Il vino naturale non esiste. Quantomeno dal punto di vista legale. Eppure, dal momento in cui tale dicitura è entrata a far parte del vocabolario d’uso comune della stragrande maggioranza delle persone, crediamo sia poco utile provare a trovarne di nuove; con buona pace dei detrattori che si ostinano ad affermare, come se non fosse chiaro a tutti, che il vino non possa essere naturale perché prodotto dall’uomo. Così se oggi il concetto di vino naturale rimanda a un significato condiviso e sempre più vignaioli si avvicinano a questo approccio, il merito va a quei produttori che in tempi non sospetti, quando la chimica offriva illusioni a buon prezzo, hanno scelto di nuotare controcorrente. Pionieri e ispiratori di un movimento che si espanso a macchia d’olio grazie ai valori di condivisione, solidarietà e amicizia su cui è stato fondato. Ci siamo fatti raccontare la storia della sua evoluzione da Marie Lapierre, protagonista indiscussa della rivoluzione silenziosa scoppiata negli anni ‘80 nel Beaujolais, destinata a cambiare per sempre le sorti del vino.
Raccontaci del Beaujolais: dove si trova, quali sono i suoi aspetti caratteristici e che tipo di vini si producono?
"Il Beaujolais si trova nella Francia orientale, a 50 km a nord di Lione e ha una superficie viticola piuttosto importante rispetto alle altre regioni della Francia. Per farvi un esempio, un solo vigneto di Morgon corrisponde all’intera superficie dello Jura. Quest’area è caratterizzata da terreni granitici e argillosi, con abbondante presenza di scisti nelle Côte, come nella Côte du Py o nel Morgon. La varietà è una sola, il Gamay, che dà il meglio in zone argillose, calcaree e granitiche. Da un solo vitigno però nascono dodici vini diversi: il Beaujolais semplice, il Beaujolais-Villages e i dieci cru del Beauolais. A differenziarli è semplicemente il terroir, quindi la composizione geologica, così come la mano del vignaiolo".
Come è strutturato il Beaujolais in termini di produzione interna dei vignaioli indipendenti, delle cantine cooperative e del commercio?
"Solitamente ogni cru ha la propria cantina cooperativa dove i vignaioli portano la propria uva, ad eccezione di Morgon dove i vignaioli fanno il loro vino lo vendono direttamente o tramite i négociants. In questa zona operano parecchi négociants, anche rinomati a livello mondiale come Georges Duboeuf, alcuni dei quali si sono stabiliti qui nel Beaujolais già da diverse decine d’anni. Ad ogni modo penso la maggioranza della produzione si rappresentata da vignaioli indipendenti".
Perché il Beaujolais è importante nell’ambito dei vini naturali?
"Si può dire che i primissimi precursori del vino naturale vengono dal Beaujolais, tra cui mio marito Marcel Lapierre, che faceva parte di loro già dal 1980. Sono passati quarant’anni: una goccia nell’oceanico mondo del vino che però ha cominciato a moltiplicarsi. Di pionieri però ce n’erano altri: in Loira per esempio. Mi riferisco a Charly Foucault, che rappresentava la quinta generazione della sua famiglia a fare vini naturali. A quei tempi tutti gli anziani facevano vino naturale senza porsi il problema perché sul mercato non si trovavano tutti questi prodotti chimici come adesso. Ad ogni modo si vede che il ritorno al vino naturale è iniziato da qui: Marcel ha influenzato tanti altri vignaioli che si sono alleati alla sua causa e che hanno seguito il suo esempio facendo vini naturali, ora infatti c’è una bella concentrazioni di produttori che lavorano bene".
Tu quando hai conosciuto Marcel e come hai vissuto gli esordi del movimento del vino naturale accanto a lui?
"Ho conosciuto Marcel nel 1980: ero venuta qui per vivere l’esperienza della vendemmia almeno una volta nella vita. Avessi saputo che poi l’avrei fatto ogni anno forse non sarei venuta! Per Marcel era il primo anno di trasformazione del suo modo di fare e di vedere il vino. All’epoca non si parlava di vino naturale, si parlava di “riconversione al biologico” e di “riportare la cultura nella natura”. Così come non esisteva un disciplinare per la vinificazione. Nello stesso anno Marcel ha conosciuto me e ha cominciato a fare il vino naturale: dev’essere stato un bello stravolgimento di vita.
