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Cronaca di un vin de garage

Editoriale //

Cronaca di un vin de garage

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Il racconto della prima pazza vinificazione WAW dentro al garage della Velier. Luca, Keiko, Maika, lo staff Triple “A” e sette Agricoltori, Artigiani, Artisti: quando l’unione fa la forza.

Waw

Tutto cominciò più o meno un anno fa. Luca si era messo in testa di voler vinificare un vino secondo il protocollo WAW in Villa Nuovo Paradisetto, la nuova sede della Velier.

Il progetto WAW, nato nel 2019 dalla collaborazione tra Luca e le fotografe giapponesi Keiko Kato & Maika Masuko, si propone di dare vita a una linea di vini originali, originari e primordiali: i più antichi e i più vicini alla natura. La passione per il vino di Keiko e Maika le ha portate a dedicarsi a tempo pieno al mondo del vino, fino al punto di spingerle a mettersi dalla parte del produttore, ovviamente seguendo lo stile di vinificazione tradizionale georgiano che tanto le affascina e a cui hanno dedicato il libro “Viaggio in Anfora".

I vini WAW seguono un preciso protocollo che prevede la vinificazione in anfore di terracotta di un uvaggio in precise proporzioni: per il 78% di uve a bacca bianca e per il 22% a bacca nera. La ricerca di recuperare un “approccio primitivo” alla vinificazione ha portato ad escludere l’aggiunta di solforosa e qualsiasi altro intervento, fatta eccezione per le follature in fase di fermentazione. Sin dal principio Luca, Keiko e Maika hanno voluto fare di WAW un progetto open source: così, se ai suoi esordi, i partecipanti erano una decina di produttori, oggi, il progetto ne coinvolge quasi il doppio tra vignaioli italiani e stranieri, ovviamente tutti appartenenti al mondo del vino naturale, sia Triple “A”, come Foradori, BuondonnoMovia e il Domaine Milan, che non, come il Domaine de Miquettes, Fernando Angulo e Joan Ramon Escoda.

La prospettiva di produrre il nostro primo vino è stata subito accolta con grande entusiasmo, ma per passare dalle parole ai fatti occorreva che qualcuno coordinasse la realizzazione del progetto e si facesse carico della vinificazione dedicandoci tempo quotidianamente e seguendola, passo dopo passo, in tutte le sue fasi. Devo ammettere che l’idea di occuparmi in prima persona di questo progetto mi stimolava non poco. “Un’occasione del genere non capita mica tutti i giorni” ho pensato, e mi sono fatta avanti. Una volta nominata capoprogetto da Luca Gargano, sono bastati pochi giorni per passare dall’entusiasmo alla preoccupazione. Avevo già partecipato a diverse vendemmie e a vari lavori di cantina da tanti amici vignaioli, ma nonostante il vino fosse il mio pane quotidiano da più di vent’anni, farsi carico di punto in bianco di trasformare tutto quel quantitativo d’uva in un vino compiuto era tutto un altro paio di maniche! Mi serviva un piano d’azione.

La prima cosa che mi venne in mente era di confrontarmi con i vignaioli più abituati ad avere a che fare con le vinificazioni in anfora. Ho preso il telefono e, per ovvie ragioni, ho chiamato d’istinto Emilio Foradori. Poi è stata la volta di Gabriele Buondonno, di Heydi Bonanini di Possa e di Daniele Parma de La Ricolla. Daniele non si è limitato solo a darmi dei consigli, ma ha accettato con entusiasmo di affiancarci nella realizzazione del progetto. Era indispensabile che ci fosse un vignaiolo vicino a Genova che potesse di tanto in tanto fare un salto in Villa Nuovo Paradisetto per controllare che tutto procedesse regolarmente.

Anfora Tinaja WawIl passo successivo era farsi spedire la tinaja: un’anfora di terracotta da 350 litri di Orozco, storico artigiano spagnolo di Villarobledo, nella regione di Castiglia-La Mancha. Proprio a Orozco erano state commissionate tutte le anfore fino ad allora utilizzate per la realizzazione dei vini WAW.

