Aggrappato a terrazzamenti di pietre laviche ai piedi di “A Muntagna”, come la chiamano i catanesi, troviamo un vitigno che vanta ancora piante centenarie a piede franco che si nutrono della potenza dell’Etna. Stiamo parlando del nerello mascalese, vitigno autoctono siciliano, che in questi luoghi inospitali dà vita a vini di grande profondità, sottili ed eleganti.
“Il nerello mascalese è un vitigno a bacca nera di origini antichissime” ci racconta Massimiliano Calabretta, vignaiolo a Randazzo. “Si pensa sia presente in Sicilia già a partire dal medioevo, ma il nerello ha raggiunto la sua maggiore espansione nel 1900. Infatti in quel periodo la coltivazione si estendeva in tutta L’Etna, nell’ex Contea di Mascali da cui deriva infatti il nome, e in parte della città di Catania. Originariamente il tipo di impianto in cui si poteva osservarlo era ad alberello. È un vitigno che dà soddisfazione e di per sé facile da coltivare: soffre poco la peronospora e l’oidio, la parte più difficile è la lavorazione dei terreni vulcanici e sassosi. Ma è proprio tra questi suoli sassosi che dà le migliori espressioni donando acini mediamente grossi, dalla buccia spessa, la quale in vinificazione sviluppa aromi caratteristici di fragola, lampone e prugna.”
Per comprendere l’espressione del nerello bisogna comprendere l’origine del territorio etneo: l’isola nell’isola infatti ha una morfologia di terreni tutta sua. Nei 1200 kilometri quadrati che compongono l’estensione del vulcano convivono diversi suoli. In alta quota, a causa dei frequenti accumuli di lapilli e ceneri eruttati dalle bocche del vulcano, il territorio non è interamente pedogenizzato. Scendendo di quota sui coni vulcanici laterali, di origine più antica, e meno soggetti all’accumulo di materiale organico l’azione del tempo invece ha permesso la formazione di una terra incredibilmente fertile. Proprio su questi coni laterali hanno luogo i terrazzamenti di pietra lavica nera, in cui i contadini hanno strappato qualche lembo di terra alla pendenza del vulcano. Qui in base alle diverse azioni del tempo il suolo è composto in parte da terreni ciottolosi e ghiaiosi e in parte da sabbia cineree che apportano diverse sfumature nel calice. Anche il clima concorre nello sviluppo aromatico delle uve grazie alla grande escursione termica, anche di 20-25 gradi, tra il giorno e la notte.
“Prima c’è il lavoro della ginestra” inizia Rori Parasiliti di SRC “che spacca la pietra delle colate, dopo arriva l’uomo.” -La ginestra dell’Etna è infatti una specie pioniera, che per la sua capacità di adattarsi alle condizioni più estreme è considerata colonizzatrice di pendici nude e aride- “Sono terreni molto antichi - queste colate hanno più di duemila anni e sono state lavorate per moltissimo tempo. Adesso hanno uno strato di 40 cm di terra sabbiosa e sotto lo scheletro di pietra. Qui il nerello mascalese è sempre stato coltivato, e a Giarre poco lontano dal paese di Mascali sono stati trovati scritti che ne documentano la presenza già dal 1700, anche se con il nome di negreddu. Prima della fillossera si contavano 50.000 ha vitati, oggi siamo a 3.500 ha, con l’arrivo della malattia infatti i contadini si dedicarono a diverse coltivazioni come olivi, nocciole e pistacchi. Si distingue dal nerello cappuccio per la dimensione delle foglie, leggermente più piccole, ma di varie dimensioni e lobature. Anche la forma dei grappoli permette di distinguerli facilmente infatti il mascalese ha grappoli più grossi allungati, mentre il cappuccio ha una forma più piccola e più tozza. Potremmo dire che il nerello mascalese è il vitigno principe, più complesso aggiungerei, ma magari sono di parte…” ride prendendo una pausa “personalmente il nerello cappuccio non mi piace, per mia esperienza i polifenoli sono bassi e sviluppa tanto colore.” Conclude Rori prima di tornare a parlare del vitigno che gli ha rubato il cuore.
“Una caratteristica che amo di questo vitigno è la versatilità: può dare vita a rossi di pronta beva dopo poco più di un anno, ma anche a vini da lungo invecchiamento, prodotti come da tradizione nel versante nord dell’Etna, o il più fresco pista e mutta. Il nome pista e mutta è già esplicativo: il mosto viene pestato, pigiato, e subito travasato dopo un leggero contatto con le bucce dando luogo ad un rosato. Spesso questi rosati sono vinificati con una percentuale di uve bianche, come facevano i contadini una volta. Un mio sogno è di riuscire a vinificarlo in bianco, come fa un produttore qui in zona, e produrre un Blancs de Noir di nerello mascalese. D’altronde un giornalista paragonava la zona dell’Etna con il Piemonte e la Borgogna e il nerello mascalese per certi versi ha diverse similitudini con il pinot noir e il nebbiolo. Eleganza, complessità e un tannino molto stretto inizialmente, che con il tempo diventa setoso. Se dovessi dare una differenza, la prima è che non sappiamo come invecchia sul lungo tempo. Cornellissen, Benanti e Franchetti sono stati tra i primi ad iniziare ma era comunque verso la fine degli anni novanta. Soltanto il tempo saprà dirci se abbiamo ragione”
All’interno delle Triple “A” il nerello mascalese trova spazio per esprimersi attraverso due grandi Agricoltori Artigiani Artisti: Massimiliano Calabretta apporta ben 10 etichette diverse, ognuna con caratteristiche diverse. Il Cala Cala è un vino glou-glou vinificato con anche le uve del nerello cappuccio frutto di diverse annate vinificate insieme in cui concorrono vecchie e giovani vigne, il Gaio Gaio invece è figlio delle vigne più giovani ed è un vino fresco e dalla dissetante acidità fermentazione tradizionale. Anche lui figlio di un nuovo impianto ottenuto da selezione massale è il Piedefranco, mentre tramite il tradizionale metodo pista e mutta viene prodotto il ricco e succoso Rosato. Elisir è il nerello mascalese di Calabretta figlio di vigne giovani e fermentazione semi carbonica ad acini interi. Frutto delle vecchie vigne ma di contrade diverse sono Sara, ex Little A Butterfly dalla contrada di Feudo di Mezzo Basso, il Vecchie Vigne tra Calderara Sottana e Taccione, il Contrada dei centenari a Solicchiata e infine il Nonna Concetta a Feudo di Mezzo Alta a circa 680 mt slm.
Nella cantina di SRC il nerello mascalese dà luogo ad un Rosato floreale e salato ottenuto da una percentuale di uve bianche, minnella e carricante, e a quattro rossi differenti. L’SRC Etna Rosso, affinato in cemento, è un rosso identitario e mediterraneo, l’SRC Alberello è frutto di un vigneto del 1901 ad alberello a piedefranco, l’SRC Rivaggi un nerello mascalese elegante e complesso vinificato con grenache affinato in tonneaux, e infine l’SRC Barbabecchi non disponibile a listino.
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