Non è la prima volta e difficilmente sarà l’ultima. Date ad Heydi Bonanini uno storico vitigno autoctono delle Cinque Terre e un contenitore di vinificazione inusuale, potete stare certi che ne farà un grande vino. È la storia di U Veciu, il nuovo orange wine figlio del rossese bianco, varietà antica di questo territorio che è stata recuperata e riportata in auge proprio dal vignaiolo eroico di Riomaggiore.
“L’idea risale a tanto tempo fa” subito confida Heydi “tra il 2007 e il 2008 abbiamo voluto fare delle micro vinificazioni di ogni singolo vitigno autoctono recuperato e proprio il rossese bianco ha restituito dei risultati straordinari. Era un vino completo, nonostante l’alcol elevato manteneva una grande acidità, sembrava un rosso a cui avevano tolto il colore ma con la predisposizione ad affrontare una lunga maturazione in bottiglia”.
In parte c’era da aspettarselo dato che Heydi ormai da sei o sette anni sta piantato rossese bianco a tutto spiano. “Non dimentichiamo che fino agli anni ‘80 il rossese bianco era la base del Cinque Terre” spiega “il problema è che ha rese naturalmente molto basse e, considerando che contribuisce per un 20% alla massa dello Sciacchetrà, abbiamo dovuto aspettare fino al 2021 per averne almeno i dieci, undici quintali necessari per fare un vino a sé stante”.
La prima sfida che Heydi decide di affrontare con l’U Veciu è una macerazione sulle bucce molto lunga, protratta per un’ottantina di giorni. “Ho voluto lavorare in assenza di ossigeno, senza fare alcun rimontaggio e lasciando il vino al suo massimo stato di integrità. Quando l’ho assaggiato a due mesi e mezzo di distanza ha dimostrato una prontezza sorprendente. Per questo con un solo travaso ho deciso di andare in bottiglia, dato che prediligo il vetro come contenitore per l’affinamento”.
La seconda invece riguarda invece la scelta del materiale di vinificazione. “Da tanto tempo mi rifornisco da un bottaio ungherese che lavora diversi tipi di materiali. Cercavo un legno che concedesse uno scambio d’ossigeno limitato e che fosse il più neutro possibile. Mi è stata proposto il larice che avevo sempre considerato tendente al balsamico. Il bottaio però mi assicurato una cessione minima e visti gli esiti straordinari del legno di pero sullo Sciacchetrà gli ho dato nuovamente fiducia”. Ancora una volta il bottaio ha fatto centro, costruendo una botte ad hoc molto spessa che ha ridotto la micro ossigenazione al minimo e che non ha influito sul gusto finale del vino.
Così U Veciu si presenta materico e avvolgente, un vino calorico che riempie la bocca ed evolve rapidamente nel bicchiere sprigionando i tratti delicatamente agrumati e sapidi identificativi di questo territorio. “È un vino tutto in divenire, ha una lunga vita davanti, ma l’ho trovato bellissimo sin dal primo assaggio” conclude Heydi “ci ho sentito la mia terra, ho chiuso gli occhi e ho avuto la sensazione di ritrovarmi in una serata estiva a Riomaggiore quando ti siedi sulla roccia che è ancora calda dalla giornata”.
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