Nascosto tra i boschi dell’alto Appennino tosco-romagnolo, a Modigliana, si cela un unicum geopedologico prezioso per il sangiovese di Romagna. Emilio Placci, ormai diventata una figura di riferimento in zona, ha scommesso su questo territorio con la sua azienda Il Pratello, fondata negli anni novanta, dando luogo a un’espressione inedita del sangiovese.
Il sangiovese infatti viene principalmente coltivato lungo la pianeggiante Via Emilia, o tuttalpiù nella prima quinta collinare, dove le altitudini non superano i 250 metri sul livello del mare e i terreni sono ricchi di argilla. È grazie a produttori lungimiranti come Emilio che questo vitigno ha trovato nuova dimora nelle valli dell’Ibola, del Tramazzo e di Accereta, che fanno fulcro su Modigliana. E tre sono gli elementi fondamentali e caratterizzanti di questo territorio impervio che delineano i tratti di questa nuova via del sangiovese.
In primis la matrice geologica di queste valli, ricche di rocce sedimentarie, di marne e di arenarie, che si esprime nel calice attraverso sapidità, mineralità e speziatura. Non di meno importanza è poi la presenza boschiva che garantisce forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, che si verificano specialmente nella prima di queste valli, quella dove si trova il Pratello, non a caso detta “valfredda” dai modiglianesi. Queste escursioni regalano al vino non solo i profumi intensi e persistenti del frutto, ma maggiore freschezza e acidità grazie alle bucce turgide e spesse degli acini. Ed infine l’incredibile longevità che questo territorio è capace di garantire, specialmente nel caso dei vini di Emilio, accompagnati sapientemente nella loro evoluzione senza mai forzarne i tempi.
I risultati sono vini compiuti, tre sangiovese unici nel loro genere, che raccontano la mano di un produttore storico, un territorio ricco di potenziale e una longevità senza eguali. Basti pensare che sulle tre etichette debuttanti, la più giovane risale al 2014. I nomi dei vini illustrano anche il profondo rapporto di Emilio con queste valli, attraverso l’uso dei toponimi della zona, ognuno dei quali presenta sfaccettature assai differenti, grazie anche alle selezioni e sperimentazioni portate avanti negli anni dal produttore.
Mantignano, il primo dei due sangiovese vinificati in acciaio e affinati in legno, deve il nome a un podere confinante delle vigne, ed è un 2012 ottenuto per la maggior parte da piante del clone T12 e una piccola percentuale di T19: una lama affilata che riporta nel bicchiere i profumi dei fitti boschi della zona.
Badia a Raustignolo, anch’esso vinificato in acciaio e affinato in legno, porta invece il nome di una antica abbazia della zona Badia di Santa Maria in Raustignolo. Prodotto con le poche uve del clone T19 solo nelle annate migliori, nella versione 2011 è un vero e proprio pugno di ferro avvolto da un guanto di velluto: potenza e seduzione, perfetto specchio di questo territorio selvaggio e di struggente bellezza.
Chiude le file il Morana, un vino nato un po’ fortuitamente e un po’ no, figlio di una 2014 durante la quale le forti piogge avevano drasticamente compromesso le rese costringendo Emilio a vinificare tutte le uve insieme. Non a caso la scelta di Emilio è stata di vinificare in acciaio e affinare prevalentemente nello stesso contenitore, restituendo una beva agile e scattante.
Quello de Il Pratello è un lavoro di costante ricerca in un territorio che ha ancora moltissimo da esprimere. Così, riprodotte le viti da sua selezioni massale, Emilio le ha da poco piantate su un altro versante poco più in là rispetto a dove stavano storicamente le sue vigne. E noi non possiamo frenare la curiosità di vedere come sapientemente riuscirà a far esprimere i suoi nuovi sangiovese, raccontando nuove sfumature della valle dell’Ibola. Ma per saperne di più, come voi, dovremo aspettare ancora qualche anno.
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