L’aglianico è un vitigno che trova la sua massima vocazione nei suoli del sud Italia, regalando espressioni di grande complessità ed eleganza, tanto da guadagnarsi una porzione di palcoscenico nella scena vinicola italiana, al pari dei blasonati nebbiolo e sangiovese. Questa varietà a bacca rossa viene infatti considerata come il re dei vitigni del meridione e coltivata nei vigneti di Campania, Basilicata, Puglia e Molise.
“L’aglianico è un cavallo purosangue” racconta Mario Basco de I Cacciagalli “A volte può essere un po' irruento da contenere: tanta forza e potenza ma altrettanta eleganza. Come i cavalli di razza deve essere trattato con riguardo, sia in vigna che in cantina, perché può essere delicato. L’aglianico infatti dona acini medio-piccoli, di forma sferica e di colore blu-nero, dalla grande qualità ma con il difetto di avere la buccia piuttosto sottile. L’esilità della buccia infatti la rende maggiormente soggetta a funghi e batteri, e nel caso di piogge abbondanti gli acini possono arrivare a gonfiarsi fino a spaccarsi: nel caso di forti piogge il lavoro in vigna diventa maniacale essendo necessario selezionare acino per acino le uve per evitare quelli soggetti a marciume.” Mario, insieme a sua moglie Diana Iannaccone, ha recuperato l’antica masseria di famiglia di Diana, nell’Alto Casertano, dove la presenza del vulcano inattivo Roccamonfina rende il suolo particolarmente adatto e apprezzato dall’aglianico, presente in zona da meno di un secolo.
“Tra i grandi pregi dell’aglianico” continua Mario “c’è la giusta proporzione di polifenoli, acidità elevate e PH basso, prerogative nella capacità di invecchiamento del vino. Proprio per queste caratteristiche si tende a paragonarlo con il nebbiolo. Per questo motivo solitamente si prediligono lunghi affinamenti in legno secondo la tradizione piemontese. Noi, dopo diverse prove, abbiamo deciso di lavorare con l’anfora. Il motivo è semplice: le nostre uve ci sembrava che mal digerissero l’affinamento con contenitori di legno, anche a distanza di tempo, quindi abbiamo deciso di sperimentare. Lavoriamo per sottrazione piuttosto che ricercare lunghe estrazioni, avendo a che fare con un’uva dalla già grande forza. Dopo il primo mese si ottiene infatti l’estrazione massima dei polifenoli, che però col tempo sono riassorbiti dalle bucce. Il nostro obiettivo è infatti lavorare sull’eleganza piuttosto che rafforzare un’uva già molto impetuosa”.
“L’aglianico produce uve molto versatili, la cui vinificazione può passare dalle lunghe macerazioni ai rosati, il fattore fondamentale è il periodo di raccolta” ci racconta Andrea Dibenedetto, la nuova generazione di L’Archetipo, “Le nostre vigne di aglianico sono più in collina, precisamente ad Altamura e Matera, lì i suoli hanno una scarsa presenza di argilla e una forte presenza di carbonato di calcio. Questo vitigno infatti richiede suoli molto minerali, in gergo si dice che se li mangia proprio! Come pianta è di facile gestione, è infatti una pianta molto educata, si mantiene sulle sue, senza essere troppo vigorosa. Se proprio devo andare a cercare un difetto, secondo la nostra esperienza, è la sensibilità all’oidio.”
