Blanco y Pais: nuovi arrivi dalla Valle del Maule

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Blanco y Pais: nuovi arrivi dalla Valle del Maule

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Elena Pantaleoni e Nicola Massa presentano i nuovi vini de La Mision, il loro progetto visionario di salvaguardia dell’antichissimo patrimonio vitivinicolo cileno.

Lavorando a stretto contatto con tanti vignaioli da così tanto tempo, capita spesso di poter assistere in prima persona a più momenti del processo creativo che porta alla nascita di un nuovo vino. Funziona più o meno così: un giorno sei da un vignaiolo che ti parla di un nuovo impianto o di vigneto recuperato dall’abbandono, l’anno successivo già cammini tra i filari delle barbatelle, dopo altri due già vedi i primi grappoli, poi qualche prova e qualche assaggio da vasca finché, senza che neanche te ne accorgi, ti ritrovi tra le mani una nuova etichetta che ti sembra di conoscere già.

Capirete bene che se il processo creativo in questione si svolge in Cile, a dodicimila chilometri e poco più di distanza dai nostri uffici, la cosa diventa più difficile. E in casi come questi, per sopperire alla mancata “esperienza”, ci si affida ai racconti del produttore. Così mentre cerco di prendere confidenza con le due nuove etichette prendo il telefono e chiamo Nicola, senza neanche pensare al fatto che in Cile potrebbe essere notta fonda “ma avete fatto un altro pais?” Fortuna vuole che Nicola sia in Italia “beh, si, ma non proprio: la storia è un po’ più lunga…”

Nicola la prende alla larga e comincia il suo racconto dalla vigna che in qualche modo ha dato via all’intero progetto a quattro mani (o a sei se contiamo anche quelle di Giulio Armani) de La Mision.

“Dal 2016 al 2018 prendevamo le uve da questo vignaiolo pagandogliele quattro volte tanto in cambio della garanzia che non avrebbe usato chimica in vigna. Poi un giorno nel 2019 passo dai vigneti e subito mi accorgo che era stato usato del glifosato. Corro dal vignaiolo e scopro che, senza dirci niente, un'altra persona gli ha offerto la stessa cifra per le uve, senza alcuna specifica richiesta agronomica. E così da un momento all’altro ci siamo trovati senza uve”.

Nicola si mette all’istante alla ricerca di altri appezzamenti di piante secolari e ne trova uno a soli duecento metri di distanza, ma dove le condizioni pedoclimatiche cambiano drasticamente. Il vigneto è esposto a sud (che nell’emisfero australe è il versante meno luminoso) e poggia su terreni meno caldi, quasi di montagna. “Il Pisador era nato con lo scopo di dimostrare che la paìs, un’uva tradizionalmente usata per fare vini poco impegnativi, se raccolta da piante antiche e coltivata e lavorata in maniera virtuosa poteva restituire vini in grado di sfidare il tempo. Nel 2019, anche se sul nuovo vigneto abbiamo raccolto un mese dopo rispetto allo standard per raggiungere la massima maturità fenolica, il vino alla fine nonostante i quattordici gradi alcolici manteneva semplicità e freschezza risultando molto meno concentrato nel sapore e nel colore rispetto al solito. Per questo non ce la siamo sentiti di chiamarlo Pisador e abbiamo optato per il nome del vitigno, Paìs”.

Prima che possa chiedergli del destino del Pisador, Nicola subito mi rassicura “Trovata la soluzione per la vendemmia 2019, che era la cosa più urgente, ci siamo dedicati alla ricerca di un nuovo vigneto e l’abbiamo trovato, ironia della sorte, ancora più vicino al vigneto storico del Pisador. Saranno distanti sì e no cinquanta metri. Un ettaro e mezzo che non mai visto la chimica, da cui siamo tornati a fare un Pisador che non teme il tempo. Proprio la longevità credo sia il punto di forza della 2020: un vino in grande equilibrio tra corpo, materia e freschezza che ci si può tranquillamente dimenticare in cantina”.

Se il Paìs è nato un po’ per caso continua Nicola l’idea di fare un bianco secco era in cantiere già da un po’. Però la Valle del Maule del sud, dove siamo noi, è una terra talmente calda che il vino bianco praticamente non esiste, se non in pochissimi casi e sottoforma di vino dolce. La zona vocata per i bianchi sta a cento chilometri a sud, dove fa più fresco grazie alle correnti del Pacifico”. La volontà principale di Elena e Nicola però è quella di dare voce alla Valle del Maule del sud, il territorio dove tutto è cominciato. Così, non appena Nicola incontra un ragazzo che lavora due ettari di vigna con piante di moscatel de Alejandria di oltre ottant’anni e gli propone di lavorare insieme.

“Eravamo riusciti a trovare del bianco nella nostra zona, ma le condizioni erano completamente diverse a quelle cui eravamo abituati. Sia per la composizione del suolo, totalmente argilloso al posto delle terre rosse di carattere granitico marino, sia per l’altitudine visto che quella del bianco è una vigna di Vega (pianura) e invece che di Loma (collina). La vigna poi era un po’ disomogenea e selvaggia, ma il ragazzo che la gestiva fin da subito ci ha dato la possibilità di selezionare i grappoli migliori. Nel 2019, l’anno della prima prova, ci siamo autoingannati. Nonostante le analisi, il moscato d’Alessandria (che qui è detto anche moscatel Italia) mantiene gli acini verdi anche a massima maturità e quindi l’abbiamo lasciato troppo in pianta. Così ora della fine non è mai riuscito a svolgere tutti gli zuccheri. Ne conserviamo ancora due botti che nel frattempo hanno riposato sotto vela. Il vino è buonissimo, ma non aveva niente a che vedere con quello che avevamo intenzione di fare”.

L’anno successivo è quello giusto. Forti dell’esperienza della 2019, Nicola, Elena e Giulio azzeccano il perfetto punto di raccolta dell'uva in modo da tirarne fuori un Moscatel de Alejandria macerato di grande sostanza e materia dove tannino, alcol e una piccola punta di zucchero residuo prima si fronteggiano e poi si fondono in un sorso lunghissimo che ancora una volta racconta di un Cile vitivinicolo dallo straordinario potenziale inespresso.

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