Idratante per la pelle
Farmaco per l’intestino
Balsamo per i capelli
Umettante per le labbra
Lenitivo per la gola
Carburante per le lampade
Struccante per gli occhi
Tonico per i capelli
Crisma
Detergente per le mani
Protettivo per il legno
Lubrificante clandestino
Lucido per il cuoio
Nutriente per il viso
Ingrassante artigianale
Pomata per gli atleti
Rinvigorente per le puerpere
Detersivo per metalli
Pozione magica
Unguento per massaggi
Santo balsamo
Alimento
Profumo ancestrale
Ultimo sacramento
Condimento
Olio.
LA STORIA DI UN ORO LIQUIDO
La novità della filastrocca è questa: la padella è sempre stata uno dei luoghi meno frequentati dall’olio. Basta infatti leggere la Bibbia con attenzione per capire che la civiltà del Mediterraneo, fondata sui tre vegetali cardine della nostra cultura civile e religiosa (olivo, vite e grano) utilizzava raramente l’olio come mezzo di cottura. Perché il prodotto della spremitura delle olive era troppo versatile e prezioso per sprecarlo in tecniche come la frittura che risultano assai poco efficienti.
Per friggere correttamente cinque pesci servirebbero almeno un paio di litri d’olio, tutto il raccolto di una pianta piccola e giovane, che verrebbe buttato a fine cottura, uno spreco davvero ingiustificato in una società che ancora si fondava sulla parsimonia e la sostenibilità. Per questo motivo la trasformazione dei cibi avveniva molto più spesso adottando la bollitura in acqua, la cottura su pietra, la rosolatura alla brace di legna o la frittura in grasso, sovente di coda di montone o, comunque, di provenienza animale, molto più facile da conservare una volta privato dell’acqua rispetto al delicato olio d’oliva, che di acqua non ne contiene, ma che è più instabile e irrancidisce facilmente, tanto che i romani avevano l’abitudine di salarlo per conservarne l’aroma.
L’olio era invece considerato un alimento calorico, una sorta di carburante per la guerra, per il cammino e per il lavoro, tanto quanto il vino, per i soldati come per i viandanti e per i profeti, che, famoso è l’episodio di Elia a Sarepta, impastavano farina con olio per cuocere focacce energetiche oltre che saporite. In tutti gli altri casi, anche al tempo dei Romani, l’olio era utilizzato a crudo, per accrescere il sapore delle vivande o, soprattutto se si trattava di quello di maggior qualità ottenuto da olive verdi staccate dal ramo a mano una ad una, per intingervi il pane.
Ancora nel Settecento la frittura in olio d’oliva era una stravaganza da ricchi, praticata dagli chef per il divertimento delle corti. Ma il popolo ben conosceva il valore di una sostanza che è riduttivo chiamare alimento perché rappresentava, per un’intera civiltà, il cardine della vita stessa, e che quindi andava risparmiata e tenuta da conto fino al raccolto successivo.
Oggi, al tempo del consumismo acritico e capriccioso, nel Mediterraneo la maggior parte della popolazione ha perso la capacità di sfruttare i molteplici benefici dell’olio, ha smarrito la parsimonia nell’utilizzarne poco ma di ottima qualità e ha completamente frainteso la necessità di conteggiarne le calorie all’interno di un pasto nonché la modestia di considerare la frittura un piatto eccezionale, la più cara tra le portate di un menu. Ma, visto che la società cosiddetta “moderna” non ammette né sacrifici né scelte, per avere a disposizione olio per tutti e in quantità tali da non doverlo razionare, si è iniziata a mettere in atto ogni sorta di sofisticazione, di abbassamento di livello, di assemblaggio, di pratica chimica e di trasformazione fisica atte a portare sugli scaffali del supermercato un prodotto spesso meno caro del vino e il cui sapore risultasse, come analogamente succede con le bevande alcoliche industriali, totalmente privo di personalità.
ALLA RICERCA DELL'ALTER EVO
L’olio che ci interessa è invece quello di dei tempi passati: extravergine d’oliva, non economico, naturale sotto ogni punto di vista, non conservabile, puro, eccezionale nel sapore, perché ottenuto da olive non completamente mature, lasciate crescere in maniera naturale, senza supporti chimici, e molito con gentilezza e semplicità. Si tratta di un olio biblico, da utilizzare con moderazione, e non solo in cucina, che con poche gocce trasforma in piatto una verdura cruda, profuma di vita un legume cotto, benedice il pane appena caldo di forno e cuoce aristocraticamente un pesce fresco di cattura.
Per selezionare i nostri oli abbiamo utilizzato il protocollo ma anche il naso. Bisogna infatti avere fiuto per riconoscere un buon olio. E questo esercizio non è alla portata di tutti. Per la classificazione dell’olio extra-vergine d’oliva, caso unico nel settore alimentare, non sono infatti i test biochimici a determinare la qualità, ma la sola analisi sensoriale, condotta da un gruppo di esperti certificati. Ma, se il vino si beve, come funziona l’assaggio dell’olio? Intanto il colore non c’entra. Oli verdi possono essere pessimi e oli gialli meravigliosi. I campioni da testare vengono quindi messi in bicchierini non trasparenti. Poi l’”olio di qualità prodotto esclusivamente con metodi meccanici”, per fregiarsi del titolo di extravergine, deve presentare al palato una caratteristica precisa: il fruttato, la sensazione del frutto dell’oliva sana fresca colta al giusto grado di maturazione. Se questa manca, l’olio non può essere etichettato come extra. E vi sono altri due descrittori che potrete riconoscere anche voi: l’amaro, che non è un attributo negativo, ed anzi è tipico di alcune specie di olive del Sud, come la cultivar Coratina, e il piccante, comune a molte varietà del Mediterraneo. Molti altri sono i sentori che potrete divertirvi a cercare nel prezioso liquido: mandorla, pomodoro, carciofo, mela. Ma concorrono solo a definire il profilo aromatico di un olio e non la sua qualità. Per la classificazione “extra” invece è indispensabile che non siano presenti al naso alcuni difetti caratteristici: avvinato, rancido, riscaldo e morchia, ma questi sono davvero appannaggio degli esperti. Perché anche molti oli fatti con amore in piccoli frantoi sono fortemente difettati.
E poi ogni olio ha il proprio profilo aromatico, che, come per il vino, non ha molto senso imbrigliare in classificazioni buone per vendere corsi e elenchi di descrittori anticamere dell’omologazione. E anche per riconoscere questi ci vanno fiuto, pratica e passione. Il profilo aromatico può essere più facilmente descritto tramite l’evocazione delle immagini suscitate dalla prova del gusto e del profumo, è personale, ma alla fine dimostra una convergenza di immagini e sensazioni tra tutti gli assaggiatori.
Tra gli oli, italiani e non, che hanno soddisfatto il protocollo Triple "A" di produzione, abbiamo perciò cercato quelli senza difetti e quindi abbiamo selezionato quelli che ci emozionassero maggiormente. Per questo motivo i primi oli presenti in Dispensa sono, per noi che li abbiamo selezionati, i migliori del mondo. Ricordatevi di annusarli con calma prima di utilizzarli: in cucina, sulla pelle o nei vostri riti magici.