“Essere viticoltore significa essere attento, curioso, meditativo, laborioso, audace, meticoloso, innamorato della natura e degli esseri viventi, rispettoso dei propri simili.
Essere vignaiolo significa essere artista e metodico, audace e riflessivo, entusiasta e cogitabondo, focoso e paziente, ostinato e fantasioso, parsimonioso e generoso. Il lavoro del vignaiolo inizia con l’idea del nettare che vuole produrre per deliziare gli Dei e i loro figli, attraverso l’amore che vuole comunicare alle donne e agli uomini. Il vino che sarà comincia lì.
Il vignaiolo, nei suoi sogni a occhi aperti, è costantemente proiettato nel futuro. Mentre pota le sue viti, le cesoie già pensano al raccolto futuro e individuano quello dell’anno successivo. Mentre vinifica, i lieviti intraprendono lo sviluppo degli aromi futuri. Mentre imbottiglia, il tappo si impegna nella longevità del vino. Ogni vino è unico e vuole essere guidato secondo la propria personalità. Ogni vino registrerà tutti gli elementi della collaborazione con il cantiniere, e conserverà tutti i segreti del suo élevage fino alla degustazione. Solo allora rivelerà generosamente tutto l'amore del viticoltore, divenendo un cru.
[tratto da Être vigneron – La passion d’un vie di Jean Pierre Amoreau]
Quando si parla di Le Puy ci si riferisce principalmente a un “lieu”, cosa significa?
Prima di essere uno Château o un’azienda agricola, Le Puy è un luogo millenario, la cui storia racconta una profonda e intima relazione tra uomo e natura: una convivenza felice, non sempre facile, ma della quale entrambi si nutrono.
Ci troviamo sulla cima dello stesso altipiano roccioso di Saint-Émilion e Pomerol, a oltre cento metri sul livello del mare, su terreni argillo-calcarei ricchi di fossili di stelle marine tipiche di quest’area di Bordeaux. Si tratta del secondo punto più alto del dipartimento della Gironda, da cui si domina l’intera valle della Dordogna. È questa peculiare posizione ad aver dato il nome al luogo già all’epoca dei romani. “Puy” infatti indica un luogo ad altezza elevata, un podio, il picco di una montagna
Un sorprendente Cromlech indica la presenza di vita a Le Puy sin da tempi remoti. Si tratta di un sito megalitico costruito da due dolmen e diverse pietre rialzate disposte a formare un cerchio attorno a una pietra centrale. Questa piccola Stonehenge risale all’età del Bronzo, dai tremila ai quattromila anni fa, e dimostra come in passato l’uomo abbia riconosciuto in questo luogo, immerso nel cuore di un bosco di querce, una concentrazione di forza, vita e benessere. Questa testimonianza di vita fa sì che la promozione e la salvaguardia della vita siano tuttora al centro della nostra filosofia.
Anche i nostri antenati avevano notato la singolarità di questo luogo mitico per la straordinaria finezza dei vini che vi si producevano, tanto da dargli il nome di “Coteau des Merveilles”, ossia l’altopiano delle meraviglie. Dai ricordi e dagli archivi di famiglia, la vita a Le Puy è sempre stata organizzata attorno a un principio di diversificazione, mantenendo però la coltivazione della vite come perno centrale. In questo modo, forse inconsapevolmente, hanno partecipato alla creazione di un equilibrio unico e permanente, basato sulle interazioni benefiche tra le specie, che coesistono restituendo vita a Le Puy. Le Puy è terra, foresta, prateria, vigna e stagno; la sua identità è definita dalla vita in simbiosi tra piante, animali, uomini e microrganismi. In questo senso è prima di tutto un luogo.
Da quando la famiglia Amoreau abita in questo luogo facendosene custode?
