Quando vi abbiamo raccontato dei materiali del vino abbiamo trattato il legno in relazione alle differenze con la terracotta, l’acciaio e il cemento. Eppure solo il mondo delle botti nasconde al suo interno una quantità di variabili e sfaccettature talmente elevata da dover dedicare all’argomento un capitolo a sé stante, come sempre guidati dalle parole dei nostri Agricoltori, Artigiani, Artisti.
Innanzitutto è bene mettere in luce i due principali effetti che comporta l’uso del legno durante l’affinamento: la cessione di aromi e tannini e la microssigenazione.
Il primo di questi effetti è il fattore che differenzia il legno da praticamente tutti gli altri materiali impiegati per la costruzione di vasi vinari. L’uso della botte infatti è in grado di influenzare profondamente il profilo aromatico di un vino attraverso la cessione di aromi riconducibili alla classe dei profumi terziari, come vaniglia, tabacco e liquirizia. Allo stesso tempo le reazioni tra i tannini del legno e quelli del vino portano alla formazione di molecole meno reattive e di maggior dimensione, conferendo rotondità e morbidezza al gusto. Dunque un impiego sapiente del legno è in grado di arricchire il profilo gustativo di un vino nel suo complesso. Al contrario un abuso, come spesso è capitato nel recente passato alla ricerca di determinati canoni gustativi, rischia di sopraffare l’espressione del frutto, dell’annata e del territorio, comportando una generale perdita d’identità.
Il secondo effetto prende il nome di microssigenazione, vale a dire il graduale e progressivo scambio di piccole quantità di ossigeno con l’esterno dovuto alla naturale porosità del legno, caratteristica condivisa questa volta con le anfore (specialmente se cotte a basse temperature). Questo comporta tutta una serie di reazioni che dal punto di vista pratico armonizzano e ammorbidiscono le componenti del vino e ne fanno virare il colore, stabilizzandolo su tonalità meno vivaci di quelle di partenza.
Ovviamente l’affinamento in legno di qualsiasi vino conduce a una combinazione dei due diversi effetti, diventando così, a seconda dei risultati desiderati, materia di negoziazione per il produttore. È qui che entrano in gioco tutte le variabili che compongono l’articolato e multiforme mondo delle botti. E quattro sono i fattori principali di cui tener conto: la dimensione, l’età, il tipo di tostatura e ovviamente il materiale.
Il volume di vino contenuto suddivide le botti in due macro famiglie: quella delle botti piccole, in cui rientrano barrique, pièces e tonneaux, e quella delle botti grandi, solitamente identificabili a partire da una capienza di dieci ettolitri. Nel primo caso il rapporto tra superfice del legno e quantità di vino è decisamente maggiore, di conseguenza maggiore è anche l’influenza del legno, sia in termini di arricchimento del profilo gustativo ché di microssigenazione. In materia di scambio con l’esterno entra in gioco anche lo spessore delle doghe, direttamente proporzionale alla dimensione delle botti. In questo caso tanto maggiore è lo spessore, tanto più lento sarà il passaggio dell’ossigeno e quindi l’evoluzione del vino.
L’età della botte viene misurata nei cosiddetti “passaggi”, ossia nel numero di vini che hanno completato il periodo di affinamento al loro interno. Botti nuove, dette quindi di primo passaggio, rilasciano gran parte delle sostanze cedibili dal legno, mentre con il passare del tempo, la cessione aromatica e tannica diminuisce fino quasi a scomparire del tutto. Ecco quindi che se l’effetto desiderato durante l’affinamento non è l’aromatizzazione, ma lo scambio d’ossigeno con l’esterno, il produttore tenderà a privilegiare legni più vecchi. Allo stesso tempo però come ci ricorda Stefano Borsa di Pacina “i tartrati del vino possono otturare i pori del legno limitando negli anni anche l’effetto di microssigenazione”.
