La sorprendente semplicità del succo

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La sorprendente semplicità del succo

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Conservare la quintessenza di un frutto in bottiglia: la riscoperta del vero succo di frutta come alimento.

DALLE SPREMUTE AI SUCCHI: MISTIFICAZIONE DI UN PRODOTTO

L’aereo ha lasciato il suolo dell’Attica da circa una ventina di minuti, quando la hostess inizia a procede tra le file offrendo acqua o succo di frutta. Sul carrellino del servizio torreggiano diverse confezioni quadrate con un’invidiabile offerta: uva, arancia, pomodoro, pera, frutti tropicali e carota. Il succo di pomodoro è la bevanda maggiormente consumata in volo, per una serie di ragioni misteriose che, malgrado le fantasiose interpretazioni degli analisti, sono piuttosto difficili da mettere a fuoco. Lo amo particolarmente, come l’acqua ottenuta dalla filtrazione del medesimo frutto passato, l’”acqua di pomodoro” degli chef, ma, a parte quello servito all’Hotel de Russie a Roma, messo a punto da Fulvio Pierangelini, non ne ho mai trovato uno all’altezza del proprio nome. In Grecia, peraltro, le migliaia di tonnellate consumate ogni estate per riempire la pancia dei trenta milioni di turisti con la famosa insalata con cetrioli e feta, provengono per la maggior parte dalla Polonia, dove vengono raccolti immaturi e insapori.

Qualcuno potrebbe risentirsene ma comunque i pomodori ellenici non sarebbero comunque tra i più gustosi, a causa della scarsa escursione termica nictemerale, che, come per l’uva, è responsabile dello sviluppo della ricchezza aromatica. Escludo a priori la frutta tropicale che, come sa chiunque abbia avuto la fortuna di viaggiare attorno al circolo equinoziale, conserva il proprio gusto solamente nel paese d’origine, raccolta matura. Al momento, grazie al cambiamento climatico, sono state installate alcune coltivazioni di mango in Sicilia che però, visto il costo di produzione, non verranno mai spremuti per finire nel bicchiere. Mi ricordo allora che, sia in greco che in alcuni dialetti italiani, l’arancio si chiama “portogallo”, paese che ancora oggi conserva una discreta fetta della produzione di questo agrume importato dagli arabi dall’Oriente, ma è in Peloponneso che ho visto le maggiori distese d’Europa, ancora più vaste di quelle calabresi.

Scelgo quindi con indecisione il succo d’arancia. All’assaggio il sapore è quello dell’antibiotico, la dolcezza quella del gelato industriale e il profumo quello dell’acqua piovana. Mi ricorda i finti succhi offerti nelle colazioni, che ho sempre evitato di consumare portandomi in camera qualche derrata alimentare vera, di alcuni alberghi in giro per il mondo, in cui il la bevanda colorata viene ricostruita a partire da una busta di materia prima secca, a cui viene aggiunta dell’acqua.

Riesco a guadagnare la coda dell’aeromobile e a convincere l’assistente di volo a mostrarmi la confezione che riporta in caratteri microscopici: arance di produzione extra-UE e un paio di righe di altri ingredienti. Mi sovviene allora una scena del film più proiettato nel giorno della Vigilia negli ultimi venti anni “Una poltrona per due”, dove alla borsa delle materie prime ci si contendeva proprio il succo di arancia concentrato. Ma come è potuta accadere una mistificazione così esagerata di un prodotto tanto semplice, che basterebbe raccogliere maturo, spremere, imbottigliare, eventualmente pastorizzare (come si fa in ogni casa per la salsa di pomodoro) e conservare per i mesi in cui la frutta matura sull’albero non è disponibile?