Le prime testimonianze dei nostri antenati che vivevano a Le Puy risalgono al 1610. All’epoca le principali attività erano la coltivazione della vite e del grano rosso, ma si praticava la policoltura per poter essere autosufficienti. E per diverse generazioni si sono comunque rivelate necessarie attività complementari per il sostentamento economico delle famiglie. Così tra i nostri antenati non si annoverano solamente agricoltori, ma anche un fabbro, un tessitore e un bottaio. Ma è proprio la passione per il vino a essere stata trasmessa attraverso i secoli di padre in figlio; ognuno di loro ha dato continuità a questa dimensione, apportando sempre qualcosa di nuovo. Così ancora oggi il vino è il motore essenziale della nostra famiglia.
Durante questi quattro secoli come sono cambiati, e in che maniera si sono evoluti il lavoro e la visione del vino nella vostra famiglia?
Il nostro lavoro a Le Puy ha sempre avuto un occhio all’innovazione e uno alla salvaguardia della tradizione. Attraverso gli archivi di famiglia abbiamo potuto ricostruire le varie tappe fondamentali nella storia e nell’evoluzione dello Château. Dalle più antiche, risalenti al XVII e XVIII secolo come l’introduzione della trazione animale, con i buoi che affiancano l’uomo nel lavoro dei vigneti, l’impiego del letame come primo fertilizzante agricolo e l’affinamento delle tecniche di costruzione delle botti; alle più recenti, come i primi pensieri di Barthélemy, il bisnonno di mio padre Jean Pierre, sulla possibilità di non utilizzare lo zolfo come antiossidante per la conservazione del vino, il rifiuto dell’impiego dei prodotti chimici in vigna da parte di suo figlio Jean e la realizzazione della fouilleuse a opera di mio nonno Pierre-Robert, oltre alla prima scavatrice per un’aratura di superfice, più rispettosa dell’ecosistema del suolo.
Su cosa si sono concentrati invece il lavoro tuo e di tuo padre Jean Pierre?
Dagli anni ’70 in poi il principale obiettivo perseguito è stato la creazione di un ecosistema agroforestale veramente diversificato. Foreste, stagni, frutteti, prati sono stati integrati alla coltura della vite per lo sviluppo di un vero e proprio paradiso di biodiversità. Tutto ciò ha interessato anche la fauna: oltre alle mucche, presenti da sempre, sono state reintrodotte arnie per le api, i cavalli per le lavorazioni tra i filari e sono stati creati inoltre dei “percorsi di impollinazione” attraverso la coltivazione di piante e fiori all’interno dei vigneti, per accrescere la presenza di insetti.
A partire dagli anni ’90, sullo spunto delle riflessioni di Barthélemy, cui è dedicato il vino che porta il suo nome, abbiamo realizzato le prime cuvée senza solfiti e integrato le pratiche biodinamiche nella conduzione agricola dei vigneti, certificata biologica dal ’64. Di recente, anche con l’ingresso in azienda di Adrien, ci siamo concentrati sulla permacultura, lavorando per ridurre le lavorazioni del terreno e rafforzare la copertura vegetale, per la reintroduzione di varietà antiche di vitigni come counoise, grolleau, chenanson, len de l’ei e castets, per contrastare l’aumento della gradazione alcolica dovuta all’influenza dei cambiamenti climatici, e lavorando inoltre sull’installazione di un sistema di raccolta e filtrazione naturale dell’acqua che viene utilizzata in campo agricolo e vinicolo, proveniente dalle tre sorgenti interne alla tenuta.
Come riassumeresti la filosofia che guida il vostro lavoro?
La nostra filosofia di lavoro si basa sull’esperienza e sul buon senso ereditati dai nostri antenati, che coltivavano le terre di Le Puy già dal 1610. È una filosofia che si fonda sul rispetto della terra, degli animali, degli uomini e della vite, che da sempre è coltivata senza impiego della chimica, attraverso i principi della biodinamica e della permacultura.
