Il vino si fa in vigna. Ve l’avranno detto in molti. Ed effettivamente è così. Ma che significa precisamente? L’espressione pone l’accento su quanto sia fondamentale la qualità della materia prima di partenza. Tradotto: solo da un’uva eccellente si può ottenere un grande vino e solo dalla profonda comprensione di cosa significa e cosa comporta l’agricoltura si possono portare in cantina dei grappoli perfetti.
Dopo la prima puntata sulla selezione massale e clonale, continuiamo ad esaminare punto per punto il decalogo Triple “A”, indagando di volta in volta gli aspetti fondamentali per poter definire un vino naturale: le differenze che fanno la differenza.
Cominciamo da una premessa: nel mondo vegetale nel suo stato naturale, pensiamo ad esempio a una foresta vergine, la malattia non esiste e la vita si manifesta nel sottile gioco di equilibri che si instaura tra piante, suolo e organismi che lo abitano. La malattia non è altro che uno squilibrio, una variazione sostanziale dell’ecosistema, che si è verificata per la prima volta da quando l’uomo ha cominciato a coltivare la terra, da quando è nata l’agricoltura.
Come scrive Jacques Salle in un documento che è una vera e propria pietra miliare del vino naturale e che fa parte della storia delle Triple “A”: “La foresta vergine rappresenta la forma più naturale di convivenza tra le specie e risponde a leggi ben definite che sono chiamate orizzonti. Nonostante la natura abbia creato un sistema di autoprotezione per la sopravvivenza della sua flora e fauna, generando il suo humus, non si possono modificare questi orizzonti senza prendersi dei rischi”.
Ecco allora che il vero concetto di agricoltura, forti di questa consapevolezza, sta nel cercare di fare meno danni possibili, di domesticare la natura per coglierne i frutti, ma vivendo in sinergia con essa, senza intaccarne fertilità e biodiversità del suolo.
In questo senso, la prima delle tre “A” che identificano i nostri produttori e i loro vini sta per “agricoltori”. È qualcosa che va al di là della singola tecnica agricola, del biologico o della biodinamica, è un concetto più profondo basato sulla relazione con la natura, un rapporto, che non si basa sulle parole, ma sull’osservazione.
Ciò che distingue un vignaiolo da un produttore di vino sta proprio in questo punto. Vigneron è chi cammina ogni giorno nel suo vigneto, chi percorre continuamente la propria terra, filare dopo filare, vite dopo vite, chi conosce il suo campo centimetro per centimetro. Solo in questo modo è possibile la comprensione di ogni pianta, dei suoi tempi, della creazione di un legame con essa. L’agricoltura è osservazione e solo chi ha un occhio agricolo può fare degli interventi con coscienza.
Se vi trovaste in visita da Movia in un giorno di pioggia, Ales, appena spiovuto, vi porterebbe subito in vigna con lui a mostrarvi la reazione del suolo intorno a una vite giovane e una vite vecchia. Lo trovereste secco nel primo dei casi, umido nel secondo. La differenza sta nello sviluppo dell’apparato radicale, nella magia di come una cosa apparentemente fragile come l’estremità di una radice nasconda la forza di farsi spazio nella profondità del terreno. Là dove la vite giovane non è ancora arrivata, la vite vecchia trova già tutta l’umidità di cui ha bisogno. Questo è solo un esempio di cosa significa osservare e vivere la propria agricoltura, l’unico passo che permette una cosciente domesticazione del mondo naturale.
Per queste ragioni il secondo punto del nostro decalogo recita che un vino Triple “A” può nascere solo: “da produttori agricoltori, che coltivano i vigneti senza utilizzare sostanze chimiche di sintesi rispettando la vite e i suoi cicli naturali”. Solo chi vive e osserva il proprio vigneto ha modo di passare con consapevolezza all’atto agricolo pratico, perché solo a quel punto si ha una piena comprensione dell’ecosistema “suolo”.
Il terreno non è infatti, come si è creduto per anni, un substrato inerte la cui composizione può essere corretta o modificata a piacimento. Tutt’altro. Il suolo è un complesso e delicato ambiente vivo e vitale, composto da una grande varietà di microorganismi, piante e animali. In una parola: biodiversità. Solo un approccio volto alla conservazione di un sano equilibrio tra gli organismi che lo abitano permette il mantenimento della fertilità, la mineralizzazione della sostanza organica, la fissazione dell’azoto e la degradazione di eventuali sostanze inquinanti.
Da qui, come naturale e ovvia conseguenza, nascono i metodi e le pratiche agricole che ogni giorno i vignaioli agricoltori mettono in atto: il rifiuto dei prodotti di sintesi come i pesticidi, i diserbanti, i fertilizzanti. Al loro posto si opererà attraverso la lotta biologica, le trappole a ferormoni, lo sfalcio manuale, il diserbo meccanico e ancora i sovesci, il compost, i preparati biodinamici.
Non si tratta di una riproposizione nostalgica di un’agricoltura ormai obsoleta, ma dell’osservazione di come ciò contribuisca alla più naturale attività biologica della vite, influenzandone la capacità di assorbimento e di penetrazione radicale, riflettendosi quindi sulla qualità finale delle uve, la materializzazione dell’informazione della luce e del suolo.
“Una pianta di grano coltivata con metodi di agricoltura naturale penetra nel suolo fino a 12 metri e produce 5 chilometri di filamenti radicali” raccontava Stefano Bellotti nel film Resistenza Naturale di Jonathan Nossiter “Una pianta di grano come coltivata oggi penetra nel solo 5-10 centimetri e produce poche centinaia di metri di filamenti radicali. Qual è il dialogo che può avere questa pianta col mondo minerale? Nel caso del grano abbiamo una pianta che non ci nutre più veramente. Nel caso della vite se facciamo lavorare una pianta che dovrebbe andare fino a 60 metri, in 60 centrimetri di profondità come succede oggi, mancherà tutto quello che fa di un’uva un’uva”.
L’agricoltura è il primo e fondamentale gesto di ogni vignaiolo. La scelta sta nella tipologia del gesto, positivo o negativo. Il primo, come ogni atto d’amore, ritorna, si materializza nell’uva, nel gusto, nella densità della materia, nell’importanza del frutto. Il secondo, come ogni atto egoistico, mirato solo ad ottenere maggior guadagno o maggior produzione, non lascia altro che vacuità.
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