Ricordo ancora quando arrivò a destinazione: ero in ansia come una mamma alle prime armi con in braccio il suo primo pargoletto. Non sapevo che le anfore viaggiassero appoggiate su semplici bancali di legno ancorate con delle cinghie e senza alcune protezioni laterali. Ero quasi stupita che la tinaja, così imponente, ma allo stesso tempo vulnerabile, fosse arrivata sana e salva fino a Genova.

La domanda successiva era scontata: e adesso dove la mettiamo?”. A me e Luca venne subito in mente la stessa idea “interriamola in giardino!”. L’ipotesi ben presto si rivelò poco pratica, serviva una soluzione più comoda e meno impegnativa. Così saltò fuori l’idea del garage e, dopo averle fatto trascorrere una settimana colma d’acqua per testarne l’impermeabilità, la tinaja fu fissata alla parete del garage.

Nel frattempo, forte dei consigli di Emilio e degli altri produttori, mi ero procurata il materiale necessario alla vinificazione: un tavolo di legno su misura dove diraspare l’uva a mano e un coperchio di vetro con un foro dove collocare lo sfiatatore per sigillare la tinaja. A quel punto mancavano solo una cosa, la più indispensabile: le uve!

WAW Keiko, Maika, Possa Heydi Bonanini, Ilaria Bellotti
WAW

Sin dal principio l’intenzione di Luca era di produrre un WAW Triple “A” con il contributo delle uve del maggior numero possibile di produttori. La bellezza dell’idea dovette però scendere a patti con le distanze e coinvolgemmo sette produttori tra il Piemonte e la Liguria: i Bera, Francesco Brezza, Ilaria Bellotti, Giulio Viglione, Andrea MarcesiniHeydi Bonanini e ovviamente Daniele Parma. Accordarsi sulle quantità fu il meno, il vero problema era riuscire a fissare un girono della vinificazione che andasse di pari passo con sette vendemmie in sette luoghi diversi. Il 17 settembre era l’unico giorno perfetto e 17 settembre fu.

Heydi recuperò le uve di Andrea e con le cassette nel bagagliaio si presentò puntale insieme a Daniele e Ilaria ognuno con i rispettivi grappoli. Così, con il loro aiuto e insieme a Keiko e Maika demmo il via alla nostra prima vinificazione WAW. Nel frattempo Alberto e Fabio si fecero carico di andare a recuperare le uve dagli altri produttori piemontesi. Inutile dire che, nonostante fossero partiti quasi all’alba, si ripresentarono alla Velier in tarda serata dopo essersi persi nei meandri delle cantine dei Bera, di Tenuta Migliavacca e di Giulio Viglione.

A causa di questo imprevisto, che col senno di poi era più che prevedibile, la tinaja fu colma quasi a tarda a notti e andammo a dormire con l’ansia che la fermentazione spontanea prendesse piede. La mattina dopo l’odore del mosto in fermentazione si sentiva già all’inizio del vialetto che conduce al garage. In due settimane, incredibile, ma vero, il vino ero secco.
In quei quattordici giorni, più volte al giorno interrompevo il mio lavoro d’ufficio per vestire i panni della vignaiola, fare le follature e controllare che procedesse tutto regolarmente. A quel punto rimaneva solo da sigillare l’anfora e aspettare, colmando di tanto in tanto l’anfora con il vino di un piccolo semprepieno che avevamo tenuto da parte.

Come da protocollo, il vino è rimasto alle bucce fino a pochi giorni dall’imbottigliamento. Giusto il tempo di farlo decantare dopo la svinatura e il 21 dicembre con Daniele, Keiko e Maika ci siamo messi ad imbottigliare a mano le quattrocento bottiglie del primo WAW Triple “A”,

Sarà stata la fortuna del principiante o più probabilmente la grande energia positiva di tutti quelli che hanno collaborato al progetto, fatto sta che il risultato è stupefacente. Un vino dal rosato carico, dalla bocca piena e dalla beva pressoché infinita. O più semplicemente un vino, che oltre a far schioccare la lingua e brillare la pupilla, fa urlare WAW fin dal primo sorso. Non nascondiamo che ne andiamo particolarmente orgogliosi e ogni qualvolta che abbiamo ospiti in sede con grande gioia ne condividiamo una bottiglia e ne raccontiamo la storia.

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