La vite deve fiorire ed essere trattata con competenza, sensibilità, semplicità e umiltà. Alla standardizzazione preferiamo la libertà di ogni pianta di esprimere le qualità della nostra terra, e alla monocoltura preferiamo il principio della biodiversità dell’ecosistema in cui le nostre mucche, i nostri cavalli e le nostre api hanno ciascuno un ruolo da svolgere. Perché un vino catturi l’attenzione il territorio deve avere un messaggio che vale la pena di condividere e assaporare. Ci piace ricordare questa autenticità sulle nostre etichette, attraverso la scritta “Expression Originale du Terroir”.
Tutto questo ci permette di offrire vini sani e di alta qualità che fanno bene al corpo e allo spirito grazie alla loro ricchezza di elementi positivi. Ci piace pensare che esistano per portare felicità a tutti coloro che li bevono.
Come sono lavorati i vigneti a Le Puy?
La trazione animale fornita dai nostri cinque cavalli assicura un lavoro preciso e delicato intorno alle viti, evitando l’effetto di compattazione del suolo provocato dai trattori. L'aratura è vietata, e il terreno viene lavorato esclusivamente in superficie per non impattare la rete micorrizica. Promuoviamo la biodiversità all’interno del vigneto attraverso un attento lavoro di selezione massale, e lo sviluppo radicale delle viti attraverso la salvaguardia della vita microbica del suolo.
Come i nostri antenati prima di noi, rifiutiamo l’impiego di fertilizzanti chimici e altri prodotti di sintesi. Ci prendiamo cura delle viti con tisane e infusi di piante prodotte all’interno dell’azienda, non pratichiamo né vendemmie verdi né defogliazione, e le vendemmie sono interamente manuali.
E in cantina come si procede?
La maggior parte del lavoro si svolge in vigna, quindi in cantina l’obiettivo è trasmettere al vino l’energia creata in vigna, gli oligoelementi catturati dalle viti e presenti negli acini. Per fare questo viene effettuata un’attenta selezione dei grappoli, che vengono diraspati. Gli acini sono posti in vasche di cemento dove iniziano la fermentazione grazie ai lieviti indigeni. Pratichiamo delle fermentazioni “per infusione”, che permettono estrazioni molto delicate e una migliore integrazione tra le componenti del vino. Questo si riflette nella consistenza, nella finezza e nell’armonia dei nostri vini. Non utilizziamo artifici aromatici, non facciamo filtrazioni e non aggiungiamo solforosa.
Terminata la fermentazione arriva il momento dell'affinamento, che avviene in legno di rovere, durante il quale ricerchiamo lo scambio con l’esterno piuttosto che la cessione aromatica. Per questo raramente cambiamo le nostre botti. A Le Puy non esiste un consulente enologico: le decisioni si prendono insieme in famiglia. Per questo abbiamo anche un laboratorio di analisi interno per monitorare l’evoluzione dei nostri vini e garantirne l’irreprensibile qualità
Di recente avete rinunciato all’Appellation Francs-côtes-de-bordeaux e in etichetta scrivete semplicemente “Le Puy” (senza Château). Come mai avete preso queste decisioni?
Volevamo essere liberi, e siamo usciti dal disciplinare mettendo in atto dei sistemi per contrastare i cambiamenti climatici, come l’introduzione di nuovi vitigni di varietà antiche e i primi impianti a pergola, molto diffusi in centro Italia, che sfruttano l’apparato fogliare per riparare i grappoli.
E poi, dopo diversi anni e tanti incontri in giro per il mondo, ci siamo resi finalmente conto che eravamo gli unici a dire “Château Le Puy” per parlare della nostra tenuta. Per tutti eravamo semplicemente Le Puy, che in fondo è il nome del luogo. Il nostro vino non appartiene a una denominazione o a una classificazione, ma a un luogo, alla terra sul “Coteau des Merveilles” che la nostra famiglia abita e custodisce da più di quattro secoli.