Vent’anni fa la borghesia del vino e la maggior parte dei media si schierarono contro la rivoluzione delle Triple “A”. Le pratiche agricole, sia egoiste che altruiste, e le tecniche di cantina erano sconosciute o addirittura celate ai commercianti e ai wine lovers. I lieviti: emeriti sconosciuti.
Ci sono voluti più di dieci anni di lotte dialettiche per far diventare fin banale e scontato il nostro protocollo. L’agricoltura rispettosa del pianeta, i lieviti naturali e la riduzione dell’utilizzo dell’anidride solforosa sono diventate un’evidenza, conditio sine qua non per produrre un vino autentico, originale ed espressivo, un vino di terroir.
La moda del vino naturale (che parolaccia!), in realtà il ritorno al Vino con la “V” maiuscola, ha portato da un lato alla creazione di nuove norme sul vino biologico, per renderlo producibile anche dall’industria, e dall’altro alla riconversione di molti produttori storici e alla nascita di molti giovani produttori.
Questa dinamica ha di nuovo, in modo diverso, portato a una confusione per il bevitore. Vini biologici insignificanti a basso prezzo e vini naturali, sì ma, dal punto di vista Triple “A”, mancanti della terza “A”, quella dell’Artista nel profondo senso del termine.
La componente artistica di un vignaiolo si rivela nel suo savoir-faire, nella capacità di adattare il proprio gesto in funzione della miriade di variabili che entrano in gioco nel vigneto e in cantina, vendemmia dopo vendemmia.
Le prime due “A” sono state fondamentali per distinguere, nella fase più accesa della rivoluzione, il Vino dalle bevande legalmente autorizzate a usare lo stesso nome. Oggi, che da più parti provano ad appropriarsi dei valori fondanti della rivoluzione, la terza “A” diventa l’unica chiave d’accesso alla migliore espressione di ogni terroir.
Ma per loro natura, le Triple “A” sono un passo avanti, già impegnate nella sfida di domani. Mentre le istituzioni, piegate al volere dell’industria, continuano a propugnare un modello agricolo la cui sconfitta è evidente, si rende sempre più necessario un ritorno a una vera policoltura, che fa della diversità e della convivenza tra le specie la sua più grande ricchezza. Oggi essere contadini significa essere custodi del futuro.
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