Il progetto Frus, di cui vi parliamo già da tempo, nasce nel 2015. Dopo aver accompagnato, scoperto e frequentato i migliori produttori in circolazione, la voglia di mettersi in gioco ha prevalso. Si dice che “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. Noi preferiamo dire che il flusso continuo di creatività artistica e agricola che circonda i nostri produttori ci ha coinvolto. La necessità di scendere in campo, di osservare e di metterci le mani in prima persona è diventata impellente. Gli obiettivi sono chiari e precisi fin dal giorno uno. In primis lavorare con genetiche antiche e vigne vecchie, dai trenta fino ai novant’anni. Dopodiché la ricerca di vigne circondate da boschi o protette dall’effetto deriva, dove non è stata usata chimica in campo. E ancora il desiderio di accompagnare l’uva, percependone le varie inclinazioni, senza forzarla, nonché la fermezza nel decidere di vendemmiare solo le annate migliori.
E così da quel primo incontro tra Fabio Luglio e Marina Danieli a Buttrio, nell’estremo est del Friuli Venezia Giulia, Frus prende forma fino ad assumere quella odierna. Otto sono gli ettari dedicati al progetto con a dimora friulano, tazzelenghe, pinot grigio, merlot. E in più un vigneto del 1972 chiamato Monico all’interno del quale coabitano cabernet franc, verduzzo friulano, malvasia e picolit. È quest’ultimo il protagonista della prossima uscita del progetto Frus: un picolit in purezza vendemmiato nel 2018, prima annata in cui le uve hanno dimostrato di essere pronte a regalare il meglio di sé. Evento che si è ripetuto solamente nel 2021, dimostrando l’incostanza di quest’uva. La maturazione tardiva (tra settembre e ottobre) dona infatti un grande potenziale zuccherino alle uve e quantitativi raccolti erano tanto ridotti da spingerci a vinificarlo e affinarlo in damigiana. Il risultato si quantifica in non più di cento bottiglie da mezzo litro, un lavoro certosino e artigianale, una delle perle del listino Triple “A”.
Il picolit, infatti, è un vitigno a bacca bianca autoctono del Friuli caduto in disgrazia dopo aver viaggiato tra il 1700 e il 1800 tra le corti dei reali di tutta Europa grazie al successo che riscosse. Poi il lungo declino, dovuto alla fillossera e alle rese non in grado di accontentare la richiesta sempre maggiore.
Per queste varietà autoctone semi-dimenticate c’è sempre un comune denominatore: sono piante capricciose. Le scarse rese e la difficoltà nella coltivazione hanno convinto i produttori a abbandonarle ed espiantarle in favore di vitigni con rese più costanti, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di questi vitigni. Il picolit non è da meno, il nome già allude alla piccola dimensione dei grappoli e alla scarsità di acini presenti su di esso. Infatti il fenomeno dell’acinellatura, l’aborto spontaneo dei frutti, è frequente e responsabile di queste scarse e incostanti rese. Ampiamente ripagato però dalla qualità dei frutti, acini che a maturità regalano perle giallo-dorate caratterizzate da una dolcezza unica e aromi elegantissimi. Un vitigno incostante che quando è clemente regala meravigliosi vini da meditazione che portano al loro interno struttura elegantissima e delicata.
La forza dei lieviti di queste uve ha spinto la fermentazione, di un vino che voleva essere dolce, ad esaurire quasi completamente gli zuccheri arrivando ad un residuo di 4/5 grammi. Ma il risultato ancora più straordinario è che un picolit quasi secco trova nella maturità delle uve e nella componente glicerica una morbidezza degna di un grande passito. Infatti la pazienza nell’aspettare la lunga maturazione delle uve è ripagata dalla solarità e dalla dolcezza che essa sa regalare. Capriccioso ma quando si concede lo fa con una grazia senza uguali.
Ormai in bottiglia da oltre un anno, Fabio e la squadra di Frus hanno deciso che a novembre il vino sarà pronto per fare il suo debutto. E quando Marina, pochi giorni dopo, ci ha chiamato per dirci che non avremmo potuto chiamarlo picolit, forse perché un po’ ce l’aspettavamo, sinceramente non abbiamo neanche voluto sapere perché. Avevamo già una soluzione: prendere esempio da chi ci ha preceduto, come Stanko Radikon con il suo Jakot, come Stefano Bellotti con il suo Ivag. E così è nato Tilocip. In un mondo che va alla rovescia, tanto vale fare le cose al contario.
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