È il 2004 quando al Festival di Cannes viene presentato Mondovino, il documentario del regista di cinema Jonathan Nossiter che racconta l’impatto della globalizzazione, delle grandi aziende e della critica internazionale sul fenomeno di omologazione del gusto che aveva colpito il mondo del vino. Il messaggio lanciato da Jonathan è forte e chiaro ed è lo stesso che le Triple “A” portano avanti già da qualche anno: il vino come rappresentante di un territorio può nascere esclusivamente attraverso un’agricoltura pulita e una lavorazione artigianale volta all’accompagnamento del frutto verso la sua naturale espressione.
Dieci anni dopo Jonathan Nossiter torna dal cinema narrativa a parlare di vino sul grande schermo e lo fa con Resistenza Naturale, raccontando le storie di alcuni dei vignaioli simbolo dell’opposizione alla standardizzazione dei vini tra cui Stefano Bellotti di Cascina degli Ulivi, Giovanna Tiezzi di Pacina, Elena Pantaleoni di La Stoppa e Corrado Dottori de La Distesa.
Proprio dagli incontri e dallo scambio con tanti agricoltori virtuosi è nata la scintilla che oggi ha portato Jonathan alla decisione di slittare dal cinema alla terra. E forse il lato più coraggioso di questo suo cambio di vita è che Jonathan non ha deciso di vestire i panni del vignaiolo, ma quelli dell’orticoltore.
Il progetto si chiama Orto Vulcanico La Lupa e prende forma nel 2016, poco distante dalle rive del lago di Bolsena. “Era da tempo che mi ero messo in testa di trovare un posto dove lavorare la terra” racconta Jonathan “poi sono arrivato qui a Bolsena in località La Lupa ed è stato amore a prima vista. Questa terra era stata coltivata fino al ’62 da una famiglia di contadini che non avevano mai impiegato la chimica e poi lasciata in completo abbandono. Quando ci ho messo piede la prima volta era una jungla di rovi ed acacia, ma anche di una biodiversità stravangante. Questo luogo emanava energia vitale. Non solo erano terreni vergini, ma il tempo aveva ristabilito una fertilità incredibile”.
Nonostante abbia come riferimenti le teorie biodinamiche di Rudolph Steiner e quelle non interventiste di Masanobu Fukuoka e provenga da più di trent’anni trascorsi a stretto contatto con vignaioli e agricoltori virtuosi, Jonathan ha un passato da attore urbano culturale e gli manca completamente l’approccio pratico all’agricoltura. Per questo è fondamentale l’incontro con Max Petrini, uno specialista di permacoltura che lo accompagna dall’inizio del suo percorso fino al 2020, e l'aiuto di amici vignaioli come Stefano Bellotti, Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa.
La scelta di Jonathan è radicale sin dal principio: scommettere su varietà antiche, recuperare semi ancestrali e fare dell’Orto Vulcanico la sede di un progetto di rispristino della biodiversità attraverso l’applicazione di un’agricoltura rigenerativa. “L’inizio per me è stato uno shock” spiega Jonathan “andavo per vivai intorno al lago di Bolsena e a Roma alla ricerca di sementi locali e trovavo esclusivamente varietà ibridate. E questo valeva anche per i vivai biologici. Da quel momento ho capito che l’Orto Vulcanico si sarebbe dovuto concentrare sulla salvaguardia delle varietà antiche: per anni, e ancora oggi, andiamo alla ricerca di semi ancestrali conservati dai contadini e dagli istituti di salvaguardia. Grazie a una rete che è diventata una sorta di vera e propria comunità oggi all’Orto Vulcanico convivono più di 120 varietà di pomodori, altrettante di cipolle e più di mille ortaggi di tutti i tipi, alberi da frutta di varietà antiche, piante aromatiche e tanto altro. Per questo abbiamo pensato di creare un semenzaio accessibile a tutti, dove non ci sarà spazio per la vendita, ma solo per la condivisione dei semi come bene comune”.
La policoltura quindi è uno dei fondamenti cardine dell’Orto Vulcanico così come la rotazione delle colture in campo “Se la permacoltura è fantastica dal punto di vista pratico” continua Jonathan “la parola in sé mi ha sempre turbato perché include il concetto di permanenza. Noi parliamo di agricoltura rigenerativa perché partiamo dalla concezione che l’agricoltura implica una forzatura della natura. Con la coscienza di questo disturbo scegliamo di lavorare assecondando l’indole della natura: facciamo ruotare le colture e compiamo i nostri i gesti in modo che le cose possano rinascere. Il rischio che sta correndo il mondo del vino naturale è che per quanto si possa fare un’agricoltura positiva la monocoltura è dominante. Non a caso i vignaioli che più mi hanno ispirato sono Stefano Bellotti e Giovanna Tiezzi che conducono aziende non vinocentriche”.
