Piero Carta non voleva da sempre fare il vignaiolo. Però a volte il destino gioca con noi e incredibilmente l’adolescente svogliato nell’aiutare il padre in vigna, che minacciava di costruirci sopra un campetto da calcio con cui giocare con gli amici, ora quella terra la cura con la stessa dedizione che le usava suo padre. Da quel lembo di terra di appena mezzo ettaro Piero ha iniziato a coltivare la sua malvasia.
Certi amori crescono lentamente, entrano in punta di piedi e si radicano piano piano, fino a che ne siamo indissolubilmente legati. Incredibile cosa può fare mezzo ettaro di terra e Piero ormai lo sa bene, infatti, finita la laurea in economia si insinua nella sua testa una pazza idea. Decide di creare la sua piccola azienda agricola dedita alla produzione di questo vino, con cui comunicare la tradizione della Malvasia ossidativa, la storia della sua terra e quella della sua famiglia. E così nel 2011 decide che ne farà una scelta di vita, un mestiere. Oggi dopo altre undici vendemmie e un ettaro e tre di vigna in più, Piero ha realizzato il suo sogno: è diventato un vignaiolo.
Siamo sulla costa ovest della Sardegna, a Magomadas, dove storicamente gli abitanti del pittoresco borgo medievale di Bosa mettevano a dimora i loro vigneti. Qui il clima è mite e il maestrale viene dal mare accarezzando le vigne. La terra bianca, argillosa e marnosa, caratterizza i terreni e grazie al suo ph alto regala vini con alte acidità capaci di sopportare lunghi invecchiamenti, consacrando questo luogo a dimora ideale per la malvasia di Bosa.
Il Filet di Piero Carta (in arrivo tra pochissimo sul catalogo Triple "A") racconta di questa terra e delle tradizioni di un luogo ma anche di una famiglia. Suo nonno coltivava malvasia, così come suo padre e ora lui. Ma la componente umana è solo uno dei diversi fattori che entrano in gioco all’interno di questa bottiglia. Tra gli agenti che cooperano nello sviluppo del vino infatti troviamo la predisposizione all’invecchiamento data dal luogo, la presenza di sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte che favoriscono lo sviluppo della Botrytis cinerea che regala particolari gusti e infine la flor, regina indiscussa e complice nell’ottenimento di questo vino.
I grappoli infatti a metà ottobre vengono raccolti a mano e dopo una brevissima macerazione e una fermentazione di circa un mese in contenitori di acciaio, sono messi ad affinare in piccole botti di rovere lasciate scolme. In questo modo possono entrare in gioco i lieviti responsabili dello sviluppo flor, che da anni hanno colonizzato le pareti della cantina, mettendo in atto una serie di processi complessi e affascinanti.
Questi lieviti infatti, mentre trasformano gli zuccheri in alcol, trasmutano passando da una forma anaerobica ad una aerobica e modificando la propria struttura fino ad avere uno strato ceroso che gli permetterà di galleggiare e rimanere a contatto con l’aria, dando luogo al famosissimo velo della flor, che proteggerà il vino dall’ossigeno.
Il vino resterà lì almeno due anni, protetto e avvolto dalla vela mentre assume profumi intensi e inebrianti di mandorle e frutta secca. Questo dà luogo a una Malvasia che segue i ritmi lenti dell’isola, non conosce la fretta, esattamente come il ricamo tipico della zona, il filet.
Come il filet che la nonna di Piero tesseva la sera seduta davanti alla porta di casa mentre prendeva il fresco, così lentamente questa vigna tesse legami tra generazioni diverse, creando un dedalo tra i destini delle persone che la curano, con un territorio e con una tradizione.
Piero Carta non voleva fare il vignaiolo, poi un giorno ha incontrato poco più di mezzo ettaro di terra.