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La terra dentro: Jordi Llorens ovvero essere agricoltore

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La terra dentro: Jordi Llorens ovvero essere agricoltore

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Prima di geologo, prima di vignaiolo e anche prima di diventare “grande” Jordi anzitutto si sente agricoltore. La storia del legame profondo e indissolubile con la terra insegnatogli dai genitori sin da bambino.

Iniziare giocando. La tavola come luogo delle decisioni. Il pranzo nei giorni di festa. La centralità della famiglia: la mamma che riunisce in casa, sotto la sua protezione, tutti i suoi figli, insieme a consumare un gesto rituale. “Amavo questo momento” ricorda Jordi “tipico e peculiare di tutte le famiglie del Mediterraneo. Intorno alla tavola tutti sono uguali e tu puoi esporre le tue idee, le tue opinioni, i tuoi progetti e tutti si ascoltano e tutti si aiutano”. Così Jordi un giorno disse “Voglio fare vino!” e la sorella lo incalzò “Quante bottiglie?” “Mille” replicò Jordi. E vuoi che il marito della sorella non avesse un ristorante ed esordisse quindi affermando “Bene. Te le compro tutte io”. A quel punto, e senza poter addurre scuse o replicar in qualche modo, come in un gioco, Jordi iniziò la sua carriera, o meglio, vita di vignaiolo nella Conca de Barbera. Era l’inizio degli anni 2000.

La tua è una cantina molto giovane, il Celler Jordi Llorens viene fondato ufficialmente nel 2008. Come ti è nata la voglia di fare vino?

“Bisogna risalire ai tempi in cui ero bambino. D’estate quando la scuola finiva i miei amici andavano in piscina, mentre mio papà, o come lo chiamavo io Papitu, mi portava a lavorare in vigna. Poi sono cresciuto, ho fatto l’Università, mi sono laureato in geologia, ho iniziato a lavorare e, ciononostante, continuavo ad andare in vigna nei fine settimana, nelle vacanze di Natale e in quelle estive. Il legame con la terra è rimasto e un bel giorno qualcosa è scattato. Nel 2000 ho deciso di registrarmi ufficialmente come agricoltore e ho comprato una piccola finca di tre ettari di vigna che ho reimpiantato nel 2001”.

A quando risale quindi la prima vendemmia vera e propria?

“Al 2008, me la ricordo molto bene. Eravamo solo in tre: io, mia madre e mio padre. A un certo punto ho preso una cassa di uva appena raccolta e l’ho buttata per terra. Stavamo raccogliendo il macabeo e i grappoli erano leggermente toccati, con qualche macchia di muffa, e io volevo che fossero perfetti. Mio padre, che ha sempre venduto le uve alle Cooperative, era della filosofia del “tutto dentro”. Il conflitto generazionale era ufficialmente iniziato. Io dalla mia non avevo né òe conoscenze, ne l’esperienza dell’agricoltore, ma proponevo un cambio di paradigma. A mio padre non sono mai piaciute le decisioni che ho preso, ma mi ha sempre supportato e aiutato e ora è contento per tutti quei forestieri che parlano in modo strano e che vengono fin qui per visitare la cantina.”

La terra e la vigna sono tra le cose che ti stanno più a cuore. Come hai cominciato a prendertene cura?

“Mio padre mi ha sempre insegnato a fermarmi e a riflettere, a chiedermi sempre se fosse il momento giusto di fare una cosa piuttosto che un’altra. Ciò che oggi faccio in vigna non è molto diverso da quello che i contadini facevano prima del cooperativismo: rispettare i cicli della natura, la terra e la fertilità del suolo e fare le cose quando è necessario! Oltre a essere un metodo valido si sta dimostrando anche un’ottima risposta al cambiamento climatico odierno. Dopodiché abbiamo fatto molti studi di geochimica del vino, l’inventario delle piante di tutte le fincas (parcelle) e l’associazione di queste a ogni vigneto, definendo quelle che sono le nostre comunità vegetali”.

La partenza è stata da subito in biologico, la biodinamica invece è arrivata più tardi. Come ti sei avvicinato a questa pratica?

