Lenticchie alla ribalta

Appunti dalla dispensa //

Lenticchie alla ribalta

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Storia di uno degli alimenti più nutrienti e allo stesso tempo bistrattati al mondo: le lenticchie. Siamo andati alla ricerca delle migliori per metterle nella Dispensa Triple “A”.

LE LENTICCHIE DALL’ANTICO TESTAMENTO A OGGI

Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: "Lasciami mangiare un po' di questa minestra rossa, perché io sono sfinito". Giacobbe disse: "Vendimi subito la tua primogenitura". Esaù giurò di farlo in cambio della minestra, che Giacobbe gli porse con un pezzo di pane. Poi mangiò e bevve, si alzò e se ne andò.

Esaù, dice la Bibbia, aveva disprezzato la primogenitura al punto di scambiarla per il cibo più umile dell’antichità. Perché nel Mediterraneo, in cui gli ingredienti a disposizione non molti erano poi molti -la maggioranza di quelli che conosciamo furono introdotti infatti in parte dai Romani ma soprattutto dagli Arabi nel Medioevo, che li recuperarono nel florido Oriente- la lenticchia occupava comunque il gradino più basso dei cibi gourmet. Oggi sappiamo che rappresentano una buona fonte di proteine (circa 23g per ogni 100 gr) e contengono un’alta percentuale di carboidrati (circa il 51%). Per questo motivo possono essere scelte come valida alternativa a un piatto a base di carne, pesce o uova e, se consumate con pasta, riso o farro integrali, sono in grado di fornire insieme tutti gli aminoacidi necessari all’alimentazione umana, cosa che non succede nel caso di associazione con paste da farine raffinate. Sono inoltre ricche di vitamine, di sali minerali, ferro e fosforo e sia presentano un basso indice glicemico sia, essendo ricche di fibre, riducono l’assorbimento di zuccheri semplici e di grassi, aiutando a abbassare il colesterolo. Se consumate insieme a farro monococco risulterebbero inoltre adatte anche agli intolleranti al glutine. Insomma, si tratta di un vero “superfood” noto fin dall’antichità ma comunque disprezzato e riservato alle categorie meno abbienti.

Esaù si cibò di lenticchie rosse, o egiziane, che furono tra i primi vegetali ad essere domesticati e poi diffusi dai Romani in Europa, dove ebbero un grande successo presso le comunità cristiane prima e gli ordini religiosi dopo, vista la facilità di coltivazione, la conservabilità dei semi secchi, la semplicità nel cucinarne in grandi quantità, il senso di sazietà che offrivano e la completezza del pasto se unito a pane, vino e olio, che comunemente erano presenti nelle dipendenze di qualsiasi monastero, quali ingredienti fondamentali per la celebrazione dell’eucarestia. Ma non solo, le lenticchie sono ottimi apportatori di azoto e venivano quindi utilizzate per la rotazione colturale con i cereali e per il sovescio in vigna. Ancora oggi, vista la rusticità, sono legumi che non necessitano di alcun trattamento, e sono adatti ad essere piantati tra i filari, perché prediligono terreni drenanti, dove l’acqua non ristagni, ma sono più spesso piantate in grandi appezzamenti, perché la resa è davvero molto scarsa. Non so se vi sia mai capitato di attraversare, tra la primavera e l’estate, gli altopiani appenninici dell’Umbria, dove le coltivazioni di lenticchie sono particolarmente diffuse, e di godere dello spettacolo entusiasmante della fioritura, quando un tappeto di blu e azzurro si sostituisce al verde dei campi: uno spettacolo che lascia senza fiato. Bisognerà attendere qualche settimana però perché la pianta inizi ad essiccare, la si raccolga, si lasci terminare naturalmente la perdita di umidità e si proceda al recupero del prodotto nobile. Ogni baccello produce solamente due piccoli semi e raccoglierli e sgranarli a mano è un’operazione che richiede una certa pazienza per una quantità di prodotto finale piuttosto scarsa. Nulla di diverso da ciò che succede con i migliori vini Triple "A". Forse per questo le lenticchie potrebbero essere considerate buone amiche del vino, a cui tra il resto, col loro gusto neutro, il costo molto contenuto, la possibilità di essere servite sia fredde che bollenti, e la capacità di rallentare l’assorbimento dell’alcool, si sposerebbero bene al vino durante le degustazioni, mentre spesso si prediligono gli assaggi abbinati a formaggio e salumi che, non sempre, fanno un buon servizio ai profumi contenuti nel bicchiere.

