono anche meno alcool in circolo per minor tempo. Serviranno ulteriori studi per approfondire questo tema ma, al momento, pare che i vini naturali abbiamo un rischio inferiore a quelli convenzionali.
A proposito di studi osservazionali, sarebbe interessante capire cosa ne è stato della salute dei sacerdoti che, per tutta la vita, da circa duemila anni, bevono un bicchiere di vino ogni giorno durante la celebrazione dell’eucarestia. Si sarà a tutti ridotto il cervello? Dubito ma di certo, come per qualsiasi alimento che abbia una storia di consumo millenaria, il pane compreso, l’uso moderato è da considerarsi sicuro, vista l’enorme finestra di osservazione, ma l’eccesso è sicuramente dannoso per la salute. Altro discorso va fatto per altri fattori di rischio come l’inquinamento atmosferico o il fumo, il cui danno è diretto. Ma quando si tratta di metabolismo le cose sono molto più complesse. Quanto vino, associato a quanta attività fisica e a quale cibo?
Una bottiglia di vino al giorno, con stile di vita sedentario, obesità e alimentazione a base di soli formaggi? Rischio molto elevato: che significa che qualcuno arriverà a cent’anni in salute ma la maggior parte avrà qualche problema. Un bicchiere di vino al giorno, vita attiva, normopeso e alimentazione a prevalenza di verdure: rischio molto basso, minore di quello della maggior parte della popolazione che vive a Milano centro e che mangia ogni giorno a pranzo un panino di fronte al computer accompagnato da una bibita gassata.
È troppo comodo aspettarsi dalla “scienza” la propria ricetta di vita, la diluizione di ogni responsabilità. Ognuno deve decidere autonomamente dove posizionare la propria asticella di rischio, sapendo che il rischio zero non esiste, che i vini naturali, a parità di dose, comportano molto verosimilmente un rischio inferiore, e che il rischio di vivere a volte è maggiore di quello di non vivere, di non mangiare e di non bere.
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