Per un pugno di ceci

Appunti dalla dispensa //

Per un pugno di ceci

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Tra farinata, panissa e panelle: trucchi, storia e ricette dei ceci, uno dei legumi più versatili e buoni del mondo, soprattuto nel caso dei Ceci Piccini di Pacina.

I CECI NELLA STORIA

Fantasiose ricostruzioni storiche hanno attribuito l’invincibilità della falange macedone a varie teorie, tra cui quella della presunta omosessualità dei propri costituenti che, per questa ragione, si sarebbero protetti a vicenda. Altri, correttamente, ne videro la forza nell’adozione di lance lunghe fino a 6 metri e in scudi molto leggeri e maneggevoli. Ma pare proprio che alla base del vigore ci fossero addestramento e alimentazione. I soldati marciavano infatti durante i lunghi trasferimenti con due giberne di pelle di capra allacciate alla cintola. In una portavano dei ceci secchi e nell’altra versavano dell’acqua, in cui mettevano ad ammollare i ceci durante le interminabili ore di cammino. Quando i semi erano zuppi, era facile sfregarli tra le dita ed eliminare la pelle, quella cuticola trasparente di cellulosa, indigeribile per l’uomo, che ne rallenta la digestione, provoca sviluppo di gas nell’intestino e soprattutto contrasta l’assorbimento delle sostanze nutritive. I soldati inoltre avevano a disposizione oltre un chilogrammo di pane al giorno, che veniva cotto durante le soste, e si trattava di pane vero, di qualità, prodotto con grani antichi, che era molto ricco anch’esso di sostanze proteiche. Pane e ceci insieme permettevano di assumere tutti gli 8 aminoacidi essenziali che sono fondamentali per la vita. Un po’ di frutta o verdura razziate lungo il percorso colmavano il bisogno di vitamine, ma l’energia garantita da cereali e legumi insieme era il carburante imbattibile di questo invincibile esercito.

Non è quindi un caso che in tutte le culture del Mediterraneo, in tempi passati, i ceci venissero considerati alla stregua di un secondo piatto, come una carne o un pesce, e non come un primo. Solo il benessere ha portato alla sovrabbondanza di utilizzare i ceci o i fagioli come contorno, come snobistica cucchiaiata di tradizione da accostare, ad esempio, alla bistecca alla fiorentina. Ma i butteri mangiavano i fagioli “al posto” della bistecca, non insieme. Erano invece diffuse in tutta la Penisola le paste fatte in casa insieme ai legumi, che costituivano un sostanzioso piatto unico. Tra tutte spicca la ricetta della tradizione leccese “Ciceri e Tria”, ceci e tagliatelle, da “ittryya”, in arabo appunto spaghettini all’uovo. A questi piatti si abbinava un po’ di grasso, per aggiungere sostanza. Al Sud l’olio extravergine, col il suo contenuto di vitamina E. E al Nord il grasso di maiale, sotto forma di cotenna o, quando andava meglio, di costine, che apportava anche vitamine del gruppo B.

TUTTI I TRUCCHI PER I CECI PERFETTI

In tutti i casi, perché i ceci cuociano adeguatamente, salvo il caso in cui siano stati appena tolti dal baccello, è necessario però l’ammollo, perché i legumi iniziano a perdere umidità appena raggiunta la maturazione e espellono l’acqua molto velocemente, fino ad essiccarsi in maniera molto profonda, caratteristica che ne garantisce però la conservabilità per un anno intero. La prima acqua d’ammollo, che sarebbe importante fosse di fonte e non clorata, pena il rendere la cottura più lunga e meno efficace, deve essere buttata, insieme ad eventuali residui e a sassolini che potrebbero essere sfuggiti alla cernita. Poi va aggiunta nuova acqua e i ceci vanno lasciati riposare per tutta la notte. Al mattino si possono cucinare ma non prima di averli ancora sciacquati. A essere sinceri, e ad averne il tempo, per la cottura sarebbe meglio se l’idratazione fosse completa e quindi se venissero lasciati coperti in acqua, al buio e soprattutto al fresco, per almeno 48 ore.

