Into the wild: l'Abruzzo selvaggio di Cristiana Galasso

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Into the wild: l'Abruzzo selvaggio di Cristiana Galasso

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Tra eremi, boschi e vallate della Majella, alla scoperta di Feudo d’Ugni, la roccaforte di una vignaiola rivoluzionaria in esilio dalla frenesia e dal clamore del mondo moderno.

UN’AFFOLLATA PACIFICA SOLITUDINE

Erano mesi che progettavo il mio viaggio in Uzbekistan e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo. Forse solo una pandemia avrebbe potuto mettersi di mezzo tra me e la mia meta. Appunto. Paese chiuso, viaggio cancellato, nessuna idea per l’estate.

La provvidenza, nel mio caso, ha un nome, si chiama Matteo e non sono io, ma un mio vecchio compagno di università di Pescara. La mattina dopo la disdetta ufficiale del mio viaggio, trovo un suo messaggio sul telefono. È un invito ad andare a trovarlo in Abruzzo nella sua casa di montagna insieme a mia moglie e alle bimbe.

Molte delle cose più belle che ho visto e provato nella vita sono quelle a cui mi sono avvicinato senza aspettative. Cosa mi aspettavo due settimane dopo andando verso Sant’Eufemia a Majella? Niente. Invece quando scendo dall’auto in questo borgo di duecentocinquanta anime mi si para davanti un paesaggio mozzafiato, di quelli che t’incantano e t’assorbono completamente, che anche solo provare a descriverli romperebbe la magia del ricordo. Matteo mi dà appuntamento di fronte a un supermercato, poi mi guida lui tra i tornanti fino a un parcheggio dove lasciamo la macchina. La casa è in mezzo al bosco e ci si arriva solo a piedi.

Feudo D'UgniDopo una breve passeggiata tra faggi e roverelle, muniti di carriola per portare spesa e bagagli, arriviamo davanti a un casale in pietra. Quando Matteo diceva “in mezzo al bosco” non pensavo fosse in senso letterale. Invece è esattamente così. Il casale, il prato, il bosco e il nulla tutto attorno che t’abbraccia in una sensazione di pacifica solitudine. Matteo ha già messo la brace a farsi nella gratella e, dalla mia ultima visita in Abruzzo, so che qui significa una cosa sola: rustell’ e, conoscendo Matteo, in quantità industriale. Cenando insieme a Matteo e Danielle, sua moglie, ci accompagnano i suoni del bosco e lì, dove pensi di essere isolato, scopri di essere contornato dalla vita, sei lontano solo dagli esseri umani. Anche la notte pian piano sale ad avvolgerci, le bimbe esauste si addormentano e restiamo noi con il naso all’insù, un calice in una mano e un arrosticino nell’altra a raccontarci le nostre vite. Gli parlo di Genova e delle Triple “A”, “sarebbe bello andare a trovare un produttore” mi dicono quasi per gioco. “Dov’è San Valentino in Abruzzo Citeriore?” chiedo io. “A dieci chilometri da dove andiamo domani”. Prendo il telefono e chiamo un collega: “Hai il numero di Cristiana Galasso?”

Feudo D'Ugni
Feudo D'Ugni

UNA VIGNAIOLA EREMITA

Il giorno dopo andiamo in esplorazione della Valle dell’Orfento. Ci incamminiamo lungo gli affascinanti sentieri sterrati, fino all’Eremo di San Bartolomeo in Legio, dove Pietro da Morrone, futuro Papa Celestino V, trascorse due anni di vita ascetica. Sfruttando la conformazione della roccia, una piccola cappella affrescata e due vani scavati nella pietra danno vita a quest’eremo incastonato nella montagna, con lo strapiombo sotto ai piedi e di fronte vallate, boschi e vette finché lo sguardo non si perde all’orizzonte.

