È stato durante il primo viaggio in Provenza che ho capito quanto il vino fosse entrato a far parte della mia vita. Non tanto perché dedicai la maggior parte dei giorni ad esplorare il territorio tra vigneti, cantine e bar à vin, quanto piuttosto perché iniziai a farmi un’idea della geografia del luogo collegando ad ogni area il modo di tagliare le uve principe della Provenza: grenache, cinsault, carignan, syrah e mourvèdre. Forse proprio per questo, il ricordo più vivo di quel viaggio si collega all’AOC di Bandol, l’unica in cui la mourvèdre, da varietà accessoria per dare grinta e tensione ai vini, diventa protagonista indiscussa, e spesso e volentieri uva “solista”.
Seicento ettari e poco più, su suoli calcarei che danno vita a vini scuri, densi, robusti e profondi, dai tannini arcigni che spesso impiegano anni ad integrarsi. Per questo quando ho assaggiato alla cieca il vino di Agnès Henry, così aereo, agile e sottile, nella mia testa già avevo escluso la possibilità che potesse provenire da Bandol, quando invece, magia del vino, il suo Domaine de La Tour du Bon è stato uno dei protagonisti nella fondazione dell’Appellation.
Il suo En Sol è frutto dell’amicizia con Elisabetta Foradori e dell’idea di provare a vinificare la mourvèdre nelle anfore spagnole di Juan Padilla. E forse basta questo per capire come questo vino trovi nelle Triple “A” il suo habitat naturale.
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