In pentola sono nemici del fuoco troppo violento, dell’acidità e del sale che ritardano, o a volte compromettono irrimediabilmente, la possibilità di intenerirsi. È meglio quindi scegliere una pentola di cotto, procedere a fuoco basso con uno spandifiamma o, meglio ancora, in forno, ricordarsi di aggiungere il sale solo nell’ultimo terzo di cottura e evitare di aggiungere vino, aceto o limone durante le prime fasi della preparazione, che saranno invece ottimi nell’ultimo quarto d’ora di cottura, che difficilmente produce risultati soddisfacenti se si protrae per meno di 3 ore. Per accelerare l’ammollo si possono portare i semi a bollore e poi lasciar riposare coperti per 4 ore. E quindi sciacquare e riprendere la cottura. Per velocizzare quest’ultima invece l’unica strada è la pentola a pressione che, devo ammettere, a volte produce risultati migliori della padella. Infatti tengo sempre un’esemplare di pentola di Messieur Papin in casa proprio per la cottura rapida dei legumi, che poi termino in padella di cotto con tutti gli aromi. Sconsiglio invece la scorciatoia del bicarbonato, che altera sapore, colore e proprietà nutritive, e non voglio neppure prendere in considerazione la trattazione dei ceci precotti che, come il pesce surgelato, possono andar bene soltanto per chi non abbia mai provato l’originale.

Procurandosi un minuscolo mulino domestico si possono ridurre i ceci freschi in farina un attimo prima di aggiungervi con acqua e olio per gustare una farinata particolarmente profumata o per miscelarli con sola acqua e cuocere l’impasto fino ad ottenere una polentina che, raffreddata e ritagliata produce la panissa, le fette, le panelle, tutte di araba ascendenza, che venivano ripassate sulla pietra o in padella per renderle più appetitose e che oggi il benessere ci invita a friggere in olio abbondante per associarle, come abbiamo detto, non a caso, con pane e formaggio.

Ma sono i crostacei a decretare la giusta morte o, dovremmo piuttosto dire, la resurrezione, dei ceci. Passati con gamberi al vapore, in zuppa con aragoste cotte a parte e il loro fumetto, in brodo di canocchie, in insalata tiepida con grancevole e granchi, al forno con gli scampi, i ceci consumano un matrimonio d’amore che convince qualsiasi palato. E ne sapeva qualcosa il più grande cuoco italiano vivente, Fulvio Pierangelini, che inventò uno dei piatti più celebri e copiati di tutta la gastronomia europea: la passatina di ceci con gamberi.

Resta una questione che alcuni definirebbero pedante e pelosa, la pelatura. In una cerimonia religiosa ortodossa che durava due giorni interi, in una piccola isola dell’Egeo, ho imparato che il cibo tradizionale, come qualsiasi offerta a Dio, ha l’obbligo di essere naturale, eccellente, incorrotto. E, analogamente alle candele di sola cera d’api, o all’olio che brucia nelle lanterne di fronte alle icone, extravergine di prima spremitura, i ceci venivano pelati uno ad uno prima di essere cucinati per oltre cento persone. Ho eseguito molte prove da allora. Sottoporre i ceci a breve bollitura, seguita da ammollo, e pelarli prima della cottura è un’operazione che richiede una pazienza certosina ma ha l’indubbio vantaggio di restituire ai piatti un colore giallo brillante, che l’involucro di cellulosa nasconde. Inoltre vedere la montagna di pelli indigeribili e insapori che vengono scartate con questa operazione chiarisce il motivo per cui i ceci cucinati nudi risultino maggiormente amici dell’intestino, il cui benessere non può comunque prescindere da un lungo ammollo che elimina gran parte dei carboidrati artefici della fermentazione gassosa. Per essere completamente sincero però la mancanza di buccia prolunga la necessità di cottura di parecchio tempo, rendendo l’operazione infinita e degna appunto di una cerimonia dove non si lesinano i kyrie eleison. Ho quindi deciso di ammollare i ceci per due giorni, cuocerli a fuoco basso per due ore in sola acqua, procedere alla pelatura con l’aiuto di generosi commensali, e perfezionare la cottura dei ceci nudi, per almeno un’altra ora con sale, spezie, brodo e eventuali condimenti. La procedura preliminare si può anche svolgere in pentola a pressione per una mezzoretta. Con i ceci di Pacina, che sono particolarmente piccini, la pelatura diventa una sfida, ma la ricompensa del sapore giustifica l’attesa.

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