Altrettanto rilevante in termini di cessione aromatica è il processo di tostatura della botte, pratica che consiste nell’infuocare l’interno del contenitore modificando i toni aromatici del legno. Le tostature si diversificano sia per durata del processo che per temperatura applicata. Tanto più è spinta la tostatura, tanto più sarà necessario un vino dotato di grande struttura e complessità, altrimenti il rischio è di sovrastarne completamente il carattere.
Ultimo aspetto di cui tenere conto, e non certo per importanza, è la varietà di legno impiegata per costruire le botti. “Se originariamente la scelta dei legni da destinare alla costruzione delle botti era condizionata dall’ambiente circostante, e quindi dalla presenza di certe specie di alberi nei dintorni di produttori e bottai, ora le cose sono differenti” ci fa presente Heydi Bonanini di Possa “Le botti oggi si costruiscono in base alle richieste dei produttori, tralasciando legni particolari, poco richiesti e più difficoltosi da reperire”.
La varietà di legno più diffusa è senza dubbio quella di quercia che, nel caso di alberi a lento accrescimento, prende il nome di rovere. Se generalizzando possiamo individuare nel rovere la tipologia di legno che restituisce le più forti cessioni aromatiche è necessario fare una ulteriore suddivisione a seconda della provenienza. Tra i roveri francesi, tendenzialmente poco porosi, a grana fine, ricchi di aromi vanigliati e poveri in tannini dolci vanno ricordati quello di Allier, di Nevers e dei Vosgi. Altrettanto famoso e diffuso, ma dall’influenza più neutra e a grana maggiore è il rovere proveniente dall’area balcanica e più conosciuto come rovere di Slavonia. Chiude poi il cerchio il rovere americano caratterizzato da legno più duro, dalla grana più grossonala e da importanti cessioni aromatiche e di tannini dolci.
Segue la quercia in quanto a diffusione l’acacia, un legno di grande compattezza decisamente più neutro rispetto al rovere già dai primi passaggi, quindi più adatto a chi ricerca l’effetto di microssigenazione piuttosto delle cessioni aromatiche, comunque presenti sottoforma di quelle che Stefano Borsa definisce “spennellate di dolcezza”.
Se l’acacia per le sue caratteristiche dà il meglio di sé sui bianchi, il legno di castagno è un’esclusiva dei vini rossi. Storicamente molto diffuso il suo apporto tannico ai vini è talmente elevato da averlo fatto cadere in disuso. Ce lo conferma Heydi Bonanini, che lo impiega solo a partire dal secondo passaggio e che ci racconta di come, proprio a causa della cessione tannica, il castagno nelle cantine esiste quasi solo sottoforma di botti di grandi dimensioni.
Tra i legni minori invece sta vivendo un momento di gloria il ciliegio che agendo da “evidenziatore aromatico” è capace di fissare i profumi e accentuare le caratteristiche del vitigno, praticamente senza alcun rilascio aromatico, ma conservando un’elevatissima capacità di scambio con l’esterno. Ancora a maggior porosità incontriamo il pero, in grado per questa sua peculiarità di accelerare notevolmente i tempi di maturazione del vino. Chiudono il cerchio le ultime novità della cantina di Possa: il larice, le cui cessioni aromatiche si concentrano su balsamicità e note resinose, e il frassino che secondo Heydi può restituire risultati interessanti su vini di corpo che non fanno di eleganza e finezza il loro punto di forza.
Come sempre il mondo del vino naturale non ha regole fissate o ricette prestabilite. Questo significa che non esiste botte di dimensione, età o tostatura perfetta per un certo vino, ma è la continua ricerca, la voglia sperimentare, l’esperienza e le preferenze di ogni produttore a guidarlo nella scelta della botte che meglio si adatta al vino. Ad ogni modo che siate amanti dei vini affinati in legno oppure no, che abbiate fatto le crociate contro le barrique o che sotto sotto quella punta di vaniglia non vi dispiaccia affatto, il nostro consiglio è sempre lo stesso: davanti a qualsiasi calice non siate prevenuti. Il legno, se utilizzato con intelligenza, è uno dei migliori alleati del vino e il loro sposalizio non può che regalare ulteriore varietà a un mondo che nelle diversità trova la sua più grande bellezza.