Eravamo gli unici ad andare controcorrente, all’inizio è stato abbastanza destabilizzante, ma poi abbiamo ripreso fiducia in noi perché credevamo in quella scelta. Poi nell’84 o nell’85 è venuto qui il primo vignaiolo del posto a chiedere a Marcel di insegnarli come lavorava, poi è arrivato il secondo, il terzo, il quarto... si erano moltiplicati, anche se allora eravamo insignificanti su scala nazionale. Ci trattavano come degli hippie strampalati, ma finché ci lasciavano lavorare come volevamo non ci importava. È una strada piena di dubbi e ci facevamo costantemente domande. Lo stiamo facendo bene? Stiamo andando nella giusta direzione? Durerà? O ci stiamo solo mettendo tutti contro? Bisogna affrontare anche questo, essere convinti e avere davvero la voglia di buttarsi. Noi abbiamo tenuto duro e siamo davvero felici di averlo fatto".
Dopo aver riunito intorno a voi altri vignaioli che azioni avete compiuto per distinguervi dalla massa? Quali scelte hanno comportato in vigna e in cantina? Che ruolo ha avuto Jules Chauvet?
"Jules Chauvet ha avuto un ruolo decisivo. Marcel l’ha conosciuto nel 1980 e quell’incontro ha cambiato tutto per lui. Chauvet era un commerciante, ricercatore e vignaiolo senza pari che ha dimostrato al mondo intero che si poteva fare vino senza zolfo, senza zucchero e senza prodotti chimici. Seguendo il suo esempio Marcel è andato nella direzione opposta a tutti: arava le vigne, coltivava i terreni, raccoglieva l’uva a mano e ha optato per i trattamenti con prodotti naturali. Allo stesso modo in cantina facevamo una selezione delle uve impeccabile, acino per acino, e si era rigidi sull’igiene, necessario per lavorare senza solfiti. È stato un cambiamento completo ha richiesto tantissimo tempo, lavoro, manodopera e attenzione sia in vigna che in cantina.
L’incontro con Jules Chauvet è stato molto proficuo per Marcel perché ha accettato di condividere con lui la sua conoscenza. Era incredibilmente paziente con lui e ha accettato di degustare tutti i vini che faceva. I primi anni ogni volta che li assaggiava diceva: “ci sei andato vicino” e Marcel non ne andava molto fiero. Poi nel ‘84 Chauvet gli disse che quel vino avrebbe voluto farlo lui e fu come vincere una medaglia d’ora: la straordinaria consacrazione di tutti gli sforzi di Marcel".
Come descriveresti Jules Chauvet da un punto di vista più intimo e umano?
"Jules Chauvet aveva origini nobili, una certa età, ma un bell’aspetto e un bel portamento. Nonostante una profonda conoscenza non si metteva mai in mostra ed era davvero molto umile. Riusciva ad avere sempre un aspetto elegante, anche se portava delle camicie da lavoro con il colletto logoro e come cintura usava il filo che si usa per legare le viti. Era un uomo profondo, ragionevole, intelligente e ponderato. Spesso riceveva le persone sue e quando gli si chiedeva un appuntamento per il pomeriggio lui era sempre molto disponibile. Chiedeva a che ora e se preferissero tè bianco o il tè verde. E quando gli dicevano che andavano per degustare i vini lui rispondeva: “Io vi posso ricevere nel pomeriggio senza problemi, ma non si assaggiano i vini nel pomeriggio. Si assaggiano di mattina, almeno un’ora e mezza dopo la colazione e fino all’ora di mettersi a tavola. Dopo non abbiamo più il palato giusto”. Era piuttosto divertente perché la gente ci rimaneva di stucco. E se gli dicevano che erano di passaggio solo per il pomeriggio, lui rispondeva: “È un peccato. Ma vi lascerò una bottiglia, la potrete assaggiare a casa, ma la mattina dopo!”. Era un personaggio piuttosto atipico".
Dopo il 1984, una volta che Marcel era finalmente soddisfatto dei propri vini, cos’è successo?
"Marcel ha avuto ancora più voglia di andare avanti. Il 1985 è stato un anno fantastico, avrei voluto che fosse il 1985 tutti gli anni, ma sarebbe stato troppo facile. In quell’anno i giornalisti cominciarono a interessarsi al lavoro di Marcel e questo diede fastidio a molti professionisti e tecnici del settore. Era la dimostrazione che si potevano fare vini naturali magnifici senza l’aiuto della chimica. Col tempo hanno iniziato a metterci il bastone tra le ruote a livello professionale, non tanto i vignaioli quanto le istituzioni, cercando di ostacolare i processi di riconoscimento delle denominazioni d’origine. Noi però abbiamo resistito e niente ci poteva più fermare. Più crescevamo, più facevamo squadra: questa era la nostra forza. Qualche anno più tardi abbiamo anche iniziato a creare un’associazione a livello nazionale per riunire i vignaioli che producevano secondo la stessa etica. Lo scopo era sostenerci a vicenda e arrivare a farci sentire dalle autorità pubbliche, non chiedevamo che tutti i vini fossero come i nostri, ma di poter lavorare come volevamo noi senza che ci venisse impedito di essere riconosciuti".