TUTTO PER UN PIATTO DI LENTICCHIE

Da Esaù in avanti, gli Ebrei iniziarono a collegare le lenticchie alla morte, tanto che ancora oggi sono consumate durante i lutti. Poi vennero i Cristiani, che collegarono la morte alla resurrezione, allargando il simbolismo delle lenticchie alla vita, e la tradizione popolare, che sa interpolare la mitologia religiosa con quella pagana, che ha recuperò l’usanza romana di regalare beneauguralmente una sacchetta in pelle piena di lenticchie, con l’auspicio che si trasformassero in monete. Per questo ancora oggi all’inizio dell’anno si cucinano le lenticchie. È un vero peccato che poi nei dodici mesi successivi in cucina vengano dimenticate.

Ce l’avranno pure un difetto le lenticchie! Ebbene sì, come tutti i legumi hanno una buccia ricca di cellulosa, indigeribile, che può imbizzarrirsi durante la digestione. Questo effetto, a essere sinceri, è legato però anche al contenuto di oligosaccaridi, zuccheri complessi, contenuti nei legumi stessi e che possono venire allontanati da un ammollo molto prolungato, in cui si cambi l’acqua un paio di volte. Per ovviare a questo inconveniente basta scegliere lenticchie con la pelle molto sottile, che restituiranno anche il vantaggio di una cottura più veloce, anche senza ammollo. Però, nel caso si abbia il tempo di mettere a bagno i semi tutta la notte, scegliendo piccole lenti dalla buccia invisibile, la cottura risulterà espressa e la digeribilità massima. È il caso delle pregiate lenticchie di Ustica, Colfiorito e Castelluccio di Norcia, come quelle coltivate a Pacina.

Lo sapeva bene Giacobbe, in cucina le lenticchie temono solo l’aridità, che le farebbe bruciare o “attaccare” alla padella. Vanno quindi sempre mantenute belle umide, o cotte in minestra. Un po’ di grasso ne aiuta la scivolosità: pancetta, guanciale, cotiche o semplice extravergine d’oliva rendono la cucchiaiata ancora più golosa al palato. Ma, una volta cotte, sciacquate a freddo e poi condite in insalata con i ciuffetti di un prezzemolino di campo, cuori di sedano, cipollotto, finocchietto selvatico e buccia di limone, riportano il pensiero in Medioriente all’inizio della primavera. Un peperoncino verde affettato senza semi, calde o fredde, è sempre un gradito compagno di sapore. Ridurle in crema al setaccio è forse un sacrilegio, ma il gusto donerà sorprese se all’assaggio si aggiungeranno formaggio di capra fresco, pepe Maricha passato al mortaio e olio nuovo.

Quindici anni fa, la prima volta che mi sentii come Esaù, giunsi stravolto quasi al termine degli oltre ottocento chilometri verso la spiaggia di Muxia, e avrei dato qualsiasi cosa per una minestra calda. Mi fermai a passare la notte in un ostello per pellegrini e, per meno di tre euro, mi servirono una doccia bollente, un piatto di lenticchie in brodo, un tozzo di pane integrale cotto nel forno a legna dell’antico monastero, una generosa irrorata d’olio extravergine spagnolo, intenso e nutriente. Mancò purtroppo un buon bicchiere di vino contadino per portare quel pasto nella dimensione biblica. Recuperai quindi le forze ma conservai la primogenitura.

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