Ossidativi, de voile o rancio? Alla scoperta della flor, quando il vino e l’ossigeno vanno d’accordo tra imprevisti e opere d'arte.
Una delle prime cose che insegnano in un qualsiasi corso del vino è che l’ossigeno è tra i più grandi nemici del vino. Una delle prime cose che si impara è che il mondo del vino è bello perché è vario e che le eccezioni sono all’ordine del giorno, incluse quelle che riguardano il rapporto tra vino e ossigeno. Spesso una guerra spietata, a volte la complicità di una grande storia d’amore. Un “odi et amo”.
Proviamo a spiegarci meglio. Quante volte vi è successo la mattina dopo una festa o una serata con gli amici di alzarvi e trovare per la casa calici di vino ancora pieni? Probabilmente l’hangover vi ha suggerito di non infilarci il naso, eppure dovreste, scoprireste molte cose. La prossima volta che accadrà fatelo, anzi lasciatelo lì e ripetete la cosa nei giorni a seguire finché il profumo verterà su un’unica e coprente nota di vernice o smalto. Avrete capito cos’è l’ossidazione. Proprio qui sta la grande differenza che separa quello che viene comunemente considerato difetto dalle eccezioni di cui parlavamo prima, nelle dosi.
Basti pensare che quando si aprono vini molto vecchi vengono caraffati ore prima per far sì, come si dice in gergo tecnico, che si aprano, ossia che il contatto con l’ossigeno li porti pian piano a rivelare tutto il loro bagaglio olfattivo inizialmente restio a mostrarsi.
L’ossigeno poi in certi momenti della vinificazione è addirittura necessario, in altri dell’affinamento più che benefico, in altri ancora può diventare elemento distintivo. Ma andiamo con ordine.
In alcuni passaggi della vinificazione l’ossigeno è volutamente ricercato. Una volta pigiate le uve per esempio, affinché possa cominciare la fermentazione alcolica, è bene ossigenare il mosto. I lieviti infatti necessitano di ossigeno per la sintesi della membrana cellulare e quindi per una corretta riproduzione. Se l’ossigenazione è insufficiente, inadeguata sarà la crescita del lievito e questo potrebbe facilmente comportare una fermentazione troppo lenta o incostante.
In altri invece il contatto del vino con l’ossigeno può una precisa scelta stilistica. È il caso delle “macerazioni in ambiente ossidativo”, di cui vi abbiamo già parlato nell’articolo Orange in the new (old) wine
Anche durante l’affinamento molti produttori ricercano l’ossigeno in piccole dosi. È il caso della famosa micro-ossigenazione, ossia un processo di costante somministrazione di ossigeno al vino in piccole quantità. In questo modo il vino da un lato ne risulta più stabile, più ricco e più colorato, dall’altro ne guadagna anche in morbidezza ossia in armonizzazione delle sue componenti. Proprio nella micro-ossigenazione sta la prima grande differenza dell’affinamento del vino in contenitori che permettono uno scambio con l’esterno, come il legno, il cemento non vetrificato o la terracotta.
Venendo al nocciolo della questione, ciò di cui ci interessa parlare sono quei vini che fanno del contatto con l’ossigeno il loro vero e proprio marchio di fabbrica. Detti ossidativi in Italia, rancio in Spagna o vin de voile in Francia si tratta di vini che maturano a botte scolma sfruttando i principi biochimici e fisici della “vela”, un bio-film superficiale che si forma solo in condizioni particolari, composto da lieviti naturali post-fermentativi, i flor. La presenza della vela (detta appunto anche flor) permette da un lato di controllare l’acidità volatile, dall’altro di far acquisire al vino caratteristiche organolettiche molto complesse, dovute in parte anche alla concentrazione per evaporazione, e un grande potenziale d’invecchiamento.
Tipico di Sherry, Marsala, Madeira e Porto, questa tecnica di “ossidazione controllata” è usata anche al di fuori del mondo dei vini liquorosi. La patria dei vini ossidativi è senza dubbio lo Jura, regione francese la cui uva principe, il savagnin, viene fatta affinare per tradizioni in botti “non ouillè”, ossia che non vengono colmate. Detti Vin Jaune, il più noto è senza dubbio l’AOC Chateau-Chalon, dove la permanenza sotto vela raggiunge quasi i sette anni, imbottigliato nella tradizionale clavelin da 62 cl (il lungo affinamento infatti comporta un’evaporazione importante, che trasforma 100 parti di vino in 62 di vin Jaune).
Al di fuori dello Jura, sempre più produttori si sono avvicinati a questa tecnica produttiva, a volte ricercata con moderazione, come nel caso di Un Bianco de La Felce, altre volte gestita con esperienza, come per il De Sol a Sol Airén Rancio di Esencia Rural, altre ancora ottenuta un po’ per caso, come nel Bianchdudui di Bera, imprevisto di una botte dimenticata saputo poi interpretare e valorizzare con maestria da Alessandra e Gianluigi.
I vini ossidativi, più è lunga la permanenza sottovela, più si distaccano dalla normale concezione di vino. Non si tratta di vini semplici o glou-glou, ma sono capaci di trovare liason gastronomiche che lasciano a bocca aperta. Vini da performance e da meditazione, che anche una volta aperti, possono sfidare il tempo per giorni, addirittura mesi. Vere e proprie opere d’arte viventi in costante movimento.
Una delle prime cose che insegnano in un qualsiasi corso del vino è che l’ossigeno è tra i più grandi nemici del vino. Una delle prime cose che si impara è che il mondo del vino è bello perché è vario e che le eccezioni sono all’ordine del giorno. Alla fine è una questione di prospettive: a volte vediamo la botte mezza vuota, ma ne vale la pena.