Ci deve pur essere un fondo di verità in chi dice che, come i cani coi loro padroni, anche i vini assomigliano ai loro produttori. Ma quando ho conosciuto Mario e Diana de I Cacciagalli, a poco più di un mese del loro debutto nelle Triple “A”, è stata anche la prima volta che ho assaggiato i loro vini. Per un volta non avevo aspettative, ma se le avessi avute, sicuramente col senno di poi sarebbero state ribaltate in positivo.
Mario da dietro il banco trasuda passione, racconta della masseria, che appartiene alla famiglia di Diana dal 1700, di cui loro rappresentano la sesta generazione; spiega l’incerta origine del nome, forse derivante da “cacciata dei Galli”, in seguito a una battaglia; parla del terroir dell’Alto Casertano, detto Campania Felix dai Romani, influenzato dalle falde del vulcano spento di Roccamonfina e protetto dal massiccio del Matese.
Una passione che si riflette nel lavoro de I Cacciagalli, alla costante ricerca di purezza e precisione, grazie a un approccio biodinamico nei vigneti e alla scelta di contenitori di “materiali neutri”, ma che abbiano uno scambio con l’esterno, come il cemento e la terracotta, volto alla massima espressione del frutto, del territorio, dell’annata. Ne risultano vini inizialmente introversi, ma agili, essenziali, fini e minerali, vini che parlano casertano, vini che, ora della fine, sono il ritratto di Mario e Diana.
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