Dalla Moravia, regione vitivinicola per eccellenza della Repubblica Ceca, ai banconi e agli scafali dei migliori winebar d’Europa e d’oltreoceano: i vini di Milan Nestarec stanno cavalcando l’onda più alta e spericolata della scena del vino naturale del momento. Field blend, agilità e tensione, acidità elettrica, lunghe macerazioni, massima integrità, zero solfiti, zero filtrazioni e chiarifiche e zero compromessi. Questi sono gli ingredienti essenziali di ogni etichetta di Milan, vini che raramente passano inosservati tra i calici di chi è sempre alla ricerca di novità.
Ci racconti la storia di Milan Nestarec come vignaiolo e come azienda?
"Io non vedo Nestarec come un'azienda vinicola, ma come idee che vengono rappresentate attraverso il vino. Nestarec è energia nella bottiglia, quella scintilla di gioia e di vita che si rinnova ad ogni sorso, essere un passo avanti, non dormire sugli allori ma cercare sempre nuove strade per rendere migliore il nostro vino, anche se solo di poco.
Io ho la fortuna di essere nato nel 1988 in una famiglia di produttori di vino a Velké Bilovice, un paese con una lunga e lungimirante tradizione vitivinicola. La Moravia è una di quelle regioni dove quasi tutti producono vino, quantomeno per autoconsumo, o sono coinvolti all’interno di questo mondo. Io ne sono rimasto assorbito già in tenere infanzia vedendo le persone che bevevano assemblaggi di uve locali di facile beva e a basso contenuto alcolico direttamente dai bottiglioni da un litro mentre lavoravano i campi per tutta la giornata.
Nei miei ricordi in famiglia avevamo solo qualche filare, anche perché l’azienda vinicola vera è proprio è nata nel 2001 quando mio padre ha piantato e acquistato diversi ettari di nuovi vigneti. Da lì in poi la mia strada mi diventata chiara: sarei diventato un produttore di vino. Per me è stata una scelta ovvia anzi, a dire il vero, non ho mai neanche pensato a un’alternativa. Io lavoravo nei vigneti di famiglia – appezzamenti che abbiamo recuperato dopo la rivoluzione di velluto o nuovi impianti acquistati da mio padre – sin da quando ero un ragazzino. Mio padre mi ha lasciato prendere in mano la gestione della cantina a soli quindici anni, quando ancora andavo al liceo. Era divertente perché i miei compagni a volte si vantavano di aver fatto la loro prima damigiana di vino nella cantina dei loro genitori mentre io ero responsabile di quarantamila litri".
C'è un episodio preciso che ha segnato il tuo percorso?
"Sì, in maniera irreversibile. Un breve quanto illuminante viaggio tra il Collio italiano e sloveno nel 2008 mi ha convinto a smettere di usare additivi in cantina e a cominciare la conversione biologica dei vigneti. Lavorare “in naturale” secondo il mio modo di vedere le cose è la base necessaria per un buon risultato, ma dietro c’è molto di più, non si tratta di ottenere un’etichetta o di spuntare una casella".
Da allora ad oggi è come è cambiato il tuo modo di fare vino?
"Quando ero un giovane enologo avevo la mano un po’ pesante, ero più invadente, forse anche nervoso e producevo orangewine con lunghe macerazioni sulle bucce, mettendomi continuamente alla prova con vini senza solfiti aggiunti e altri “esperimenti rumorosi”. La vedo come una fase naturale della curva di apprendimento: a quel tempo mi piacevano quegli stili e avevo bisogno di testare i miei limiti e di prendere confidenza con i vigneti. Più invecchio più tendo a bere (e spero anche a produrre) vini equilibrati, eleganti e fedeli al territorio, sono vini che non strillano ma che sono felici di impegnarsi in una conversazione interessante sprigionando tutta la loro energia.
Oggi, grazie alla mia famiglia, sono più rilassato e mi è più semplice tenere i piedi ben saldi a terra. Così nel mio modo lavorare che più umiltà, calma e rispetto per le nostre tradizioni e per il territorio di VelkéBilovice. Nei vini cerco qualità, consistenza e longevità. Voglio poter aprire una bottiglia del mio vino cinque o dieci anni dopo la vendemmia e restare incantato e soddisfatto della sua forma e della sua energia, così come voglio che siano vini alla portata di tutti. Insomma, mentre divento vecchio, pelato e noioso sto tornando alle origini".
Quale strada hai intrapreso per raggiungere questo obiettivo?
"Giorno dopo giorno sto selezionando gli appezzamenti migliori con le viti più vecchie e con i terreni più profondi che si sviluppano sul Loess dell’area di Bilovice. Ho cominciato a pensare all’eredità che ho intenzione di lasciare e per questo mi sto concentrando sulla salute delle nostre piante. Abbiamo cominciato a potare insieme al team Simonit & Sirch perché lo vedo come il modo migliore di allungare la vita delle mie piante e renderle sane e felici.
Oltre a questo, siamo cresciuti in termini di dimensione, il che significa necessariamente gestire un team di raccolta molto più numeroso. Ho più cose di cui occuparmi, ma anche una squadra affidabile e una diversa pace mentale. Ho adorato la vendemmia 2021 perché nonostante le sue sfide e una durata di oltre due mesi mi ha portato a una modalità zen come mai prima d’ora.
Ovviamente ci siamo attrezzati meglio: nel nostro nuovo “Château" abbiamo più spazio, un tavolo di cernita e abbastanza vasche di fermentazione di buona qualità e di ogni forma e materiale. Non lo dico perché sono un fanatico dei gadget – la cosa più importante è che i vigneti siano al massimo della forma così da ottenere una bella materia prima – ma questo mi permette di approcciarmi a ogni appezzamento nella maniera che ritengo possa adattarsi meglio.
Del resto perché spaccarsi la schiena per avere un’uva di prim’ordine per poi fare danni in cantina? Ora invece posso veramente concentrarmi con calma sulla messa a punto dei piccoli dettagli.
Attualmente abbiamo ventisette ettari suddivisi in tredici appezzamenti coltivati principalmente con uve locali e con qualche varietà internazionale e ci impegniamo a preservare il potenziale unico dei grappoli in cantina e in bottiglia, in modo che il vino nel calice presenti sempre un lampo di gioia giovanile qualunque sia il suo millesimo".
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