Soprannominata l’oro del Veneto la garganega è la varietà a bacca bianca più importante della regione. Il vitigno regala le sue migliori espressioni nelle province di Verona e Vicenza: nella zona del Soave, nell’arco collinare orientale rispetto a Verona, e a Gambellara sui rilievi collinari dei Monti Lessini. Il comune denominatore di queste due zone sta nel suolo: colline di antica origine vulcanica con venature calcaree, rocce basaltiche e tufo, che rendono il terreno incredibilmente ricco di minerali.
Per saperne di più abbiamo approfittato dell’incredibile conoscenza di Filippo Filippi che nell’omonima azienda situata a Castelcerino, una delle menzioni geografiche aggiuntive più importanti delle 33 della zona del Soave, dà vita a eleganti espressioni di questo vitigno.
“I terreni nella mia zona sono molto misti, all’incirca un terzo è composto da suolo calcareo sabbioso e due terzi da terreno vulcanico-basaltico di 40 milioni di anni fa, durante il periodo del L'Eocene Medio. La differenza dei suoli si esprime con vini più fini, con maggiore verticalità e sale nel primo caso e vini più grassi e con maggiore frutto nel secondo. Anni fa fecero anche uno studio universitario e risultò che nelle zone calcaree la vigna aveva una maggiore attività fotosintetica. La garganega qui ha trovato casa ed è uno dei vitigni simbolo di questa zona, dove ha dato vita alle due grandi denominazioni: Soave e Gambellara. In cosa si differenziano? La zona del Soave ha un terreno vulcanico con il trenta percento circa di calcare, mentre la zona di Gambellara ha una componente principalmente vulcanica con solo il cinque percento di calcare. L’altra grande differenza è nel disciplinare che non permette nella zona di Gambellara l’utilizzo del trebbiano in piccole percentuali. La zona del Soave, per me, è una delle zone più vocate alla viticoltura in Italia ma mi piange il cuore guardando come è stato snaturato il vitigno e la sua qualità. Ormai la zona è conosciuta in tutto il mondo, nel bene e nel male, ma è anche spesso associata alla produzione di un vino “da poco”, vini da produzione. Ormai hanno piantato garganega anche nei campi un tempo destinati al mais e alle patate, e il trebbiano di soave, che veniva coltivato insieme al vitigno nelle stesse vigne, è dagli anni novanta che lo espiantano. Il motivo dell’espianto del trebbiano? Ha la “colpa” di maturare un paio di settimane prima della garganega, ma le vigne vengono vendemmiate a maturità di quest’ultima portando in cantina uva marcia. Da lì si è iniziato a dire che il trebbiano rovina la garganega.”
Filippo nei sui 15 ettari ha deciso di andare “contro-corrente” e a 400 metri sul livello del mare, nella zona con l’altitudine più alta di Soave, coltiva in biologico le sue vecchie vigne di selezione massale in parcelle sparse abbracciate da vecchi boschi secolari. “L’azienda della mia famiglia” riprende il discorso Filippo “ha arrestato la produzione enologica verso la fine degli anni sessanta, così ho deciso di non seguire la strada di mio padre, quella dell’avvocato, e sono andato a studiare agronomia. Non potevo stare a guardare questa realtà andare in malora. A chi mi chiede perché proprio la garganega la risposta è semplice: in queste colline da più di cent’anni cresceva senza problemi e non ho visto nessun buon motivo perché questa tradizione dovesse interrompersi” conclude senza poter nascondere una risata prima di approfondire il sistema di allevamento tipico della zona, la pergola veronese.