DALLA STORIA ALLA NORMATIVE FINO AI SUCCHI TRIPLE “A”

Leggendo la Bibbia come l’Odissea, si capisce che in Europa, prima dell’esplorazione dell’Oriente, la disponibilità di vegetali fosse piuttosto scarsa, come di piante da frutto. Non stupisce quindi che il primo succo ad essere ritrovato, di circa 8 mila anni fa, fosse il succo d’uva, atto a trasformarsi nella bevanda degli dèi e nel nostro alimento preferito. Il primo vero succo di frutta fu prodotto in Italia nel XVI secolo, dalla lavorazione della polpa dei limoni, seguito, nel XVII secolo dal succo di frutta all’arancia. Nel XVIII secolo proprio i succhi di frutta agli agrumi realizzati da James Lind vennero utilizzati come coadiuvanti ai trattamenti nella lotta contro lo scorbuto, che, grazie alla conservabilità garantita dalla tecnica della pastorizzazione messa a punto in quegli anni, sostituirono il consumo di agrumi freschi che, per il medesimo scopo, venivano imbarcati a bordo dei velieri e che, in Campania, determinarono lo sviluppo della coltivazione dei limoni. Ma da allora l’industria ci ha messo lo zampino, fino alla definizione di una complessa legislazione europea, che ha normato in maniera precisa uno dei trasformati che dovrebbero essere più immediati da comprendere e produrre. È molto importante riportare la legislazione, per comprendere quale sia l’enorme differenza tra succhi Triple “A” e succhi di frutta mediamente in commercio e per orientarsi nella scelta di prodotti veri e sani.

SlavcekSecondo la direttiva 2001/112/CE e successivi aggiornamenti (2012/12 UE del 19 aprile 2012), nella UE il succo di frutta è un prodotto fermentescibile ma non fermentato, ottenuto dalla parte commestibile di frutta sana e matura, fresca o conservata mediante refrigerazione o congelamento, appartenente ad una o più specie di frutta e avente il colore, l’aroma e il gusto caratteristici dei frutti da cui proviene. L’aroma, la polpa e le cellule ottenute mediante processi fisici adeguati dalle stesse specie di frutta possono essere restituiti al succo. Tralasciamo il discorso del congelamento, la discussione su “maturo”, che viene spesso valutato solamente dal contenuto in zuccheri, che non ha nulla a che fare con la maturazione, che prevede invece lo sviluppo fisiologico, lento e sul ramo, di una serie immensa di sostanze aromatiche, lasciamo perdere la polpa e le “cellule”, che non voglio neppure immaginare perché siano state fatte inserire nel testo da qualche lobbista, ma si evince immediatamente che l’aroma può essere concentrato a parte e re-immesso in un succo che, essendo ottenuto da frutta spesso totalmente immatura e gonfiata d’acqua e di fertilizzanti, risulta totalmente insapore.

Succo 100% frutta

La storia del succo 100% frutta inizia nel frutteto. È un prodotto ottenuto interamente dalla frutta spremuta. Come per la frutta spremuta al momento, il succo è costituito per circa il 90% da acqua, vitamine, sali minerali e fitocomposti che derivano dal frutto intero spremuto. Il restante 10% circa è costituito da zuccheri naturali, soprattutto fruttosio. La normativa europea non consente l’aggiunta di conservanti, zuccheri ed aromi al succo 100% frutta.

Nettare di frutta

È prodotto a partire dal succo di frutta o dalla purea di frutta o da entrambi, a cui si aggiunge acqua ed eventualmente zucchero o edulcoranti. È consentita anche l’aggiunta di un numero molto limitato di additivi, che svolgono essenzialmente una funzione antiossidante o acidificante, mentre è vietato l’utilizzo di conservanti, coloranti e aromi. La normativa europea prevede che i nettari ottenuti esclusivamente dalla purea di frutta possano essere definiti come “succo e polpa di ...”. Di solito, per il nettare si scelgono tipi di frutta con molta polpa, come pera, pesca o albicocca. Secondo la normativa, la quantità minima di frutta contenuta nel nettare si colloca tra il 25 e il 50%, in base alla varietà̀. Benché́ la direttiva consenta l’aggiunta di zuccheri ai nettari fino a un massimo del 20% del peso totale del prodotto finito, la quantità̀ media effettiva di zuccheri aggiunti per i prodotti fabbricati in Italia si colloca tra l’8 e il 10% in relazione al tipo di frutta di partenza. In Italia appunto. È comunque impressionante che la frutta sia meno del 30% e il resto siano acqua ed edulcoranti.