Diverse sono le denominazioni che nascono nelle varie regioni in cui viene coltivato l’aglianico e tra queste le più importanti sono: Taurasi e Aglianico del Taburno, in Campania, e Aglianico del Vulture, in Basilicata. Uno dei punti in comune dei territori in cui si è sviluppato il vitigno è la presenza di suoli di origine vulcanica, particolarmente vocati per la coltivazione di questa varietà, e l’altitudine, per la sua sensibilità al caldo e per gli effetti benefici del vento. “Qui in Irpinia, all’interno della zona del Taurasi, l’aglianico ha trovato il suo habitat ideale in parte per il suolo di matrice vulcanica: calcareo argilloso ma con presenza sabbiosa” spiega Luigi Tecce. “Un’altra componente importante è l’escursione termica che permette al vitigno di sviluppare una curva di maturazione molto lenta. L’alcol che si sviluppa arriva anche a 14/15 gradi, ma è sostenuto dall’altissima acidità. Le uve danno quindi luogo ad un vino che ha il colore e l’alcol di un vino del sud, ma l’acidità e la leggerezza di un vino del nord. È un vitigno che pur essendo in gioventù molto tannico e acidulo si presta alla finezza e all’invecchiamento. L’aglianico può darti tanto, ma devi sapere cosa chiedere. Non è un vitigno che dove lo metti produce. Con l’aglianico o fai grandi vini oppure è inutile che ti ci metti” continua Luigi in una risata “E per fare grandi vini serve il tempo, non la tecnologia”.
In Irpinia, l’aglianico veniva coltivato con una particolare forma di allevamento, oramai in via d’estinzione, la raggiera avellinese che caratterizza il paesaggio della zona. “Le vigne storicamente erano coltivate a raggiera avellinese, molti mi chiedono se utilizzo questo tipo di allevamento perché garantisce qualche specifico vantaggio, ma la verità è le ho soltanto avuto la fortuna di ereditarle. All’epoca dell’impianto dei vigneti, il terreno era doppiamente importante perché sotto le vigne si coltivavano ortaggi per il sostentamento delle famiglie. Per come la vedo io la raggiera avellinese è la copertina del mio libro, la spalliera, che utilizzo per i reimpianti, sono le pagine che ho scritto di mio pugno” conclude Luigi.
All’interno del catalogo Triple “A” l’aglianico trova diverse espressioni in base all’interpretazione di ogni Agricoltore Artigiano Artista. I Cacciagalli nelle loro bottiglie di aglianico ricercano l’eleganza piuttosto che la forza e nell’anfora trovano una preziosa alleata, che è diventata la peculiarità della cantina. Il Phos, è un aglianico che vive sui suoli ricchi di potassio del vulcano inattivo di Roccamonfina, esprimendo una parte salina. Il Pellerosa invece, caratterizzato da una spiccata acidità dovuta alla raccolta anticipata, è un vero e proprio rosato d’invecchiamento.
All’interno delle cantine de L’Archetipo, il vitigno incontra una vinificazione più “tradizionale”: tornano i lunghi affinamenti in grandi botti esauste, quindi prive di cessioni aromatiche. È il caso dell’Aglianico, ricco e caldo con un finale persistente e del Primitivo Aglianico capace di coniugare il lato morbido, ma austero del Primitivo, a quello vigoroso dell’Aglianico.
Dall’Irpinia arrivano invece altri due rosati: Cyclope e Calipso, figli di due annate diverse che, seppur avrebbero potuto essere presentate con la stessa etichetta, Luigi Tecce ha preferito comunicare in chiave differente, mettendo in mostra due facce dell’aglianico. Calipso 2020 infatti si muove leggero tra freschezza e delicatezza e lascia all’etichetta sorella, Cyclope 2018, la matericità tipica del vitigno.
Oltre ai rosati, l’aglianico nelle mani di Luigi si esprime in quattro diverse manifestazioni: Irpinia Campi Taurasini Satyricon, intenso e morbido, coniuga perfettamente potenza e finezza, Taurasi Puro Sangue Riserva e Taurasi Poliphemo.
Quest’ultimo presenta un’evoluzione di vinificazione che vede dal 2009 un cambio stilistico con il passaggio dai tonneaux alle botti grandi. Dal 2013 subentra un affinamento più lungo: 12 mesi in tonneaux, 24 mesi in botte grande, 12 mesi in acciaio inox e ulteriori 24 mesi in bottiglia dando luogo a Taurasi Poliphemo Riserva. Poliphemo robusto e voluminoso dal finale intenso racchiude tutto lo stile di Luigi Tecce, e trova nella riserva un’esplosione di complessità.
Puro Sangue si distingue, invece, per un aglianico più di nervo e scattante in cui il tannino si mitiga con un’acidità spiccata, un frutto potente e una vivace salinità, dando vita ad un vino potente ma elegantemente integrato.
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