Sappiamo che Marcel voleva condividere la sua conoscenza sui vini naturali. Che metodi ha utilizzato per diffonderla, anche al di fuori del Morgon?
"Non è stato Marcel, lui faceva il suo vino come voleva, con le sue convinzioni. Sono stati i vignaioli che pian piano gli sono venuti incontro da diverse regioni. Lui condivideva il suo sapere, ma non era uno che andava dai media dicendo di voler far sapere tutto al mondo intero. Piuttosto sono stati i vignaioli e gli importatori che per primi l’hanno seguito ad aver condiviso la sua conoscenza e questi “nuovi” metodi di vinificazione. E poi c’è la ristorazione che ha seguito l’onda e ci ha rappresentato con i clienti finali. Le enoteche e i ristoratori sono stati i nostri “contrabbandieri”! Uno su tutti Alain Chapel, un ristoratore per cui non esistevano altri vini per accompagnare i suoi piatti se non i nostri. La sua era una cucina il più possibile vicina al prodotto, priva di tutto ciò che era superfluo, per questo si rispecchiava nei nostri vini. Da Alain Chapel è nato un passaparola che è arrivato fino ai media. Quando abbiamo cominciato a vendere all’estero hanno iniziato a chiedersi chi fossero quei pazzi del Beaujolais che facevano quei vini deliziosi. Il Beaujolais nouveau nel frattempo aveva inondato il mercato mondiale, ma si trattava di vini nocivi per tutte le sostanze chimiche che contenevano e la gente si è presto stufata di questi prodotti. Coi nostri vini invece ci si poteva ubriacare stando bene il giorno dopo. Questo faceva porre domande anche a chi non sapeva molto di vino. Ci dava davvero molta soddisfazione riuscire a spingere le persone a bere vino buono".
In quanto produttrice di vini per Château Cambon, come vivi i momenti attuali del vino naturale?
"Adesso il vino naturale ha assunto una portata straordinaria, anche se la parola “naturale” è stata un po’ travisata e spesso usata un po’ a vanvera. Abbiamo permesso a tutti i tipi di vino di avvicinarsi a questo termine: io personalmente non sono molto d’accordo, ma ognuna la vede a modo suo. Trovo che spesso non corrisponda più a ciò che rappresentava inizialmente, ha imboccato una strada diversa rispetto alla causa sposata in partenza. Per quanto riguarda Château Cambon, non utilizziamo fattori di produzione di natura chimica, ci permettiamo esclusivamente di usare solfiti in piccole dosi. Vino naturale non significa zero zolfo, è meglio aggiungerne pochi durante l’imbottigliamento piuttosto che vedere certi vini fuorvianti invadere il mercato, spacciandosi per vini naturali. Questo è il mio punto di vista: forse un po’ diretto e brutale, ma realistico".
Allora qual è la tua definizione di vino naturale?
"Il vino naturale nasce in vigna. La vigna va arata, anche se adesso ci sono degli studi che dicono che lasciare l’erba spontanea permette di avere una popolazione di insetti molto importate. Per i trattamenti vanno impiegati solo prodotti bio o biodinamici, che negli ultimi hanno visto un’importante diffusione. Anche la selezione in vendemmia è di vitale importanza, così come l’igiene: durante la vinificazione bisogna essere sempre impeccabili nella pulizia. È grazie a questo che si riesce a fare un vino naturale, poi ognuno ci lascia il proprio “segno”, ma riguarda la personalizzazione dei vini ed è un altro discorso.
Come dicevo prima, io ho conosciuto Marcel nel 1980 e non vengo da un ambiente vitivinicolo, ma se mi penso alla definizione della parola naturale penso principalmente alla spontaneità di questo mondo agricolo e contadino, dove si lavora la terra condividendone i frutti con tutta la popolazione. Non ci rivolgiamo a un’élite, ma a tutta la società e questo porta con sé valori importanti di solidarietà, alleanza e complicità. È davvero qualcosa di straordinario e mi rendo conto di essere stata fortunata nella vita, per aver conosciuto Marcel e per aver conosciuto questo mondo, per esserci rimasta e per avere dei figli che hanno deciso di proseguire su questa strada".
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