“Grazie ad Alain Dejean conosciuto al salone di vini naturali a Tours, produttore del Sauternes a Domaine Rousset-Peyraguey che è associato a Terradynamis, impresa di consulenze in agricoltura biodinamica. Alain Dejean è fuori dalla Aoc Sauternes ma possiede un livello altissimo di comprensione della biodinamica. Comprai il libro di Nicolas Joly Il vino tra il cielo e la terra, poi frequentai un seminario con Nicolas e quindi passai al ciclo di conferenze che Rudolf Steiner tenne per gli agricoltori che ho già letto tre volte: ogni nuova lettura per me è una nuova comprensione”.

Per quanto riguarda la vinificazione invece Joan Ramon Escoda è stato una sorta di tuo maestro, che ha ti aiutato agli inizi, forse colui che ti ha avviato sulla via del naturale. Come lo hai conosciuto e come è stato l’incontro con lui?

“Sono sempre stato curioso di sapere le cose. Ho incontrato Joan Ramon Escoda più o meno nel 2009, nei primi anni da agricoltore “professionista” quando ancora non mi rendevo bene conto di cosa stessi facendo. Sono andato a visitarlo e, se devo essere sincero in un primo momento ho pensato che fosse matto, che non capisse nulla della vigna e della terra. Poi ho scoperto che ero io che non ero pronto a comprendere cosa stessero facendo Joan Ramon e il gruppo di produttori che lavorava in naturale. Stando insieme sono riuscito a entrare in sintonia con loro e quel punto ho cominciato a capire”.

Un altro incontro fondamentale nel tuo percorso nel mondo del vino è quello con Pitu Roca, uno dei tre fratelli proprietari, tristellato El Celler de Can Roca di Girona.

“Avevo vinificato dei microlotti senza aggiungere solforosa per la moglie del mio migliore amico che è allergica ai solfiti. Joan Ramon Esconda mi aveva invitato alla Fiesta de la Vaca Selvaje de las Alberas. Lì ho incontrato Pitu Roca, autore e curatore della carta dei vini del ristorante che ha assaggiato i vini e mi ha chiesto di passare a trovarlo. Per me è stata una rivelazione, un’iniezione di fiducia che mi ha spinto a continuare e a osare nella direzione del naturale senza compromessi. A partire dal 2012 tutta la produzione è diventata naturale, che in Spagna significa categoricamente senza solfiti aggiunti. E quando i miei vini sono entrati nella carta del Celler De Can Roca, piano piano il Celler Jordi LLorens ha acquisito notorietà e attirato tanti appassionati e operatori. Se vogliamo il 2012 è quindi l’anno del vero debutto e nel 2021 sono finalmente riuscito a chiudere il cerchio con quindici ettari vigna coltivati e l’intero volume di uva vinificato e imbottigliato”.

Veniamo alle anfore che fanno parte integrante del tuo modo di vinificare. Quando hai scoperto questo strumento e perché hai iniziato a usarlo per i tuoi vini?

“La ceramica è una tradizione del Mediterraneo: si usava per conservare l’acqua, l’olio e il vino. Nel 2013 Joan Ramon Escoda mi chiede se volessi un’anfora e ho accettato. Io non sapevo nulla di questi contenitori, ma ho scoperto su internet che Elisabetta Foradori stava facendo cose fenomenali con la terracotta. Ho provato a vinificarci il moscatel ed è nato il Blan d’Anzera. Il risultato mi ha convinto a tal punto da decidere di investire sul questo materiale. Ne ho comprate due l’anno successivo e altre due quello seguente. Oggi ho una cantina dedicata esclusivamente alle anfore. Ho scelto di interrarle “alla georgiana”, perché sono più pratiche ed evitano bruschi sbalzi di temperatura al vino. Lavorare con la terracotta significa recuperare la nostra cultura antica, rispettare il frutto dell’uva e si dice che la sua forma sia anche in grado di attrarre le forze del cosmo”.

Qual è la direzione che vuole intraprendere il Celler Jordi Llorens? Qual è l’idea che hai per il futuro della tua cantina?

“Romper para volver a empezar otra vez. Ossia guardare in modo critico a cosa si è fatto e, invece di rifarlo copiando e incollando, ricominciare da zero dopo aver fatto tesoro dell’esperienza pregressa. Penso che bisogna in un certo senso “morire”, per rigenerarsi in nuova forma. Altrimenti si perde la purezza e si finisce in una routine: ogni anno invece è nuovo, con nuovi stimoli e nuovi progetti".

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