Negli anni Jonathan si concentra sulla produzione e la trasformazione di pomodori, dapprima in modalità casalinga e con il passare del tempo in maniera sempre più professionale, fino all’apertura di un vero e proprio laboratorio dedicato dove lavora insieme alla chef onanese (e cosmopolita) Valentina Bianchi. “Sebbene il pomodoro sia una pianta stagionale, ho riconosciuto tanti aspetti in comune con la vite. È un frutto che si comporta come un messaggero nobile per la capacità di esprimere le differenze del suolo. All’interno dell’Orto Vulcanico per esempio siamo riusciti a individuare otto terroir diversi ed è incredibile come i pomodori di una stessa varietà si differenzino a seconda del tipo di terreno e di conduzione agronomica. Per esempio il ciliegino bolsenese coltivato in arido a CampoGrano ha dato vita a pomodori sapidissimi e straordinariamente minerali, mentre quello coltivato con irrigazione a gocce ad Orto Fico restituisce frutti più dolci e dall’acidità più discreta. Noi ricerchiamo un dialogo positivo tra sottosuolo, colture e microclima: mi piace definirla confusione voluta, la stessa che nelle nostre vite ci porta a incontrare per caso le persone e le idee più stimolanti”.
Proprio per questo Jonathan ha deciso di puntare su barattoli di pomodori principalmente monovarietali, differenziandoli anche in base al terroir di provenienza. “Questo implica che per alcune varietà la produzione si limita a soli venti o trenta pezzi, per altre addirittura ad appena due o tre: delle vere e proprie edizioni limitate. Questo però non è fatto per ragioni di mercato o di snobismo, l’idea al contrario e di portare avanti il concetto di singolarità: se i pomodori riescono ad essere così diversi l’uno dall’altro, di conseguenza in questo modo anche ogni barattolo diventa una sorta di pezzo unico. Ci colleghiamo all’idea che anche nel vino naturale ogni bottiglia ha una storia e un’espressione a sé stante”. Così ognuno dei diversi barattoli di pomodoro che presto affolleranno gli scaffali della Dispensa Triple “A” si fregerà del nome del terroir e della varietà impiegata tra cui, solo per citarne alcuni, il ciliegino bolsenese, il colletto scuro siciliano, il rosa di Rofrano cilentano, il leccese tondo gigante, il giallo di capaccio, il nero di Crimea e tanti altri ancora.
I barattoli di pomodoro dell’Orto Vulcanico La Lupa hanno un’ulteriore particolarità: non si tratta né di passate, né di pelati, né di polpa in pezzi. I pomodori vengono parzialmente lavorati come passata e parzialmente tagliati in pezzi o tenuti interi per poi essere assemblati. In questo modo si otterrà un sugo che coniuga la cremosità di una passata alla conservazione massima del sapore e dei valori nutrizionali del frutto.
“In quest’anno così particolare dal punto di vista climatico” prosegue Jonathan “abbiamo assistito anche ai primi incroci spontanei, cosa rarissima quando si parla di pomodori. Tra due file di ciliegino bolsenese e di colletto scuro siciliano, è nata una pianta che produce frutti tondi come il primo e con il colletto verde tipico del secondo. È Incredibile riconoscerne nei frutti sia le caratteristiche che il sapore un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. L’abbiamo chiamato ciliegiolo rosa verde e ne abbiamo raccolto i semi per sperimentare l’anno prossimo la riproducibilità di questa nuova varietà. L’incrocio spontaneo del resto è la massima espressione naturale di quello che facciamo. Noi lasciamo che la natura sia in dialogo con il gesto dell’agricoltore e questo fa dell’Orto Vulcanico La Lupa un laboratorio del possibile. Il mio sogno è che un giorno come nel vino ci saranno le fiere dei pomodoristi, perché il nostro obiettivo è portare avanti una riflessione sull’importanza e la dignità degli ortaggi. Ovviamente i costi di un’agricoltura manuale e di un lavoro del genere sono molto alti, ma speriamo in un vero cambiamento di coscienza nei confronti dell’importanza di ciò che mangiamo”.
Un melting pot di piante da semi ancestrali, un luogo di comunità e di condivisione con giovani agricoltori che vengono per dare una mano ogni tanto come Armando Dolcini di Vetralla, Maria Sole Davanzi di Orvieto e l’ex prete operaio Luca Filippi di Viterbo, un progetto in continua mutazione ed evoluzione: tutto questo è l’Orto Vulcanico La Lupa di Jonathan Nossiter. Una storia che meriterebbe un film con Jonathan per la prima volta nel nuovo ruolo da attore protagonista.
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