I tre volti del Soave della Cantina Filippi

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I tre volti del Soave della Cantina Filippi

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All’esplorazione delle diversità del territorio di Soave attraverso le tre espressioni di garganega di Filippo Filippi

Ai piedi dei Monti Lessini, la matrice vulcanica dei suoli si mescola, di collina in collina, ad argille di medio impasto o al calcare, agli scisti o alle rocce basaltiche, o ancora a sabbie, granito e fossili marini. Non deve quindi stupire che già in epoca romana, il terroir di Soave, fosse riconosciuto come una tra le più vocate d’Italia. Qui, oltre alla garganega, ha trovato il suo habitat ideale Filippo Filippi, erede di un incantevole casale del 1300 recuperato dalla nonna materna dallo stato di completo abbandono in cui versava agli inizi del Novecento. E proprio nel potenziale del vitigno a bacca bianca simbolo del Veneto, Filippo ha trovato il modo migliore di dar voce a questa incredibile varietà morfologica dei suoli.

I primi passi nel mondo del vino Filippo li muove in seguito agli studi di Agraria, dal 1992 si dedica completamente alla viticoltura, dapprima destinando le uve a una cooperativa sociale del luogo e dai primi anni del 2000 cominciando a vinificare in proprio le uve coltivate. La scelta della conduzione agronomica ricade presto sul biologico, principalmente per due motivi, uno legato all’esperienza strettamente personale di quando Filippo si produceva il vino per autoconsumo, e l’altro invece legato alla fisionomia dei vigneti della cantina.

Oltre a lavorare vigneti composti da piante antiche ad altitudini considerevoli, cosa che permette la concentrazione degli aromi per la notevole escursione termica giornaliera, i quindici ettari totali sono divisi su più appezzamenti letteralmente incastonati all’interno di un bosco secolare di querce e castagni, che fa da barriera naturale da eventuali trattamenti dei vigneti confinanti.

Così con tre vinificazioni pressoché uguali tra loro nell’uso dei materiali (l’acciaio inox) e nell’impiego dei tempi, tutte con uve coltivate nel rispetto dell’ambiente, del suolo e del territorio come base di partenza, Filippo riesce a dar vita a tre espressioni di garganega profondamente differenti tra loro, ma che condividono purezza, essenzialità e soprattutto sale!

A fare da apripista il Castelcerino, il vigneto più vicino alla cantina. I suoli di origine vulcanica, con una discreta presenza di affioramenti sassosi di natura basaltica, restituiscono senza dubbio la garganega più esuberante tra le tre, specialmente in gioventù. Qui, per quanto contino già più di cinquant’anni, risiedono le piante di garganega più giovani dell’intera tenuta! Grande intensità e varietà di profumi e tanto sale per un soave classico di inaspettata lunghezza.

Segue il Vigne del Brà, dove l’età media delle piante supera i sessantacinque, e dove la natura argillosa del suolo prende il sopravvento, pur mantenendo la presenza di rocce basaltiche di origine vulcanica e calcaree. Qui la collina raggiunge l’altitudine più elevata e anche per questo motivo Filippo su questa etichetta sceglie di frequente di optare per una sosta sui lieviti più lunga, in modo da dare densità, consistenza e complessità aromatica al vino. Più restio a rivelarsi a pieno nell’immediato, il Vigne del Brà si mostra più compresso con un naso minerale e idrocarburi a tratti, per poi chiudere tagliente e serrato, a mo’ di lama.

Chiude infine il Monteseroni, il cui nome sta per “Monte dei galli cedroni” e dove le viti raggiungono e superano facilmente i settant’anni coltivate su un terreno prevalentemente calcareo. Passando da un estremo all’altro, questa è senza dubbio la garganega più ricca, complessa e profonda. Proprio per questo il Monteseroni tra i tre è il vino da dimenticarsi in cantina: tutta questa materia, densità e concentrazione necessita di tempo in bottiglia per svolgersi, e rivelando il vero potenziale di maturità di questo vitigno, capace come pochi altri di farsi interprete delle diversità che donano alla zona di Soave il suo vero valore aggiunto, e di Filippo Filippi, vero vigneron artigiano.

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