Chios: il recupero di un'identità smarrita

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Chios: il recupero di un'identità smarrita

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Dall’intuito di Luca Gargano alla nascita della jointventure tra le Triple “A” e Dimitri Kefalas: sulle tracce della massima espressione del terroir dell’isola di Chios.

QUANDO IL DESTINO CI SI METTE DI MEZZO 

Seduto al gate B19 dell’aeroporto di Atene con tre ore di anticipo, ripensavo a “Mediterraneo”, il film di Gabriele Salvatores che racconta la storia di otto militari italiani che sbarcano su una piccola isola selvaggia immersa nel blu profondo dell’Egeo. Così mi ero immaginato Chios le tante volte che Luca Gargano mi aveva raccontato dei suoi viaggi. Non la classica isola greca in piena crisi d’identità da turismo di massa; non una Santorini, né una Mykonos, ma una terra praticamente incontaminata, dove ancora si respirava un rapporto sincero e sinergico tra uomo e natura.

Questo almeno avrebbe giustificato i due scali obbligati, Fiumicino e Atene, una mezza giornata persa in aeroporto e lo scorrere del tempo inversamente proporzionale alla crescita del carico d’aspettativa.

A volte il destino è curioso. Se Luca non fosse andato a Chios dodici anni prima, se non avesse deciso di acquistare una piccola casa da sistemare, se non avesse incontrato Dimitri Kefalas, il fratello del direttore di banca che da anni produceva vino per la famiglia, instillandogli l’idea di lasciare il lavoro da grafico per diventare vignaiolo a tempo pieno, quel giorno con ogni probabilità non sarei stato lì. E invece c’ero, e questo non faceva che affascinarmi ancora di più.

Luca era tornato a Chios solo dieci anni dopo. E quando risalì sulle alture a nord ovest dell’isola, al posto della piccola cantina di famiglia Kefalas, trovò due nuovi edifici e un’insegna verde che indicava la cantina Ariousios. Dimitri aveva seguito il suo consiglio. Quando Luca riassaggiò il vino, però non poté ritrovarne l’anima e la vitalità di quel rosso denso bevuto anni prima. Dimitri si era affidato a un enologo e nonostante la qualità della materia prima, la fermentazione da lieviti selezionati aveva appiattivo e omologato il vino, rendendolo non troppo diverso da tutti quelli prodotti sull’isola. Ma ancora una volta il destino aveva in serbo qualcosa per entrambi. Luca intravide lo spazio per la nascita della prima jointventure delle Triple “A” e propose a Dimitri di fare un esperimento: due botti di quel chiotico krasero fatto “come una volta” comprate a scatola chiusa. Seduto al gate B19 dell’aeroporto di Atene con tre ore di anticipo, aspettavo di conoscere Dimitri Kefalas e di assaggiare il suo “nuovo vecchio vino”.

Chios

DEJÀ VU: STESSO GATE, DUE ANNI DOPO 

Come in un dejà vu, due anni dopo stavo seduto allo stesso gate, con le solite tre ore di anticipo. Ma questa volta di Chios non avevo un immaginario sfumato, ma il ricordo limpido del primo viaggio. A prendermi all’aeroporto era venuta ad accogliermi Dimitra Apessou, proprietaria del bed and breakfast Astrakia di Kambos, una cittadina poco distante dal capoluogo. Dimitra era un altro elemento ricorrente di ogni racconto di Luca su Chios, “la miglior colazione del mondo” diceva sempre e aveva pienamente ragione. Mi venne a prendere perché Kambos è un labirinto di strade che si assomigliano l’un l’altra, strette tra le alte mura di pietre e mattoni dello stesso colore della terra. Al di là si intravedevano solo le antiche ville costruite dai genovesi durante il periodo di dominio sull’isola, Astrakia era una di quelle e non l’avrei mai trovata senza Dimitra a scortarmi.

Tutta la curiosità energica di quella donna, frenata solo dalle difficoltà linguistiche, si rivelava nei suoi occhi e in un’espressione di stupore, che dev’essere stata la stessa mia la prima mattina che vidi quella famosa colazione. Sotto il pergolato, capii perché Luca aveva insistito per farmi dormire lì. Su una tavolata pantagruelica latte, caffè, yogurt di capra, spremuta di mandarini, pane, mieli, formaggi, torte salate; ogni giorno piatti diversi, dal dolce al salato, tutti preparati da Dimitra e tutti con prodotti locali, ogni giorno due ore almeno di colazione. Così, la mattina dopo il mio arrivo mi metteo in macchina in direzione Ariousios. Questa volta con due ore di ritardo.