Bevande a base di frutta

I prodotti che non rientrano nella classificazione “succo 100% frutta” o “nettari di frutta” si ascrivono alla categoria delle bevande a base di frutta. E qui, praticamente, vale tutto.

Succo da concentrato

Una categoria specifica riguarda i succhi di cui parlava, appunto, “Una poltrona per due”. Il processo di concentrazione consiste nell’eliminazione di parte dell’acqua contenuta nel succo estratto dal frutto. L’obiettivo di tale processo è quello di realizzare un prodotto semilavorato, intermedio tra la materia prima “frutta” e il prodotto finito “succo”, evitando così il trasporto e lo stoccaggio di grandi quantità̀ di prodotto, in termini di volume. La “ricostituzione” di un succo da concentrato si riferisce alla restituzione della parte di acqua sottratta al momento della concentrazione. Oltre all’acqua possono essere aggiunti aromi concentrati, in quanto, è facile capirlo, con tutti questi passaggi il sapore viene totalmente mortificato. Se il succo di frutta viene preparato diluendo un concentrato, il prodotto ottenuto deve per legge essere etichettato come "succo di... da concentrato (o a base di succo concentrato)".

Succo di frutta disidratato

È quello di alcune colazioni da incubo a cui accennavo sopra. Il termine succo di frutta disidratato (in polvere) indica il prodotto ottenuto dal succo di frutta di una o più̀ specie di frutta, mediante eliminazione fisica della quasi totalità̀ dell’acqua.

Dal 2014 non è più̀ possibile aggiungere zuccheri ai succhi messi in commercio con la denominazione “succo di frutta”, se non quelli normalmente contenuti nella frutta. Sono ammessi quindi il fruttosio o il succo di mela concentrato. Ai succhi di frutta possono essere aggiunti ingredienti funzionali come vitamine, sali minerali o fibre alimentari. Il succo d’uva o i succhi da consumarsi sfusi nella ristorazione possono inoltre contenere alcuni specifici additivi alimentari autorizzati in conformità̀ al Regolamento (CE) n. 1333/2008. Leggere questo regolamento non è molto edificante, perché, oltre a notare che molti additivi sono permessi, si evince che i francesi sono molto più seri quando si tratta di alimenti “tradizionali” per cui vietano “tutti” gli additivi, mentre gli italiani non lo fanno, neppure per i tradizionali cotechino e mortadella.

È chiaro quindi che i veri succhi di frutta, come da protocollo non solo debbano rientrare nella categoria 100% ma anche essere prodotti con frutti coltivati senza fertilizzanti o pesticidi, possibilmente da coltivazioni in albero e non a spalliera, e raccolti a perfetta maturazione, e quindi con cicli di raccolta manuale che avvengono più volte durante la stagione. Debbono poi essere lavorati a freddo e non addizionati di alcun zucchero e, tanto meno, conservanti, salvo al massimo qualche goccia di limone coltivato nella medesima maniera, che ha funzione antiossidante.

I succhi di frutta fatti in questa maniera, perché gli altri, malgrado le definizioni, succhi di frutta non lo sono affatto, saranno dei preziosi alleati della salute: garantiscono il giusto apporto di micronutrienti e vitamine. Non bisogna comunque dimenticare che non contengono fibre, che si possono integrare cioè mangiando anche un frutto fresco o della verdura e ricordarsi che i succhi di frutta, come il vino, sono alimenti e non bevande, e non sono sostituti dell’acqua, né per i grandi né per i piccoli. Una media di un bicchiere di succo al giorno è ottima per la salute e per il sapore. E, appunto, come per il vino, si tratta di una media, da distribuire nella settimana.

Ora avrete capito perché in aereo, in cui non si possono imbarcare liquidi, viaggio con in tasca le bustine delle Tisane de Père Charteux e mi faccio servire solamente acqua bollente!