Clonale o massale? In vigna si fa selezione all'ingresso

Differenze che fanno la differenza //

Clonale o massale? In vigna si fa selezione all'ingresso

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La selezione clonale nei vigneti sta mettendo a repentaglio gran parte del patrimonio di biodiversità genetica dei vitigni. La selezione massale, messa in atto dai produttori naturali, argina i danni, ma potrebbe non bastare. E se si ripercorresse la via del seme?

Pensate a un vigneto come se fosse una comunità. Le viti rappresentano i singoli individui, che si riconoscono in quella comunità grazie alla condivisione delle stesse radici culturali. Se tutti gli individui fossero geneticamente identici l’uno con l’altro, quale sarebbe il potenziale di evoluzione di una comunità del genere? Ecco, questa è la situazione in cui versa la maggior parte dei vigneti al mondo.

COME NASCE UN NUOVO VIGNETO?

La vite viene propagata ormai da secoli per via vegetativa, ossia tramite innesto o talea. Rispetto alla propagazione via seme, questa soluzione offre diverse praticità, quali la facilità d’impianto, l’assenza di virosi e la riproduzione genetica della pianta madre. Il risultato di tutto ciò è stato il completo abbandono della riproduzione via seme.

Negli anni ’70, con la grande espansione dell’attività vivaistica, ci si specializza nello studio e nella successiva selezione dei ceppi con la genetica migliore, che date le logiche produttive del tempo spesso coincidono con quelli più produttivi. La propagazione per via vegetativa prende quindi due diverse strade, quella tradizionale della selezione massale e quella innovativa della selezione clonale.

La selezione massale prevede la riproduzione di un intero vigneto, con lo scopo di mantenere la massima variabilità genetica all’interno della stessa varietà di vite. Il risultato è avere piante con diverse caratteristiche fisiologiche e produttive: dalla resistenza allo stress idrico, alla resistenza alle malattie, al periodo di maturazione dell’uva, fino alla dimensione e caratteristiche del grappolo. Se questo da un lato comporta sicuramente un maggior carico di lavoro (sia in termini di monitoraggio negli anni delle viti, per capire quali riprodurre, sia in termini di diversificazione degli interventi all’interno del vigneto vite per vite), dall’altro, secondo i vignaioli stessi, porta a un equilibrio dei risultati e quindi a un vino più armonico. Non a caso il primo punto del nostro decalogo recita che “un vino Triple “A” può nascere esclusivamente da vigneti le cui piante sono state manualmente selezionate, attraverso una vera selezione massale”.

Al contrario la costruzione di un vigneto costituito da una o poche più viti geneticamente uguali prende il nome di selezione clonale. In questo caso le piante presentano lo stesso genotipo e dunque le stesse caratteristiche fisiologiche e produttive, garantendo risultati teoricamente migliori, ma soprattutto uniformi. “Per rendere l’idea sarebbe come ottenere un bel pargolo dal dito del nonno, questo esteriormente presenterebbe tutte le caratteristiche di un neonato, ma al suo interno avrebbe la corruzione dell’avo” così raccontavano Jacopo Cricco, Lucio Brancadoro e Attilio Scienza in un intervento, poi riportato in un articolo dell’Espresso da Fabio Rizzari ed Ernesto Gentile.

DIFFERENZE, PROSPETTIVE E NUOVI ORIZZONTI

Qualcuno potrebbe obiettare che in fin dei conti tra selezione massale e selezione clonale non c’è questa differenza di fondo se non in termini di numero degli esemplari riprodotti. Se a mio parere questo sia già sufficiente per preferire la selezione massale, vi sono in ogni caso almeno altri due validi motivi per farlo.

Il primo riguarda gli alti costi della selezione clonale, che fanno sì che gli investimenti siano fatti esclusivamente su vitigni di ampia diffusione. Questo significa che se non ci fossero vignaioli a far selezione massale, assisteremmo alla scomparsa di varietà minori locali in misura maggiore di quanto già normalmente accada. Il secondo è per valorizzare il loro l’incessante lavoro di monitoraggio del comportamento delle viti negli anni e il mantenimento e recupero di vecchi vigneti da cui prendere il materiale da innestare.

Eppure se c’è qualcosa che si può rimproverare alla selezione massale è che essa non aumenta la variabilità genetica di una varietà, ma si limita a salvaguardarla. Nel frattempo una sorta di indebolimento delle viti è testimoniata da sempre più vignaioli. “Quali sono i motivi di questa maggiore fragilità? Noi crediamo che siano legati proprio all’ormai ultra centenaria propagazione vegetativa dei vitigni da noi utilizzati. La vite, come tutti gli esseri viventi, nel corso della sua vita accumula al suo interno microrganismi che perlomeno ostacolano le normali attività fisiologiche della pianta e sono trasmessi in toto alla discendenza ottenuta per via agamica” continuano Cricco, Brancadoro e Scienza.

SemiL’unica strada che potrebbe garantire una ricombinazione genica e quindi la generazione di una vite dal punto di vista genetico sostanzialmente diversa dalla madre è la riproduzione via seme, coadiuvata da eventuali mutazioni spontanee. Non a caso Elisabetta Foradori già a partire dal 2000 ha investito nel suo progetto “vite da seme” su teroldego e nosiola. E non è la sola, a percorrere la stessa strada sono sempre più produttori, come Philippe Pacalet e Luca Roagna, nomi che nel mondo del vino non lasciano certo indifferenti.

Come spesso succede oggi, capita che per progettare il futuro sia necessario voltarsi indietro e pensare di ripercorrere al contrario i propri passi. Seme l’altro ieri, massale ieri, clonale oggi. Clonale oggi, massale domani, seme dopodomani.