Chios Mastice

Durante il viaggio da Kambos ad Egrigoros, percorrendo i continui sali scendi di quei poco più che sessanta chilometri, finalmente cominciavo a cogliere di più sulla natura dell’isola. Lungo questo paesaggio profondamente mediterraneo, le colture cambiavano man mano che ci si inerpicava verso nord. La parte bassa dell’isola è terra da lentisco, dalla cui resina si ricava il famoso mastice di Chio, impiegato come spezia (anticamente usato proprio per aromatizzare il vino) o nella produzione di liquori, gomme da masticare e dentifricio. Pare che sotto l’impero ottomano il mastice di Chio fosse talmente pregiato da valere quanto il suo peso in oro, che il furto venisse punito addirittura con la pena di morte e che invece nel 1882 durante la guerra d’indipendenza greca, l’esercito turco durante il massacro di Chio graziò solamente i coltivatori di mastica, affinché potessero garantire la continuità nella produzione della preziosa resina. 

Da metà dell’isola in avanti di lentisco se ne vedeva sempre meno, mentre prendevano spazio due colture altrettanto identitarie per l’isola di Chios: l’ulivo e i mandarini, che a loro volta nel nord dell’isola lasciavano ovviamente posto alla vite. Del resto già Omero citava i vini rossi di Chios tra i migliori dell’Egeo. Proprio lì, sulle alture nordoccidentali dell’isola, ad Egrigoros, finalmente incontravo per la prima volta Dimitri e il figlio Panagiotis, che mi accolsero nella cantina di Ariousios.

chios cantine

Dimitri ci teneva a farmi fare un giro dei vigneti, per la maggior parte disposti in terrazze dato il contesto montuoso su cui sorgevano le varie parcelle, dove non solo si trovavano piante vecchie, ma anche alcune lasciate striscianti, assecondando la loro natura di liana. Nonostante l’inglese di entrambi fosse zoppicante, capirsi mentre parlavamo di vino era stato meno complicato di quanto immaginassi. Dimitri mi raccontò del suo incontro con Luca, della decisione di investire sulla costruzione di una cantina, del chiotico krasero, con ogni probabilità progenitore del nostro aglianico. Con il vino nel calice effettivamente non era stato difficile individuarne una matrice comune. Il chiotico krasero era ancora più marino e carnoso e sfoderava quel tipico tannino irruente che già allora faceva prevedere tutto il potenziale di evoluzione che oggi, con due anni di bottiglia alle spalle, sprigiona liberamente insieme al suo carattere profondamente mediterraneo.

Ovviamente oltre al futuro vino della prima jointvenutre Triple “A”, Dimitri mi fece assaggiare anche tutti gli altri vini di Ariousios, tutti a base di varietà greche più o meno conosciute, come l’agiannitis, l’avgoustitis, l’athiri e l’assyrtiko. Da un lato riscontravo quanto Luca raccontava a proposito del suo secondo assaggio, dall’altro comprendevo la scelta di una produzione convenzionale dato lo stato del mercato del vino greco, molto meno dinamico e aperto rispetto ad altre realtà europee ormai definitivamente orientate al naturale. Fu mentre Dimitri mi spiegava le origini dell’assyrtiko, varietà autoctona di Santorini, che intuii il potenziale che nascondeva quel bianco fresco, profondo, ma imbrigliato e frenato da quella che poteva essere la sua vera espressione. Così mentre ci accingevamo ad imbottigliare il chiotico krasero, già nasceva il secondo vino in collaborazioneun assyrtiko macerato sulle bucce da fermentazione spontanea che potesse trascrivere nel calice il racconto materico di quell’isola dai colori e dai profumi intensi.

Due anni dopo seduto al gate B19 dell’aeroporto di Atene con tre ore di anticipo, nell’impaziente attesa di assaggiare il “nuovo vecchio bianco”, mi sentivo come quei militari di Mediterraneo che stregati dal ricordo dell’accoglienza e dalla pace dell’isola decidono di tornarci. Nel film troveranno un’isola profondamente cambiata. Invece io avrei ritrovato la stessa Chios che avevo lasciato: Dimitra da Antrakia con le sue colazioni, il carattere selvaggio e mediterraneo della natura e poi Dimitri Kefalas, lui sì forse un po’ cambiato. Mi avrebbe detto che stava pensando di dividere in due la cantina e dedicarne una metà alla produzione naturale. Il passaggio delle Triple “A” ancora una volta aveva fatto breccia.

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