“La garganega è una macchina da guerra, incredibilmente rigogliosa e vigorosa, e la sua esuberanza è da sempre contenuta dal tradizionale sistema di coltivazione: la pergola veronese. La pergola veronese in questi luoghi c’è sempre stata, e per diversi motivi: le prime 3 gemme del vitigno sono poco fertili, ma dando maggiore spazio ai tralci si permette alla pianta di esprimersi al meglio. Tra i grandi vantaggi della pergola inoltre c’è la maggiore protezione da peronospora, la protezione dall’eccessivo calore e, grazie all’altezza dal suolo, anche dalle gelate tardive. Beh, e poi c’è anche la parte poetica: un vigneto con la pergola veronese è bellissimo da vedere!” continua prima di aggiungere, con una punta di rammarico, che però non tutti la pensano più così “In molti si stanno convertendo al guyot, sia poiché permette di entrare in vigna con i macchinari e meccanizzare manutenzione e produzione, sia per andare incontro alle esigenze del mercato. La pergola infatti dona un grado di acidità in più e un grado zuccherino in meno, al contrario le uve da guyot hanno minore acidità e danno vita a vini con maggiori gradazioni alcoliche.”
“La garganega a me piace perché ha un gusto abbastanza neutro, si potrebbe considerare un vitigno di riferimento: non stanca mai la beva e non ha troppo frutto. Io credo che la pianta restituisca le uve più qualitative dopo 30 o 40 anni, questo è il motivo per cui proteggiamo i vecchi vigneti. In generale la garganega ha bassa acidità, e non raggiungendo mai alti gradi zuccherini mantiene un basso contenuto alcolico. Ma il mercato americano ho gusti diversi, per cui c'è la tendenza a lasciare i grappoli più a lungo sulla pianta, sacrificando la già scarsa acidità per avere più frutto. Poi in cantina correggono il tiro con l’acido tartarico e ricorrendo alla tecnologia, che qui a Soave sfortunatamente, è molto diffusa.
Inoltre la garganega si presta molto alle macerazioni, dove acquisisce sale, profumi e aromaticità. Con il contatto con le bucce assume le sfumature odorose delle piante selvatiche che crescono in vigna. Qui da noi la salvia selvatica ama i terreni calcarei e regala alle uve delle sfumature balsamiche. È una caratteristica che mi piace molto, mi ricorda i vini di Altura che prendono una caratteristica nota balsamica e di liquirizia data dalle erbe dell’isola del Giglio. Le macerazioni in linea generale allungano la vita dei vini, danno tannino e sprint in più, noi in questo momento per esempio stiamo sperimentando con quelli che qui vengono chiamati centenari, vecchie pietre scavate che abbiamo trovato in azienda. Per anni non sono stati utilizzati, prima ancora si usavano per la produzione di olio quando la tenuta ancora era gestita dai Conti Alberti, una famiglia nobile toscana che aveva portato in zona gli uliveti. Lo scopo dei centenari ancora non è chiaro, oggi tuttalpiù li ho visti usati come abbeveratoi per gli animali, alcuni dicono fossero utilizzati per la raccolta di acqua piovana, altri come refrigeratori. Noi li stiamo impiegando per alcune prove di macerazione e devo dire che sono soddisfatto del risultato, i vini fermentano nei centenari, vengono svinati e spostati in anfora per otto mesi con le bucce, poi sposto il Monteseroni in acciaio e il Trebbiano di Soave in damigiana prima dell’imbottigliamento. Se tutto va bene usciranno verso fine anno!”
All’interno del listino degli Agricoltori Artigiani Artisti troviamo le quattro diverse espressioni di Soave di Filippi: Il Vin da Goti è una chiave d’accesso per avvicinarsi al vitigno, un vero e proprio vino da goti, Castelcerino invece è una garganega proveniente dal vigneto più vicino alla cantina, con “solamente” cinquant’anni di età sono le vigne più giovani dell’azienda e danno vita a un’espressione più esuberante, dove il frutto è più rotondo e ricorda la mela. Il Vigne della Brà vede l’argilla mischiarsi alle rocce basaltiche e la permanenza sui lieviti allungarsi, idrocarburi e mineralità a tratti con un finale tagliente. Infine il Monteseroni, da vigne ultrasettantenni su suolo calcareo, è un vino contraddistinto da eleganza e verticalità, complesso e profondo. Sempre da suoli calcarei proviene anche il Drago Bianco di La Musella, una garganega fine e di carattere che richiama la frutta esotica. Chiude le fila il Terralba di Castello di Lispida, dove garganega e friulano convergono nello stesso vino un macerato denso che mantiene agilità di beva e versatilità.
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