A pranzo racconto a Matteo e Danielle tutto quello che so di Cristiana Galasso e di Feudo d’Ugni, cioè poco o nulla, cose che ho sentito o che mi hanno raccontato che sanno quasi di leggenda. Una sorta di vignaiola eremita, difficile da rintracciare, che ha fatto una scelta di vita al limite, che vive il vino come espressione di sè stessa e del suo rapporto intimo con la terra e la natura. La Christopher McCandless delle Triple “A”.

Quando la sento al telefono e le chiedo come raggiungere Feudo d’Ugni, mi risponde “chiamami quando sei nella piazza del paese che arrivar fin qui non è semplice”. “Ma un posto raggiungibile qui non esiste?” scherzo con Matteo. “Beh per fare l’eremita oggi devi anche saper non farti trovare mi risponde lui. Mezz’ora dopo la voce di Cristiana mi guida lungo una salita dissestata dove gratto il fondo dell’auto almeno un paio di volte.

Feudo d'Ugni, Cristiana Galasso
Feudo d'Ugni, Cristiana Galasso
Feudo d'Ugni, Cristiana Galasso

In cima Cristiana ci accoglie seguita da un’intera fauna di animali: cani, gatti e galline che le scorrazzano tra i piedi, le bambine iniziano subito a rincorrere qualsiasi cosa si muova e si crea una bella atmosfera. Feudo d’Ugni è diversa da qualsiasi cantina grande o piccola che io abbia mai visitato, si tratta di una realtà a sé stante, lontana dal resto del mondo, basata sulle idee di Cristiana. Su un grande prato con filari e ulivi sparsi qua e là stanno un vecchio e piccolo casolare, dove tiene le vasche di vinificazione in cemento, poco più in là, una vecchia roulotte rimessa in sesto con cura e adibita a casa, una doccia all’aria aperta e poi un gazebo sotto il quale ci sediamo e iniziamo a conoscerci.

Feudo d'Ugni, Cristiana Galasso
Feudo d'Ugni

Cristiana è timida ma si apre parlando dei suoi vini, che ci porta direttamente dalle vasche, raccontandoci le sue convinzioni che rivelano una personalità forte che non conosce compromessi: Io vado avanti con le mie idee. Il vino per me si fa in un certo modo. O così o niente, se qualcosa va storto me ne faccio una ragione”. Restiamo folgorati dal colore e dal profumo del Lama Bianca, profondo, intenso, dall’animo ribelle. In ogni calice si riflette questo carattere, la capacità di rispettare la natura e i suoi tempi e anche Matteo e Danielle, completamente estranei al mondo del naturale, ritrovano un qualcosa di più nella densità e materia di questi vini, che definiscono “succhi d’uva”. E poi ancora ci perdiamo nel Fante, un montepulciano vibrante, in cui cerco sapori e trovo ideali e senso d’appartenenza.

Feudo d’Ugni è l’eremo di Cristiana Galasso. Un luogo solitario dove Cristiana sembra aver trovato la sua libertà nel rapporto di intimità con la terra. E capisco perché sia inutile chiederle perché faccia la vignaiola: sarebbe strano il contrario. L’essere vignaiolo di Cristiana non è un lavoro, né un’attività, è la necessità intransigente di vivere, muoversi e parlare con la natura, di nutrirsi della sua energia. Qui, un po’ come nella casa nel bosco di Matteo, come a San Bartolomeo in Legio si respira una pacifica solitudine, isolamento dall’essere umano, ma simbiosi con tutto il resto della vita.

“Non vi rinuncerei per un attico a New York e un conto con decine di zeri. Voglio stare lontano dai pavimenti lucidi, il riscaldamento a metano, un piatto caldo assicurato ogni giorno. Preferisco i versi di animali selvaggi, la nebbia e dover attraversare il fosso tra le spine. Fare il vino mi permette di vivere buona parte della mia vita nella natura, quello che spero è di farvi sentire attraverso lui il richiamo a quel selvaggio di cui facciamo parte”. Tornato in ufficio, trovo queste due frasi in un testo firmato Cristiana Galasso. E non potrei descrivere il tutto meglio di così.

Feudo D'Ugni

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